Non penso di essere il solo a vivere con disagio la strana bonaccia di questi giorni, in cui non si parla quasi dei corsi che potrebbero/dovrebbero cominciare la settimana prossima, non e' ben chiaro il calendario secondo cui si dovrebbe prendere una decisione in merito. Pertanto scrivo principalmente per sollecitare la prossima convocazione dei nostri organi (CcL, Dipartimento), non oltre lunedi' prossimo (in cui e' previsto per esempio il consiglio di Fisica), insieme ad una maggiore informazione da parte dei nostri rappresentati su cosa sta succedendo in Facolta' e negli altri organi di governo dell'universita'. Aggiungo qui sotto alcune considerazioni personali (scusandomi con chi le leggesse per l'eccessiva lunghezza).
Riccardo Benedetti
========================== Forse qualcuno dispone di piu' informazioni; a mia conoscenza la situazione e' la seguente:
1) Non mi risulta che il senato accademico o altro organo competente abbia ancora deliberato sulle deroghe al regolamento (sollecitate, tra gli altri, dalla nostra Facolta' e dal Preside in una recente lettera) al fine di non invalidare almeno formalmente il primo semestre di questo anno accademico. Dunque allo stato attuale dei fatti o si parte entro il 15 ottobre, o il semestre salta.
2) Nel nostro consiglio e credo anche in buona parte degli altri della nostra Facolta' (da cui i famosi "patti tra gentiluomini") l'atteggiamento prevalente e' stato del tipo: nessuno vuole veramente far saltare il primo semestre o l'anno accademico, pero' per ragioni tattiche, per non far sgonfiare la protesta "come se niente fosse successo", per restare "finalmente visibili", per mantenere la pressione sul governo ecc. ecc. , e' bene rinviare ancora per un po' l'approvazione della programmazione didattica, soprattutto tenendo di conto che il ddl andra' in aula a giorni...
3) Adesso il ddl sembra vada in aula il 14, forse e' la premessa per il suo dirottamento su un binario morto, forse il governo imporra' un'accelerazione, forse...., i tempi non sono certi ed e' comunque probabile che la vicenda si prolunghi per settimane o mesi.
4) Alla luce di 3) l'atteggiamento delineato in 2) non tiene piu', ed anche una eventuale deroga formale al regolamento ha senso in una misura temporale contenuta, ha poco senso se nei fatti non si tenessero lezioni per gran parte del semestre o dell'anno. Mi sembra che non sia piu' eludibile una decisione palese in merito. La cosa peggiore, anche rispetto all'opinione pubblica che tanto teniamo a "sensibilizzare" con la protesta, sarebbe quella di arrivare per stillicidio al fatto compiuto di un semestre o un anno saltati, senza nemmeno averlo voluto davvero e magari rammaricandosi dopo.
5) Come ho detto, forse confusamente, in consiglio, personalmente sarei molto contrario a far saltare il semestre o addirittura l'anno, lo riterrei un errore grave e un danno grave per gli studenti e le famiglie che in larga maggioranza non lo comprenderebbero o giustificherebbero (pur non essendo per questo necessariamente "filogovernativi" o indifferenti al progressivo drammatico impoverimento dell'istruzione e formazione pubblica, dalle elementari all'universita'). Ma lo riterrei anche un danno grave per le residue possibilita' di tenuta proprio della nostra Universita' pubblica. Quanto detto in 3)) mi conferma in questa idea.
6) Un altro punto da tenere presente e' il seguente: la protesta dei ricercatori, in buona parte incentrata sul riconoscimento giuridico del lavoro complessivo che effettivamente svolgono, ha avuto una leva potente proprio nel balordo stato giuridico presente per cui possono a pieno diritto astenersi da certe prestazioni. E' del tutto razionale mettere in evidenza questa contraddizione e ci sono ottimi motivi per farlo. Questo non vale pero' per gli ordinari ed associati. A colpo d'occhio nei dipartimenti piu' grossi della nostra facolta' i professori (O+A) sono intorno ai 2/3 del personale docente (ricercatori inclusi). Ricordo anche che il presente, per quanto balordo, stato giuridico dei ricercatori prevede la possibilita' solo di un loro contributo ridotto alla didattica. E' allora insostenibile che i professori in servizio non possano garantire comunque lo svolgimento dell'anno accademico, anche se permanesse l'astensione totale dei ricercatori. La decisione, a quel punto necessariamente personale e non vincolante per gli altri, di qualche professore di astenersi dall'attivita' didattica dovuta, andrebbe presa consapevoli anche delle possibili conseguenze in termini salariali, disciplinari ecc. C'e' un'altra possibilita' (che pero' non penso riguardi la nostra Facolta') cioe' di situazioni (magari dove e' piu' incidente l'attivita' professionale collaterale dei professori) in cui i ricercatori sono davvero superfruttati e costretti per consuetudine incarognita a tappare i buchi lasciati da docenti "assenti", incapaci o non intenzionati a rispettare il loro contratto. Se ci sono casi di questo genere anche nel nostro Ateneo (non lo sto dando per scontato), e' tutta responsabilita' dell'accademia (per una volta il governo non c'entra), e' salutare che la protesta dei ricercatori faccia uscire allo scoperto questi bubboni, che non e' sano fare riannegare nella retorica indistinta della "lotta di tutti per salvare l'universita' pubblica (che starebbe in piedi per l' abnegazione oltre ogni umano limite di *tutti* i docenti) ".
7) Garantire comunque lo svolgimento dell'anno accademico in questa situazione non significa certificare l'"inutilita'" dei ricercatori; oppure dire che "abbiamo scherzato" e che tutto riprende come se niente fosse. Si tratterebbe comunque di un anno accademico emergenziale, con lacune serie, riduzione della possibilita' di scelta degli studenti (anche rispetto a corsi fondamentali), deroghe sostanziali ai regolamenti ecc. Tutte cose da "valorizzare" sul lungo difficile periodo che abbiamo davanti, discutere, motivare e condividere con (tutti) gli studenti che pero' sarebbero qui e probabilmente, in grande maggioranza, apprezzerebbero di non essere stati considerati l' accettabile "danno collaterale" per le sorti gloriose e progressive della lotta fatta, anche se loro non lo capiscono, soprattutto per il loro bene.