Ringrazio Sergio Spagnolo per aver iniziato questa discussione, e tutti gli altri per questo importante scambio di opinioni. Condivido la gran parte delle proposte "concrete" che sono state avanzate nei vari messaggi, e credo che sarebbero sicuramente molto utili come rimedi di urgenza alla brutta situazione dei concorsi.
Penso pero' che dovremmo anche discutere il disegno generale di una vera riforma. Scrivo qua sotto qualche mia considerazione. Certamente non ho molta esperienza in queste cose, e quindi sarei ben contento di ricevere vostri commenti, per cercare di farmi un'idea piu' precisa.
Personalmente ritengo che - a regime - dovrebbero essere i Dipartimenti ad avere la responsabilita' di scegliere chi assumere (magari all'interno di una lista nazionale di idonei che non escluda ricercatori stranieri). Per contro, diversamente da quanto e' accaduto fino ad ora, i Dipartimenti dovrebbero davvero "pagare il conto" nel caso di scelte sbagliate. Secondo me, questa e' l'unica vera condizione perche' le cose cambino. Il problema, naturalmente, e' come creare le condizioni perche' cio' accada.
L'esperienza degli ultimi decenni dimostra che anche i piu' dettagliati e fantasiosi regolamenti non bastano (a noi italiani) per garantire livelli di decenza nei concorsi. Una proposta "concreta" potrebbe essere questa: accettare che una quota MOLTO rilevante dei finanziamenti statali o di Ateneo dipenda da un ranking scientifico/didattico del Dipartimento. L'assunzione di persone poco valide (sia scientificamente che didatticamente) sarebbe frenata, semplicemente perche' finirebbe per danneggiare tutti.
Per "ranking scientifico/didattico" intendo qui un numero da calcolarsi in modo automatico a partire da indicatori prefissati. Condivido in pieno le perplessita' di applicare un tale metodo automatico per la valutazione di un singolo ricercatore; tuttavia, penso sia possibile trovare degli indicatori che, quando applicati ad un intero dipartimento, siano ragionevolmente attendibili. La scelta di questi indicatori e' naturalmente molto delicata, e su questo e' davvero importante concentrare la nostra discussione (come del resto sta gia' avvenendo in molti degli ultimi messaggi).
Concludo infine con un commento sui concorsi da ricercatore con i quali ho avuto - mio malgrado - una lunga esperienza come candidato (e una volta anche come commissario). La loro attuale struttura mi sembra talmente bizantina e dispendiosa da risultare difficilmente difendibile. Io non sono mai riuscito a spiegare a colleghi stranieri l'intera procedura tema/esercizi/colloquio, inclusa la questione delle "linguette" sulle buste, senza suscitare - nel migliore dei casi - ilarita'. Paradossalmente, la complessita' della procedura puo' addirittura essere usata per deresponsabilizzare le Commissioni: "non siamo noi che abbiamo scelto il tale candidato, ma e' stato il risultato delle prove" (e una commissione in cattiva fede, sa bene come "confezionare" prove e punteggi).
Tranne pochi casi eccezionali, supporrei che un candidato ricercatore abbia gia' alle spalle una tesi di dottorato, almeno 2-3 lavori pubblicati, e spesso anche attivita' post-dottorato. Con queste premesse, direi che una commissione possa prima stilare una "short list" con i pochi candidati che ritiene piu' qualificati, e poi richiedere un paio di referaggi ad esperti esteri. A questo punto, un approfondito colloquio orale (eventualmente sotto forma di seminario in cui illustrare la propria ricerca) dovrebbe essere sufficiente per completare la valutazione. Vedrei il ruolo di ricercatore come una specie di "tenure-track" della durata di 5 anni (in casi eccezionali prolungabile di un paio d'anni). Al termine, ci sarebbe la procedura di conferma che - in caso di esito positivo - potrebbe (dovrebbe?) portare alla qualifica di professore associato. Chi non fosse confermato (per gravi, precisi e documentati motivi non immaginabili al momento della selezione) dovrebbe comunque avere titoli preferenziali per essere assunto altrove nella pubblica amministrazione.
Cordialmente, Mauro Di Nasso
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