Scusate! Mancava l'allegato
-Voglio fare alcune considerazioni sulla struttura di governo delle
università. Mi limito ad alcuni aspetti gestionali che ritengo essenziali.
Sono convinto, in base all¹esperienza acquisita nel tempo, che non si possa
fare buona ricerca (salvo rare eccezioni) senza superare una soglia di
competenze che permettano la formazione di ³scuole² di ricerca. Questo
aspetto coinvolge anche l¹insegnamento perché una didattica, che offra ai
giovani un metodo di lavoro facilmente rinnovabile nei contenuti e che
susciti in loro interesse e curiosità, non può essere fatta al di fuori di
un contesto di ricerca vivace e stimolante. Per quanto riguarda la ricerca,
il dipartimento, al tempo del1a sua istituzione nei primi anni ¹80, nello
schema organizzativo del1e università fu inteso come la struttura che
avrebbe dovuto recuperare l¹università al1a produzione scientifica,
configurata non come somma di singoli prodotti marginali di ricerca, ma come
prodotto culturale globale sia nella sua formazione che nella trasmissione.
Per quanto riguarda la didattica, una sua migliore organizzazione deve
passare attraverso il superamento della divaricazione dalla ricerca
introdotta dalla presenza di due distinte strutture di base, il dipartimento
ed il consiglio di corso di laurea, con frequente duplicazione di riunioni e
di decisioni. Come docenti e come ricercatori ci troviamo di fronte ad una
dicotomia. Svolgiamo funzioni che sono per noi integrate (nella nostra
esperienza quotidiana non possiamo scindere la nostra attività di ricerca
dalla nostra attività didattica) in due organismi diversi.
Mi parrebbe più naturale che il Dipartimento, al quale per legge vengono
attribuiti solo compiti didattici di tipo specialistico, come il dottorato
di ricerca, svolga invece l¹intero compito didattico.
Al Dipartimento quindi dovrebbe essere assegnato l¹organico. Questo
permetterebbe in qualche modo di risolvere un altro problema chiave che
torna sempre in discussione: le chiamate a coprire le cattedre. Se
l'organico è assegnato al Dipartimento, ad esso deve competere sia la
dichiarazione di vacanza che la chiamata.
Per i dipartimenti disciplinari l'organizzazione e l'espletamento dei
compiti didattici sarebbe naturale. Il problema si porrebbe invece per i
dipartimenti così detti tematici. Ma i dipartimenti tematici, che trovano la
loro origine su progetti di ricerca su linee emergenti che richiedono
diverse competenze, o si sviluppano facendo assurgere ex novo il tema di
ricerca a disciplina favorendo una dinamica continua nel panorama culturale
e didattico universitario, o dovrebbero, dopo un periodo anche fertile di
risultati, esaurirsi con l¹esaurirsi del progetto di ricerca.
Il consiglio di dipartimento dovrebbe perdere quella natura
pseudoburocratica, che si sovrappone al consiglio di corso di laurea ed alle
facoltà, per acquistare sempre più il ruolo di coordinamento della didattica
e della ricerca, coordinamento da attuare nel rispetto delle libertà del
singolo ricercatore, senza sopraffazione ma semplicemente fornendo una
occasione di dibattito culturale che aggreghi e non disaggreghi e favorisca
la formazione di scuole. Si dovrebbe quindi completare la
dipartimentalizzazione del1e università, favorendo aggregazioni atte al1a
formazione di scuole di ricerca e quindi di insegnamento e formazione,
ottenendo così anche una forte riduzione del numero dei dipartimenti
esistenti; questo permetterebbe assunzioni di responsabilità di gestione a
livel1o operativo e funzionale. Le facoltà sono ormai ridotte ad organi di
compensazione tra vari gruppi e sono troppo lontane dalla realtà operativa
per poter gestire ed indirizzare didattica e ricerca. I presidi hanno perso
da tempo possibilità di intervento fattivo gestionale, mantenendo tuttavia
la prerogativa di indirizzo generale di Ateneo nel Senato Accademico. Un
Senato Accademico, studiato in modo da essere rappresentativo dei
dipartimenti per grandi aree scientifiche, trasferirebbe nel1a gestione
generale di ateneo le esigenze reali per il buon funzionamento del1e
strutture ad esso afferenti, eliminando poteri decisionali lontani dalle
strutture operative e per questo spesso non in grado di garantirne il buon
funzionamento.
Questa diversa organizzazione degli atenei potrebbe favorire una reale e
fattiva valutazione dei gruppi e dei singoli nell¹ambito dei dipartimenti,
ai quali direttamente dovrebbero essere assegnati i fondi.
-Il personale docente-ricercatore è, quando va bene, ripartito in ugual
numero nei tre livelli dei professori ordinari, dei professori associati e
dei ricercatori. Questa condizione non permette un rinnovo adeguato, una
dinamica nella ricerca. È pur giusto che ci siano dei professori
universitari stabili che diano continuità e coordinamento alla struttura, ma
ritengo necessaria una continua evoluzione nella parte giovane, con
contratti a termine, dal dottorato al post-dottorato, in grandissimo numero
rispetto sia agli associati che ai professori ordinari. Questo è un punto
essenziale. Non riesco a capire come si faccia ricerca in altri settori. Ho
parlato con storici, umanisti, che stimo profondamente come persone e come
professori, e che non comprendono la nostra esigenza di post-doc e
dottorandi. Per loro è un peso avere queste persone accanto. Non le
considerano il mezzo necessario e propulsivo per fare ricerca. La
collaborazione e l'interazione non sembrano essere rilevanti in altri
settori. Fino a che non trasferiremo questo messaggio ci troveremo di fronte
all'impossibilità di far capire agli altri la necessità delle borse
post-dottorato e della modifica del dottorato di ricerca.
Il problema del dottorato è un problema essenziale e analizzare come è stato
condotto in passato può essere di aiuto. Si è istituito il dottorato e poi
non si è fatto niente perché fosse noto ed utilizzabile nel Paese. In
Italia, anche a causa di regolamentazioni restrittive in entrata,
particolarmente scoraggianti per gli stranieri, abbiamo in alcuni
dipartimenti un numero di dottorandi inferiore a quelle che sarebbero le
capacità di offrire tesi di ricerca ed in altri si hanno scuole di dottorato
che non dovrebbero esistere. L¹idea che ha prevalso è che il dottorato serva
solo ad integrare il personale universitario e quindi non si possano creare
dottori in eccesso rispetto al numero che ragionevolmente può essere
assorbito dall¹università. Fino a che non si considera, come avviene in
tutti i paesi del mondo, che il dottorato deve permettere la formazione di
personale qualificato per la società nel suo insieme, personale che avendo
imparato a far ricerca è capace di elaborare proposte e progetti alternativi
in tutti i campi, fino a che non avverrà questo, credo che noi resteremo
allo stallo per i dottorati. Nulla è stato fatto per far recepire al paese
l¹importanza dei dottori di ricerca per il suo sviluppo. La
deregolamentazione in questo caso è importante. All¹estero un dottorato
acquista importanza non solo in base a dove è stato preso ma anche con chi è
stato fatto e sono i professori stessi a decidere chi prendere come studenti
sulla base delle domande e delle presentazioni di colleghi. Lo scarso
impatto che è stato assegnato al dottorato nel sistema italiano è
testimoniato anche dal peso limitato che gli viene attribuito come titolo
per l¹insegnamento delle scuole secondarie. Se siamo convinti che è
inscindibile la ricerca dalla buona didattica, allora non si capisce perché
un dottore di ricerca, che almeno ufficialmente ha imparato a farla, si
trovi che gli anni impegnati per il conseguimento del titolo non gli valgono
quasi nulla per insegnare. Facendo leva sull'autonomia, dovremmo ottenere
che sia i dottorati sia le borse post-dottorato siano accessibili con
cadenze regolari e procedure semplici, completamente aperte agli stranieri.
Infatti la rete informativa che si sviluppa a livello mondiale in vista
dell'accesso ai dottorati e delle assunzioni (non limitate agli istituti
universitari) dei neo dottori è di vasta portata con risvolti culturali e
scientifici assai rilevanti. I neo dottori, chierici vaganti moderni,
svolgono un'importante opera di trasmissione dinamica della cultura. Le
nostre università ne sono praticamente escluse soprattutto a causa di
procedure insensate, di salari bassi e di scadenze incerte.
-Nella valutazione del sistema universitario in relazione al sistema paese,
ci dobbiamo domandare se il sistema produttivo è adatto a ricevere il know
how che la ricerca universitaria di base fornisce. È necessario formare
strutture (i centri interdipartimentali erano stati pensati anche a questo
scopo) che costituiscano una cinghia di trasmissione di questo know how al
sistema produttivo. Le industrie italiane, purtroppo, in genere non
richiedono delle innovazioni tecnologiche particolari, ovviamente sto
facendo una generalizzazione che ha le sue eccezioni. Infatti tutti i
grandi, vecchi finanziamenti che sono stati assegnati nei decenni per
l¹innovazione tecnologica, in pratica sono alla fine stati finanziamenti
mascherati al sistema produttivo in difficoltà. Quindi si deve stare attenti
quando si individuano possibilità di rapporto tra la produzione
scientifico-culturale e il sistema produttivo a non indicare solo i rami che
dovrebbero essere tagliati a livello della ricerca, ma anche alle
innovazioni che si dovrebbero apportare al sistema produttivo perché possa
usufruire dei prodotti della ricerca.
> Cari amici,
Scusate se intervengo tardi nel dibattito opportunamente sollevato, ma ho
dovuto vincere un senso di sfiduciasulla possibilita' di incidere.
Nella marea di argomenti dibattuti vorrei riprendere solo alcuni punti tra
cui l'abolizione o il ridimensionameto delle Facolta'. Lo faccio riassumendo
considerazioni che a piu' riprese ho ribadito fin dai tempi della formazione
dei dipartimenti. Per questo ho poca fiducia che qualcosa possa cambiare
specialmente nella situazione attuale: se non si e' potuto far niente in
tempi piu' propizi, ministro Ruberti ecc., figuriamoci ora
Cari Saluti Carlo Di Castro
>