>Date: Sat, 18 Dec 2010 10:18:00 +0100 (CET)
>From: "Martina Tarantola" <martina.tarantola(a)unito.it>
>To: coordunito(a)di.unito.it, ricercatori__unito(a)di.unito.it
>Subject: [coordunito] la riflessione degli studenti sul 14 dicembre
>
>vi copio queste riflessioni degli studenti, credo possa aiutare un po' a
>capire quello che sta succedendo..
>martina
>
>liberi di solcare il mare - riflessioni sulla giornata del 14 dicembre
>pubblicata da Link Coordinamento Nazionale Universitario il giorno giovedì
>16 dicembre 2010 alle ore 23.41
>
> 15 dicembre 2010
>
>
>Premessa: di fronte alla mobilitazione del 14 dicembre non ci interessano
>le condanne, i giudizi e le prese di posizione mirate alla collocazione
>nel dibattito politico interno ed esterno al movimento studentesco. Ciò
>che ci interessa è analizzare quello che è successo, capirne ragioni e
>modalità, fornire a chi non era in piazza gli strumenti per costruirsi
>un'opinione, e aprire un ragionamento collettivo su come non disperdere le
>energie, le esperienze e la determinazione accumulate da questo
>straordinario movimento nel corso dei lunghi mesi di impegno comune.
>
>
>Il 14 dicembre si è celebrato a Roma il funerale della democrazia
>parlamentare italiana. Un governo privo di una maggioranza politica se l'è
>comprata al mercato. La distanza siderale che separa le istituzioni
>rappresentative della Repubblica dalla realtà quotidiana degli uomini e
>delle donne di questo paese era nota ormai da tempo, e il voto di ieri,
>palesemente falsato da mercanteggiamenti che nulla hanno a che vedere con
>le istanze sociali che il parlamento dovrebbe rappresentare, equivale alla
>certificazione notarile di questo processo. In un momento di crisi come
>questo, la politica istituzionale dovrebbe avere la saggezza di aprire
>grandi dibattiti collettivi e di valorizzare i meccanismi di
>partecipazione di cui le parti più attive della società autonomamente si
>dotano. Ma i movimenti sviluppatisi negli ultimi mesi sui temi dei saperi,
>del lavoro, dei beni comuni non hanno trovato interlocutori all'altezza
>all'interno di un Palazzo sempre più avviluppato in un dibattito
>autoreferenziale e incapace di riflettere ciò che si muove nella realtà.
>La compravendita dei voti parlamentari ha reso evidente quanto i nessi
>della delega e della rappresentanza siano ormai saltati, e il fossato tra
>istituzione e realtà è stato ben rappresentato dallo spropositato
>schieramento di polizia che ha blindato la città facendo il vuoto intorno
>ai palazzi del potere.
>
>Il parlamento assediato più volte negli ultimi giorni, il centro di Roma
>trasformato in una «zona rossa» per impedire agli studenti di portare la
>propria voce sotto alle finestre di Montecitorio. Questa immagine è
>l'istantanea della democrazia italiana così come 15 anni di berlusconismo
>l'hanno ridotta.
>
>Ma qualcosa si è mosso in quest'autunno. Il silenzio di una politica muta
>e sorda è stato riempito dalle voci di centinaia di migliaia di studenti,
>mobilitati in difesa dell'università pubblica e determinati a riprendersi
>il presente per costruire il futuro.
>
>
>Il vuoto triste nei palazzi del potere, la felicità collettiva nelle
>strade. Questo è stato l'autunno delle studentesse e degli studenti,
>dall'8 ottobre degli studenti medi al 16 ottobre della difesa di lavoro e
>beni comuni insieme alla Fiom, dall'assemblea di movimento del 17 ottobre
>alle cento piazze del 17 novembre, dall'irruzione sulla scena politica del
>24 novembre alla riappropriazione del nostro patrimonio culturale il
>giorno successivo, fino al blocco di ferrovie e autostrade in tutto il
>paese il 30 novembre e alla smisurata partecipazione del 14 dicembre.
>
>
>La giornata del voto sulla fiducia dev'essere raccontata e ricordata prima
>di tutto come una straordinaria occasione di mobilitazione, in cui gli
>studenti e le studentesse di tutta Italia sono scesi in piazza in una
>quantità con rari precedenti nella storia del movimento studentesco e con
>una determinazione finora sconosciuta a questa generazione. Nei nostri
>occhi resteranno per sempre le immagini di un corteo studentesco che
>imbocca via dei Fori Imperiali con la coda ancora a Castro Pretorio, di
>migliaia di studenti e studentesse che attraversano l'Italia di notte su
>pullman autogestiti e autofinanziati, di ragazzi e ragazze che, di fronte
>alle violentissime cariche della polizia, non smarriscono il senso della
>loro appartenenza solidale a una comunità in mobilitazione. L'eredità
>dell'Onda e i lunghi mesi di informazione, sensibilizzazione e
>organizzazione contro il ddl Gelmini hanno portato il movimento
>studentesco a un livello di consapevolezza e radicalità di cui non
>possiamo non essere orgogliosi. Sarebbe sbagliato attribuire l'ampiezza e
>la profondità delle mobilitazioni di queste settimane a un dato episodico
>e quasi casuale. Si tratta invece del risultato di 3 anni di lavoro nella
>costruzione di uno stato di mobilitazione continua, anche se carsica e non
>sempre resa visibile da media disattenti nei confronti delle mille
>vertenze territoriali che attraversano l'università italiana, e di
>un'elaborazione capace di allargare il proprio discorso sulla difesa
>dell'università pubblica fino a investire i nodi centrali delle società
>contemporanea, dai beni comuni alla precarietà del lavoro, ponendosi come
>soggetto centrale dell'opposizione sociale.
>
>
>
>In questa situazione, d'altra parte, cedere all'esaltazione del dato
>conflittuale sarebbe un errore di superficialità grossolano e pericoloso.
>Nelle strade del 14 dicembre, intorno e dentro quella grandiosa e gioiosa
>manifestazione, si sono incrociati due fenomeni diversi, da non confondere
>e da non sottovalutare. Da una parte c'è stata l'azione scientificamente
>pianificata di gruppi organizzati che hanno consapevolmente deciso di
>adottare iniziative all'esterno di quanto il movimento studentesco, nei
>suoi luoghi decisionali plurali e riconosciuti, ha assunto come propri in
>questa giornata di mobilitazione e nelle precedenti. Porsi alla testa del
>corteo, superando cordoni e striscioni, per poter tentare di dirigerlo
>forzatamente verso i propri obiettivi invece che verso quelli condivisi;
>utilizzare le studentesse e gli studenti in corteo come copertura per gli
>assalti alle vetrine e alle auto parcheggiate; armarsi di spranghe, pietre
>e bottiglie, determinando uno squilibrio di potere nei confronti di
>qualsiasi altro manifestante e abbattendo quindi ogni possibilità di
>confronto democratico interno al movimento, significa prendere le distanze
>dal movimento stesso così come si è sviluppato e continua a svilupparsi
>nelle migliaia di assemblee popolate dagli studenti e dalle studentesse di
>tutti gli atenei d'Italia.
>
>
>
>Non sono nostro stile né nostra consuetudine la condanna, la denuncia, la
>dissociazione. Siamo parte integrante e attiva del movimento studentesco,
>e tutto ciò che vi accade ci riguarda e ci richiama alle nostre
>responsabilità, al dovere della solidarietà e all'impegno nella lotta
>comune. Dobbiamo avere il coraggio di respingere tutto ciò che mina
>l'unità e l'efficacia del movimento, dalle ridicole dissociazioni postume
>di chi di questo movimento non è mai stato parte, fino a tutte le
>iniziative che, come abbiamo spiegato, rappresentano una presa di distanza
>dal movimento da parte di chi le ha adottate. L'unità del movimento si
>costruisce nelle assemblee come luoghi di discussione plurali e
>riconosciuti e va salvaguardata contro tutte le trappole, da una
>superficiale divisione buoni-cattivi o violenti-nonviolenti che non tenga
>conto della reale condivisione delle pratiche di movimento, ai tentativi
>di fuga in avanti non concordati, che servono solo alla visibilità di chi
>li compie, trattando gli studenti e le studentesse in mobilitazione come
>uno strumento di propaganda e non come un soggetto sociale attivo.
>
>
>
>Dall'altra parte, è innegabile che a queste iniziative si siano aggiunti,
>in forme e intensità diverse, che vanno dalla partecipazione attiva agli
>scontri, all'autodifesa di fronte all'offensiva della polizia, fino al
>supporto morale ed emotivo, i molti studenti e studentesse che sono
>rimasti in piazza del Popolo anche durante le cariche, mentre il grosso
>del corteo, non senza difficoltà, si ricomponeva sul Muro Torto. La rabbia
>dimostrata dagli studenti a piazza del Popolo contro l'irruzione di
>polizia e guardia di finanza è un dato che va analizzato e compreso con
>attenzione, evitando semplificazioni e schematismi dettati dalla
>suggestione dell'insurrezione europea o dalla ridicola etichetta
>giornalistica di «black block».
>
>
>
>La strumentalizzazione del corteo da parte di gruppi organizzati di cui
>sopra, che pure c'è stata, non spiega tutto. C'è stato, in molti tra i
>manifestanti, un atto di rifiuto esplicito della propria condizione
>presente e della percepita impossibilità di cambiarla. C'è stato un no
>gridato in coro, somma dei molti no che da tempo abbiamo iniziato a
>dire.
>
>
>Quella espressa nella piazza del 14 dicembre è la rabbia di molti tra i
>nostri coetanei, al di là della rappresentatività, non misurabile, di chi
>è rimasto in piazza rispetto al totale degli studenti mobilitati. È la
>rabbia di una generazione cresciuta sotto la cappa oppressiva di una
>politica completamente impermeabile alle istanze sociali, ai bisogni e ai
>desideri, cresciuta nella crisi di ogni forma di rappresentanza e
>mediazione sociale come di ogni forma di appartenenza collettiva,
>cresciuta nel generale clima di impoverimento culturale che ha investito
>il nostro paese. È la rabbia di una generazione che ora attraversa la più
>grande crisi economica degli ultimi decenni, che, per prima, è investita
>in maniera totalizzante dal fenomeno della precarietà e dalla prospettiva
>di condizioni di vita peggiori rispetto a quelle dei propri genitori, che
>non vede ancora la luce in fondo al tunnel del declino e del lavoro
>schiavista.
>
>
>
>L'esplosione di rabbia non ci avvicina all'uscita dal tunnel, dobbiamo
>esserne consapevoli. Non condannare non significa illudersi che il
>cambiamento possa arrivare in questo.
>
>
>
>È fintamente ingenuo e perbenista considerare questa rabbia una malattia
>da debellare, ma è illusorio e irresponsabile considerarla la cura. Questa
>rabbia è un sintomo della crisi profonda che attraversa la nostra
>generazione. Non va repressa poliziescamente né esaltata suggestivamente,
>ma analizzata e indagata politicamente. Il sentimento di rabbia e
>frustrazione diffuso tra gli studenti non giustifica né legittima alcuna
>strumentalizzazione di studenti inesperti e impreparati di fronte alle
>dinamiche della piazza. Più che esaltare a posteriori la rabbia degli
>studenti, sarebbe utile coinvolgerla a priori in processi decisionali
>ampi, in grado di valorizzare il contributo di tutti. Il movimento deve
>assumersi la responsabilità di ciò che avviene nelle proprie piazze e
>impegnarsi a tutelare collettivamente chi partecipa alle mobilitazioni.
>Gli studenti e le studentesse sono soggetti sociali in movimento, non
>carne da macello. In queste settimane abbiamo saputo ben coniugare forme
>di lotta radicali con la necessità imprescindibile di mantenere l'unità e
>l'ampiezza del mondo studentesco e di costruire un consenso generalizzato
>nell'opinione pubblica. Il tema delle pratiche non va derubricato a
>questione tecnica ma investe nodi pienamente politici e deve quindi
>diventare oggetto di un dibattito collettivo ampio e partecipato.
>
>
>
>Più in generale, la costruzione di grandi iniziative di mobilitazione non
>può prescindere dalla condivisione collettiva di ogni dettaglio in un
>percorso comune che veda la partecipazione di tutti i soggetti
>territoriali coinvolti. La radicalità delle pratiche di conflitto
>dev'essere ragionata responsabilmente e collettivamente e deve svilupparsi
>in direzioni che perseguano l'allargamento del consenso sociale intorno al
>movimento e non pericolose involuzioni autodistruttive. L'unità e
>l'ampiezza del movimento sono allo stesso tempo la sua forza e il migliore
>anticorpo contro ogni degenerazione.
>
>
>
>Non dobbiamo cadere in alcuna provocazione né far determinare dalle
>questure il nostro modo di stare in piazza. L'escalation repressiva, i
>fermi ripetuti nelle scorse settimane, le cariche della polizia nei giorni
>precedenti e la trappola della «zona rossa» costituiscono un dispositivo
>di provocazione teso a determinare pratiche di piazza che giustifichino,
>agli occhi dell'opinione pubblica, un'ulteriore repressione. Esprimiamo
>solidarietà a tutti coloro che sono colpiti da provvedimenti repressivi,
>chiediamo l'immediato rilascio di tutti i fermati e richiamiamo
>l'attenzione dell'opinione pubblica democratica sulla grottesca caccia
>all'uomo che si è svolta per le strade di Roma per molte ore dopo la fine
>degli scontri.
>
>
>
>Se il movimento si deve assumere la responsabilità di tutelare i
>manifestanti, allora la solidarietà non può arrivare dopo la repressione,
>ma dev'essere un dato costante e preventivo. Il percorso di maturazione
>politica generato dalle mobilitazioni di questi anni non è stato però
>sterile. L'individualismo e la rassegnazione non sono sentimenti dominanti
>e totalizzanti. Nella volontà di non arretrare finché l'ultimo dei propri
>compagni non fosse al sicuro, nel cercarsi l'un l'altro anche nei momenti
>di maggiore caos, nella tenuta di un sentimento di appartenenza comune
>anche e soprattutto di fronte al pericolo, si scorgono le tracce di una
>solidarietà collettiva che ha smentito gli osservatori che da anni
>vaneggiano di una generazione bruciata dalla competizione e dalla guerra
>tra poveri.
>
>
>
>Quella del 14 dicembre è la rabbia di una generazione che domanda con
>forza, che rompe gli schemi, che non riceve risposte, una generazione che
>si trova quasi sempre sola, ma che nonostante ciò trova la forza di
>ricercare e riaffermare una dimensione collettiva delle lotte, della
>politica; una dimensione collettiva che è emersa anche nella
>determinazione dei tantissimi studenti che sono rimasti in Piazza del
>Popolo, nella loro reazione istintiva, nella lucidità di non cedere al «si
>salvi chi può».
>
>
>
>In queste settimane abbiamo riscoperto la politica come una dimensione di
>tutti e di ciascuno, qualcosa di cui siamo stati troppo a lungo
>espropriati. Abbiamo fatto vivere la politica nelle strade, bloccando i
>binari, le autostrade, occupando i monumenti di questo Paese in rovina,
>abbiamo visto la politica morire sotto il fruscio assordante delle
>banconote di corruttori e corrotti. Abbiamo per anni subito un disegno
>scientifico fondato su una egemonia a-culturale, siamo stati definiti
>dagli stessi agenti della propaganda di tale disegno una generazione senza
>sogni e bisogni. Abbiamo smentito tutti, non solo il 14 dicembre, ma nei
>lunghi mesi di mobilitazione che abbiamo tutti insieme contribuito a
>costruire.
>
>
>
>Per questo ci rattristano vecchi e nuovi maestri che con presunzione e
>arroganza pretendono di dispensare lezioni su cosa è lecito e cosa no,
>sulle prospettive da intraprendere e su progetti politici verso cui
>tendere. L'Italia che ci avete consegnato è un'Italia di merda e noi, a
>maggior ragione dopo la dimostrazione di autonomia e forza del nostro
>movimento, non siamo disposti ad accettare lezioni da chi ha consegnato il
>nostro Paese al pensiero unico, alla deriva reazionaria, al berlusconismo
>come egemonia culturale e politica. Noi abbiamo ancora la convinzione di
>poter vincere, e siamo convinti di poterlo fare partendo da noi stessi,
>dalla costruzione di una nuova pratica quotidiana capace di cambiare
>davvero la politica, vivendola quotidianamente con i nostri corpi e le
>nostre menti, i nostri sogni e i nostri bisogni e non giudicandola con
>salomonica presunzione.
>
>
>
>La rabbia del 14 dicembre ci interroga tutti. Questa rabbia non va
>cavalcata né strumentalizzata, ma inserita in un circuito virtuoso di
>partecipazione che sappia superare la dimensione della rassegnazione e
>della sconfitta. Come recitava uno striscione per le strade di Torino:
>"Noi siamo speranza". Se Mario Monicelli, in una nota intervista ha
>dichiarato: "La speranza è una trappola inventata dai padroni", noi
>dobbiamo essere consapevoli che gli automobilisti bloccati nel traffico
>che ci hanno applaudito e abbracciato, le signore affacciate alle
>finestre, i passeggeri sui treni fermi in stazione hanno sperato, e stanno
>ancora sperando grazie a noi tutti. La speranza può diventare una trappola
>per i padroni di questa Italia sfigurata, umiliata e offesa.
>
>
>
>Noi non ci sentiamo sconfitti, avevamo davanti due alternative: staccare
>la spina all'Italia e partire, andarcene, lasciandola morire lentamente
>mentre invecchia, lasciandola andare alla deriva, oppure continuare a
>lottare per cambiarla. Sapevamo già che fuggire è semplice, basta salire
>su un aereo e non voltarsi a guardare. Ora sappiamo che è giusto restare,
>mettere in fuga questa classe dirigente, e costruire una concreta
>alternativa alla fuga. Noi stessi, noi studentesse e studenti, siamo
>l'alternativa alla fuga.
>
>
>
>Essere l'alternativa significa assumere il cambiamento come obiettivo
>costante da praticare quotidianamente nelle nostre mobilitazioni.
>Significa rifiutare ogni estetica del conflitto fine a se stesso,
>respingere le sirene di chi ci invita a tornare a casa e affrontare il
>tema della pratiche dal punto di vista della loro efficacia concreta
>rispetto al cambiamento che vogliamo produrre.
>
>
>
>Sottoporre le pratiche finora adottate dal movimento studentesco alla
>prova dell'efficacia è un esercizio utile, ma tale metodo va adottato per
>tutte le forme di lotta proposte. Nessuna rabbia e nessuna esaltazione
>possono essere alibi per farci perdere di vista i nostri obiettivi. Il
>nostro obiettivo è sempre la produzione di un cambiamento, e nessun dato
>estetico può distrarci dalla lucidità necessaria a riconoscere quando le
>pratiche che utilizziamo ci avvicinano o ci allontanano dall'obiettivo.
>
>
>
>Rifiutare convintamente, ad esempio, come facciamo da sempre, l'utilizzo
>delle spranghe o l'incendio delle auto, non risponde solo al buonsenso e
>alla nostra storia, ma anche alla prospettiva di incidere realmente sulla
>realtà che ci circonda. La pratica del cambiamento dev'essere la bussola
>del nostro agire politico, se intendiamo evitare di finire alla deriva
>come la classe dirigente del nostro paese. Per dimostrare che non torniamo
>indietro, che non ci facciamo dividere né reprimere né strumentalizzare,
>per rispondere all'offensiva violenta del potere che arriva ad
>attraversarci nelle nostre stesse contraddizioni, per costruire
>un'alternativa alla fuga, abbiamo il compito di non arretrare di un passo
>e di mettere un piede avanti all'altro nel cammino comune
>dell'alternativa. La nostra speranza è troppo forte per essere fermata.
>
>
>«Fratelli miei, non ci hanno vinti. Siamo ancora liberi di solcare il mare».
>
>
>LINK-Coordinamento Universitario
>
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>
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>
>
>Martina Tarantola,DVM,PhD
>Università Degli Studi di Torino
>Dip. Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia
>Via Leonardo da Vinci 44
>10095 Grugliasco (To) ITALY
>Tel +39-011-670-9250
>Fax +39-011-236-9250