Cari tutti,
Da tempo su questa mailing list si discute di criteri "oggettivi" di valutazione. Pur condividendo l'idea che questi possano funzionare come "ausilio", decretare che la scelta dei candidati da assumere possa essere fatta affidando a quei parametri priorità assoluta è, a mio avviso, estremamente pericoloso e contro lo spirito di qualunque attività scientifica, dove la capacità di valutazione risiede in chi valuta e non su numeri ragionieristici. E' a questo che ci vogliamo ridurre? Tanto vale far fare le scelte da un computer.
L'uso di strumenti come gli indici di valutazione è uno strumento valido, a mio avviso, esclusivamente se serve come PARTE della valutazione, insieme ad altri parametri.
Il criterio essenziale, tuttavia, è che credo che, qualunque strumento si utilizzi per la valutazione, nel momento in cui lo strumento diventa rigido, farraginoso o troppo carico di cavilli, si apre la strada o a valutazione insensate o ad abusi "legalmente validi".
Il solo criterio vincente, a mio avviso, è una valutazione dei risultati a posteriori. Deve essere lecito scegliere un candidato che sulla carta vale meno di un altro, se questo candidato ha, per esempio, migliori chances di integrarsi e portare frutti positivi nel gruppo dove verrà inserito. Deve essere tuttavia stringente una valutazione dell'attività del candidato nei primi due-tre anni, con conseguenze efficaci in caso di insuccesso per chi ha scelto e per chi è stato scelto, nonché per la struttura di appartenenza.
Di fronte ad un sistema capace di valutare davvero l'efficacia delle scelte, con una vera responsabilizzazione di chi sceglie e della sua struttura, nessuno avrà interesse a prendere persone scadenti. Senza la responsabilità, e l'uso automatico di criteri pseudo oggettivi non può che aggravare il problema, non avremo mai valutazioni serie.
Il rischio è ragionare in termini analioghi al mettere a zero il tasso alcolemico alla guida per punire chi ha tre grammi di alcool nel sangue. Chi beve, si droga o altro è già ben al di là delle norme. Stringere i parametri equivale a rendere la vita difficile a chi segue le regole. Chi le infrange comunque non si accorgerà della differenza. Se invece si facessero davvero controlli a tappeto allora sì che si vedrebbe una differenza.
E' la "certezza della pena" che può cambiare le cose, non regole su regole.
Cordialmente, Guido Mula
On 11/01/09 19:58, "Ugo Vaccaro" uvaccaro@gmail.com wrote:
Salve, sono Ugo Vaccaro (informatico) ed ho presieduto la commissione nazionale degli informatici che ha elaborato il documento per la valutazione della ricerca per cio' che riguarda l'area INF/01. Ho trascorso molto (troppo!) tempo a studiarmi tutti gli indicatori bibliometrici che sono stati proposti in letteratura (una bella valutazione di essi li trovate su tanti lavori pubblicati sulla rivista Scientometrics http://www.springerlink.com/content/101080/). La conclusione che ne ho tratto e' che si puo' senz'altro delegare ad un loro calcolo la valutazione della validita' della ricerca svolta da un collega, ma cio' e' perfettamente equivalente a "scollegare" il proprio cervello, rinunciando ad esercitare le facolta' critiche che ci dovrebbero essere proprie (in qualita' di scienziati). E' sicuramente riposante e comodo, ma credo che non ci si confa'. In uno di tali articoli era citata la seguente frase diS. Brenner (premio Nobel medicina, 2002): "What matters absolutely is the scientific content of a paper, and NOTHING will substitute for either knowing or reading it" . Io la condivido in pieno.
Altra questione e' l'uso "consapevole" (cioe' l'uso consequenziale ad un loro studio approfondito) di criteri bibliometrici come AUSILIO per la valutazione della ricerca.
Concludo dicendo che concordo con chi ha detto che l'imposizione di parametri "oggettivi" sembra essere in contraddizione con lo spirito della lettera di Procesi, e' che piu' si arzigogola sule regole (sperando vanamente di impedire ai delinquenti di delinquere) e peggio e'.
Cordiali saluti Ugo Vaccaro
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