Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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