L'intervento che segue è stato pubblicato, con titolo diverso, sul quotidiano "Europa" di oggi 14 settembre. Luciano Modica
ABILITAZIONI UNIVERSITARIE: UNA MODESTA PROPOSTA Luciano Modica, 12 settembre 2012
I concorsi universitari sono un argomento maledetto: piace troppo ai professori universitari e disgusta tutti gli altri. Un argomento su cui si discute da sempre e per il quale non esistono soluzioni perfette. Un argomento fonte di molti scandali, anche se di impatto effettivo minore di quanto si voglia far credere. Un argomento comunque importante perché regola lo sviluppo della ricerca e l'emergere dei migliori talenti.
Sono molti anni che i concorsi universitari sono entrati in tilt. Dopo diciannove anni di rari e criticati (all'epoca) concorsi nazionali, dopo otto anni di frequenti e criticati concorsi locali, la legge Moratti del 2005 aveva introdotto nuove procedure. Ma la frettolosità con cui furono emanati i decreti applicativi all'approssimarsi delle elezioni politiche del 2006 fece sì che questi risultassero tecnicamente inapplicabili. Così, dopo due anni di blocco, una legge del Governo Prodi riaprì temporaneamente i concorsi locali per il solo anno 2008. Ne è seguito dal 2009 un nuovo blocco che si sarebbe dovuto sciogliere con l'applicazione della legge Gelmini del dicembre 2010. Però, a due anni di distanza, siamo ancora nelle fasi preliminari e quindi, in sostanza, da sette anni il sistema del reclutamento e delle promozioni è entrato in crisi, con gravi conseguenze sul mondo universitario delle quali al suo esterno nessuno sembra rendersi davvero conto. L'effetto più perverso è che molti giovani e brillanti ricercatori italiani, in assenza di prospettive certe, hanno accettato proposte di assunzione di università straniere. Ma non è l'unico.
Il nuovo sistema della legge Gelmini, che segue peraltro proposte avanzate dagli esperti sin dal 2004, ha spezzato la procedura del reclutamento e delle promozioni in due fasi. La prima nazionale che porta al conseguimento di un'abilitazione scientifica (a numero aperto); la seconda locale, riservata ai soli abilitati, che permette ad un ateneo, dopo una selezione competitiva, di reclutare un nuovo professore. Attualmente è aperto il primo bando per il conseguimento dell'abilitazione nazionale ma nuvole nere si addensano già sul suo futuro. Fioccano gli interventi critici sulla stampa e sui siti specializzati (uno di questi ha raggiunto il milione di accessi in soli dieci mesi di vita!), come non mancano le prese di distanza degli organi rappresentativi universitari e anche i ricorsi ai tribunali amministrativi proposti da autorevoli giuristi.
L'argomento del contendere è, in fondo, uno solo. Nel giugno scorso un decreto ministeriale ha fissato, su indicazione dell'Agenzia nazionale di valutazione universitaria (ANVUR), i criteri e i parametri per valutare i curricula dei candidati e la qualificazione dei commissari. Questi criteri e parametri sono ampiamente condivisibili, al di là di questioni di dettaglio, e costituiscono una profonda e interessante analisi dei numerosi e disparati fattori che contribuiscono a delineare la qualità scientifica di un docente universitario. In un punto il decreto ha però voluto strafare, introducendo alcuni indicatori quali-quantitativi di tipo sostanzialmente bibliometrico per i quali sembra che occorra superare alcune soglie numeriche (le famose mediane) per essere ammessi rispettivamente all'abilitazione o al sorteggio per le commissioni giudicatrici. Sembra? Il punto è proprio questo. Il decreto, il cui testo non fa onore agli estensori tanto è intricato, in un comma afferma che possono essere abilitati esclusivamente i candidati che superano le soglie numeriche previste, in un altro che le commissioni possono utilizzare criteri diversi.
Tutti gli indicatori bibliometrici sono interessanti ma presentano forti limiti di descrittività, documentate da miriadi di analisi pubblicate sulle riviste specializzate, tanto che in nessun Paese sono utilizzati in modo automatico e vincolante per reclutare o promuovere i docenti. Speriamo che l'Italia non si lanci incautamente nell'essere il primo a farlo perché le conseguenze potrebbero essere addirittura disastrose per il futuro dell'università, come è stato ripetutamente segnalato da alcuni tra i più validi intellettuali italiani di varie discipline. Recentemente i componenti del consiglio direttivo dell'ANVUR hanno diffuso l'idea che il superamento delle mediane non sia in realtà prescrittivo. Ma, in temi di diritto, il decreto ministeriale prevale evidentemente su ogni altra pur autorevole considerazione. Avanzo allora una modesta proposta al Ministro Profumo: intervenga autorevolmente e chiarisca una volta per tutte, meglio se con un provvedimento normativo erga omnes, che il superamento delle mediane è uno dei fattori di cui le commissioni dovranno tener conto e non la condizione necessaria per conseguire l'abilitazione. E' forse il modo migliore per salvare l'intera procedura dell'abilitazione, per rimettere in moto il sistema concorsuale bloccato, per garantire parità di trattamento contro ogni gattopardismo universitario, per raccogliere con saggezza le critiche motivate riguardanti i parametri bibliometrici. Ma soprattutto è il modo migliore per salvaguardare l'irriducibile e positiva complessità della mappa dei saperi nelle università e quindi la sopravvivenza di intere nicchie disciplinari di grande prestigio internazionale e valore culturale anche quando fanno capo a piccole comunità o si caratterizzano per approcci innovativi o interdisciplinari.