Io non credo che al momento attuale la questione del valore legale o meno sia poi prioritaria. Ben altri problemi affliggono l'Università, a cominciare dal sotto-finanziamento cronico, associato ad una over-legislazione e over-regolamentazione forsennata, con continui cambiamenti, di cui non si riesce a capire il disegno a lungo termine.
Il valore legale, al momento attuale non garantisce certamente l'equivalenza dei titoli conseguiti in tempi diversi o in una università diversa. Quello che dovrebbe garantire è un livello MINIMO di qualità per tutti. Il valore legale si esplica poi nei concorsi pubblici (il privato può fare quello che vuole). Dal momento che i concorsi pubblici in Italia sono quello che sono, dire che per un certo tipo di attività ci voglia una laurea di un certo tipo, non mi sembra una così insensata.
Bisognerebbe prima capire cosa i nostri grandi tecnici hanno in mente con l'abolizione del titolo, e quali benefici ne trarrebbe il cittadino (o se vogliamo, dato che è più importante, il "mercato").
Alberto Girlando
On Fri, 2012-01-27 at 20:12 +0100, Alberto Lusiani wrote:
Sono d'accordo con quanto ha scritto Carlo Traverso. Vorrei aggiungere qualcosa relativamente ai commenti successivi.
Il primo punto che vorrei sottolineare e' che e' semplicemnete al di fuori della possibilita' dello Stato assicurare l'equivalenza di lauree o peggio votazioni di laurea in sedi diverse e perfino in anni di conseguimento diversi, anche entro ampi margini. Non solo, se teniamo presente il progressivo livello di internazionalizzazione specie futura della nostra societa', in Europa e nel mondo, e' del tutto fuori luogo pensare che lo Stato possa garantire la c.d. equipollenza di titoli e voti italiani con quelli stranieri, per esempio della Mongolia oppure anche solo della Romania. Il vero e unico giudizio di valore su un titolo rilasciato lo potra' dare la vita reale, facendo un bilancio nei decenni successivi dei risultati di chi lo ha ottenuto rispetto ai risultati (redditi, risultati imprenditoriali o scientifici) di chi non ha il titolo in questione oppure ne ha uno di simile ma di altra universita' o Stato.
C'e' poi un secondo punto importante da tenere in considerazione, quali sono gli incentivi che vengono determinati dal valore legale del titolo di studio, anche solo nei concorsi e nelle carriere pubblici? Gli incentivi sono ovvi, la condotta ottimale in presenza di valore legale garantito dallo Stato, specie uno Stato inefficiente e spesso distorto da logiche di fazione come quello italiano, e' quella di puntare ad ottenere il "pezzo di carta" col minimo sforzo e la minima spesa, indipendentemente da ogni competenza utile acquisita. Se ci si pensa bene l'universita' del CEPU come anche le lauree facili garantite da Siena e Kore a dipendenti pubblici con sconti cospicui su corsi ed esami in cambio di attestazioni di anzianita' di servizio sono le risposte ovvie e scontate all'incentivo determinato dalle norme vigenti sul valore legale del titolo di studio. Se non c'e' valore legale ma le competenze devono essere appurate con prove competitive, questi incentivi a far male e al limite imbrogliare svaniscono.
Quando si legifera secondo me va posta estrema attenzione agl iincentivi determinati: anche per una questione di efficienza lo Stato semplicemente non puo' avere la capacita' di far rispettare norme corrette dal punto di vista ideale ma che mettono in moto incentivi distorti o scorretti.
Lo Stato dovrebbe secondo me limitarsi ad un compito molto piu' alla sua portata, cioe' quello di far rispettare dei livelli minimi alle sedi che rilasciano titoli, come avviene ovunque in Europa, senza pretendere di garantire equivalenza accurata specie dei voti, e poi anche documentare con studi statistici il valore medio acquisito con i titoli di studio nella vita reale, sia nel settore privato delle imprese sia nel settore della ricerca scientifica.
Cordialmente,