La Fondazione A.R.E.A. (Approaching Research Educational Activities) ha organizzato un convegno sulla valutazione della ricerca che si è tenuto il 19 marzo scorso a Pisa. Gli atti sono stati pubblicati dalla casa editrice ETS:
http://www.edizioniets.com/Scheda.asp?N=9788846732965&from=novita&so...
Il volume contiene, oltre al mio intervento, anche quelli di Andrea Lenzi, Paolo Miccoli, Vincenzo Barone, Orlando Crescenzi, Adriano Fabris, Giorgio Sesti, Andrea Graziosi e Andrea Bonaccorsi.
Riporto qui di seguito l'introduzione del mio intervento.
Luciano Modica
PASSATO E FUTURO DELLA VALUTAZIONE DELLA RICERCA UNIVERSITARIA Valutare che cosa? Valutare come? Valutare perché?
Luciano Modica Università di Pisa
Introduzione
Ci si potrebbe chiedere perché nel titolo di questo intervento ho omesso la parola "presente" tra passato e futuro. Eppure il presente vede in Italia un dibattito particolarmente vivace sulla valutazione della ricerca universitaria in quanto l'ANVUR (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca) ha appena lanciato il programma VQR (Valutazione della qualità della ricerca) relativo ai sette anni 2004-2010. Però, siccome gli altri interventi di questo interessante e tempestivo convegno organizzato dalla Fondazione A.R.E.A. saranno incentrati sul VQR, ho preferito dedicare piuttosto il mio ad una rapida carrellata sul passato della valutazione della ricerca e sulle sue prospettive strategiche. Ecco il senso della voluta omissione.
Sono convinto che anche solo una breve cronaca di ciò che è avvenuto in passato, in Italia e all'estero, possa essere di aiuto per orientare con saggezza le azioni ed evitare di ripercorrere le medesime strade, soprattutto quando queste si sono rivelate dei dedali. Si eviterebbe inoltre la ricorrente tentazione, tipica della politica ma ormai ahimè molto diffusa anche in altri campi, di attribuirsi sempre e comunque la priorità e originalità in ogni attività, dimentichi che la conoscenza si muove sempre per aggiunte successive, per trial and errors, e che i cambiamenti di paradigma alla Thomas Kuhn, per quanto importanti, sono piuttosto rari. Secondo il vecchio e abusato detto medievale, conviene considerarci sempre nani arrampicati, per vederci meglio, sulle spalle di giganti.
Sono altresì da sempre convinto che una corretta e stringente valutazione della qualità delle attività universitarie, sia didattiche che di ricerca, sia una sfida non più rinviabile se vogliamo costruire e consolidare un futuro migliore per il nostro sistema universitario e per garantirgli la necessaria autonomia e l'obbligata responsabilità. Da molto tempo l'Italia destina all'università e alla ricerca, sia pubblica che privata, meno risorse finanziarie di tutti gli altri Paesi europei dell'OCSE. Il distacco sta aumentando. Occorre invertire la rotta quanto prima se vogliamo assicurare un futuro di benessere ai nostri figli e nipoti. Difficilmente ciò potrà accadere se non riusciremo a convincere i nostri concittadini che ogni risorsa è veramente ben spesa e assicura il massimo possibile di risultati, superando così l'attuale fase di profondo e ingiusto discredito che va ben oltre le reali magagne del sistema universitario. Come per ogni altra spesa pubblica questa lenta opera di convincimento della società odierna non può passare se non attraverso una pubblica, trasparente, onesta valutazione della qualità e quantità dei risultati ottenuti. Il tempo della fiducia "a scatola chiusa", per ragioni di gerarchie intellettuali o ideologiche, è (fortunatamente) finito. Occorre però porre la valutazione della qualità della ricerca su basi solide, condivise, non episodiche. Altrimenti tutto il meccanismo ne può venire infirmato e si finirebbe con l'allontanare nel tempo il necessario consenso dell'opinione pubblica, oltre che di quella accademica. Si rischia insomma che una manovra azzardata quando la costa è vicina porti la barca a vela di nuovo in alto mare.
Un cenno al sottotitolo è necessario. Quando indico il che cosa, il come, il perché della valutazione, con tre punti interrogativi, voglio trasmettere un ben preciso messaggio. Usiamo pure per semplicità il termine "valutazione" al singolare, come è d'uso. Ma non dimentichiamo che sarebbe più opportuno un plurale, perché di valutazioni, o meglio di paradigmi valutativi, ce ne sono molti, ben diversi e tutti importanti. Non parlo solo delle naturali differenze valutative tra le discipline, che pure non vanno trascurate perché ogni comunità disciplinare ha il diritto (e il dovere!) di fissare i propri canoni. Né parlo solo della particolare attenzione da dedicare alla valutazione delle ricerche che si situano alla frontiera tra differenti discipline, così importanti oggi. Ma intendo differenziazioni ancora più generali.
Valutare il curriculum scientifico di un ricercatore ai fini della sua carriera è cosa ben diversa dal valutare la performance di un gruppo di ricerca, di un dipartimento, di un ateneo o di un sistema universitario. E' ben diverso valutare un lavoro scientifico ai fini della pubblicazione o un progetto di ricerca ai fini del suo finanziamento. Valutare mediante il giudizio di referees esperti, indipendenti e anonimi è ben diverso che valutare allineando o combinando uno o più indicatori bibliometrici o di altro tipo. Valutare per un avanzamento nella carriera accademica, per assegnare un finanziamento, per posizionare e indurre un miglioramento della qualità della ricerca (e della didattica!) di un dipartimento, per informare e rassicurare l'opinione pubblica, per individuare efficaci politiche di governo e di sviluppo di un'università: sono tutti aspetti diversi e certamente non esaustivi di uno stesso "sistema" di valutazione. La complessità va affrontata coscientemente e pacatamente, perché esiste davvero. Ogni frettoloso riduzionismo semplificatorio sarebbe pernicioso.
Lo spazio di una conferenza è ovviamente tiranno. Mi scuso quindi se non riuscirò a dare a questo intervento l'organicità e la completezza di un saggio, in particolare per quanto riguarda le corrette citazioni della sterminata letteratura internazionale specializzata. Ma un debito intellettuale importante non posso non riconoscere subito, quello verso il recente volume di Alberto Baccini "Valutare la ricerca scientifica. Uso e abuso degli indicatori bibliometrici"[1] da cui ho imparato e trarrò molto. Tra i tanti amici con cui ho ragionato di valutazione universitaria negli ultimi quindici anni mi limito a citare, scusandomi con tutti gli altri, la redazione e i collaboratori del sito ROARS (Return on Academic Research)[2] per la vivacità e la passione con cui hanno contribuito ad animare il dibattito sulla valutazione della ricerca negli ultimi mesi.
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[1] Il Mulino, Ricerca, Sezione di economia, 2010
[2] www.roars.it