Carissimi/e
già in passato mi sono espressa a favore del rinnovamento del turn-over, a scapito della progressione di carriera (io sono una ricercatrice ed anche attempata: 47 anni, di cui 11 da strutturata). Sento parlare di tante cose belle e di moralità, finchè non si mettono in discussione le realtà personali. Sono tante le mail di colleghi che si sentono urtati quando si parla di "limitazione nei confronti di parenti, ecc". Vi dico la mia, ritenendomi assolutamente al di fuori di qualunque gioco di privilegio. Mio padre vendeva i mattoni, mia madre era casalinga: era l'epoca in cui ci si poteva permettere di sbarcare il lunario con un solo stipendio, e l'orgoglio di avere una figlia che tentasse di sfondare nella carriera universitaria ha portato i miei familiari a sostenermi nei vuoti finanziari, finchè non ho vinto l'agognato concorso. Con questo preambolo mi esprimo a proposito dei "figli di", perchè HO la conoscenza della realtà di alcune facoltà di Firenze (badate bene, di alcune) e ritengo di essere imparziale. Ci sono dei "figli di" che veramente hanno portato avanti, ed in alcuni casi superato, il retaggio dei genitori. Ma ci sono anche persone vergognosamente incapaci, che si trovano ad occupare posizioni indegne. Facciamoci un esamino di coscienza: io, ma anche altri ricercatori della mia Facoltà, siamo disposti a rinunciare a progressioni di carriera, almeno temporaneamente, pur di equilibrare le esigenze reali dei vari SSD, sia nella docenza, che nella ricerca. Però, voi docenti: a cosa siete disposti a rinunciare per il bene della nostra Università e degli studenti? Non può essere che quando minimamente si tocca l'interesse economico/personale arrivino messaggi su messaggi di giustificazione e di puntualizzazione sulle realtà personali. Se la mentalità non cambia, ha ragione il fantoccio della Gelmini (o chi per essa)
Scusate lo sfogo, ma ogni tanto scoppio,
Lucia