Qui non si tratta di fare populismo... questo è un articolo su Il Fatto di oggi. Se si passasse al regime tedesco, i partiti potrebbero essere un po' più sani, e se solo parte di questi soldi venissero dati alla ricerca sarebbero certo sprecati un po' meno.. o no ?
Adesso, a meno di non agganciarsi a qualche ricerca europea, non ci sono neppure i soldi per comprarsi uno strumento "normale". 10-15 anni fa non era così.
Alberto Girlando
=============================================================== I tedeschi sono quelli che lo fanno meglio, che piaccia o no. In materia di finanziamento pubblico alla politica, sono i più parsimoniosi e severi in Europa. Da noi, ai partiti vanno 4 euro per ogni iscritto nelle liste elettorali (e per cinque anni di legislatura), da loro appena 85 centesimi per ogni voto valido. È lo spread impietoso sulla Casta, tra noi e loro. In Germania, i contributi non possono andare oltre il tetto dei 133 milioni di euro annui. Rigidamente suddivisi: una parte proporzionale ai voti avuti e l’altra legata all’autofinanziamento. In pratica per ogni euro donato da iscritti e simpatizzanti si ricevono 38 centesimi. Quest’ultima norma è per incentivare la militanza politica, mentre da noi è praticamente scomparsa. Non solo. In Italia, dopo il referendum che abolì il finanziamento ai partiti (legge introdotta nel 1974), fu fatto un tentativo per mantenere i partiti con la contribuzione volontaria. Ma fallì miseramente e venne fuori così la scandalosa legge sui rimborsi elettorali, che ha consentito ai partiti di accumulare tesoretti di milioni di euro. Giusto per fare un paragone rispetto ai teutonici: alle elezioni del 2006 i partiti italiani hanno speso 123 milioni di euro. In cambio hanno ottenuto 499 milioni 645 mila 745 euro, come spiegano Elio Veltri e Francesco Paola nel loro I soldi dei partiti. Una differenza percentuale, tra soldi spesi e incassati, del 406,63 per cento. Un altro spread senza vergogna. In Germania, poi, il sistema dei controlli è rigidissimo, non lacunoso. I bilanci devono un triplice timbro, non formale: presidenti dei partiti, vertice del Bundestag, Corte federale dei conti. Per chi sgarra, per i von Lusen della Margheriten, c’è il carcere da tre a cinque anni. In Francia, i partiti prendono i soldi sia come contributo annuale sia sotto forma di rimborsi elettorali. Ma le spese sono più contenute: 116 milioni di euro per il 2007 a fronte di 79 milioni impegnati in campagna elettorale. Anche i francesi cercano un equilibrio tra finanziamento pubblico e privato. Da noi, invece, rispetto a Francia e Germania, i bilanci dei partiti sono costituiti soprattutto da soldi pubblici: nel 2005 l’80% per FI, Ds, An, Comunisti italiani e addirittura il 99% per Margherita e Italia dei valori. Nel Regno Unito, il rapporto è addirittura inverso: per la campagna elettorale del 2010 ci sono state donazioni private per 26,3 milioni di sterline e finanziamenti pubblici per soli sei milioni. La realtà è che in Inghilterra prevale la logica dei servizi, non dei soldi. Ai partiti vengono dati spazi tv e radiofonici, servizi postali, spazi pubblici per riunioni e incontri elettorali. In Spagna, infine, prevale il regime dei rimborsi elettorali, ma il finanziamento complessivo neanche qui raggiunge le cifre astronomiche dell’Italia: nell’ultimo decennio è passato da 57 a 82 milioni di euro all’anno. Non c’è dubbio: i partiti italiani sono i più ricchi.