io concordo pienamente con Bellini, non a caso avevo sostenuto (anche senza aver fatto una puntuale analisi quantitativa) che la proposta mi sembrava da cialtroni.
Ora come dice Girlando, non vale la pena discutere su qualcosa che e` andata in un binario morto se non per essere estremamente preoccupati di come il PD gestira` l'opposizione a questo provvedimento. In altre parole, il contributo del PD sara` escusivamente a favore di richieste corporative senza alcuna visione lungimirante? Non sarebbe certo la prima volta che la sinistra perde la primogenitura per un piatto di lenticchie (Esau--Genesi).
E` chiaro che la chiave di tutto dovrebbe essere saper valutare l'importanza strategica dell'Universita` e della ricerca per il futuro del paese, sia culturale che economico, ma temo che per alcuni sia solo una bella frase da mettersi in bocca e non il frutto di una analisi puntuale. Una buona politica dovrebbe quindi armoniosamente valorizzare ed utilizzare tutte le eccellenze presenti nel sistema, che siano giovani imberbi o vecchietti come me. Naturalmente con una strategia a medio e lungo termine per gestire il ricambio generazionale che come tutti sanno benissimo, visto che i numeri sono inoppugnabili, avra` comunque un picco elevatissimo nei prossimi anni.
Resta la domanda di cosa veramente vuole la attuale classe di governo e le forze economiche che la appoggiano?
La mia impressione e` che in realta` le cose sono piu` banali di quanto si sospetta, cioe` che invece di grandi visioni di ridimensionamento dello stato a favore dei privati ci sia semplicemente una fondamentale incompetenza e necessita` di avere facile consenso. D'altra parte la visita al Cepu di Berlusconi dovrebbe illuminarci. Immaginate un qualunque conservatore americano di qualche peso che prendesse come modello di Universita` privata il Cepu? Qui la destra c'entra solo nel suo aspetto caricaturale. Questa dovrebbe essere una cosa estremamente preoccupante anche per tutti gli Italiani di destra.
Comunque io suggerisco:
1. Fa troppo caldo e meritiamo una vacanza, aggiorniamoci a Settembre.
2. Cerchiamo di pensare a qualche cosa di condiviso per Settembre che non sia aria fritta ma cerchi di andare a colpire gli aspetti piu` deleteri della attuale discussione politica.
claudio On Jul 24, 2010, at 7:26 AM, v_bellini wrote:
Buongiorno. Mi risulta difficile dialogare con il collega Esposito, perchè a parte le chiacchiere, se i dati fondamentali del suo argomentare sono sbagliati, non vedo come possiamo convergere verso un modello di Università funzionante. Come si fa a scrivere : omissis
Il rischio, invece, è che il pensionamento anticipato senza l'immissione di nuove leve, mediante blocco del turnover o con il rimpiazzo di un quinto rispetto alle uscite, serva solo ad affrettare il processo di ridimensionamento del settore universitario, alla faccia della continuità e del mantenimento dell'offerta formativa e, complessivamente ,della cultura italiana, Se nel breve periodo ciò non farà fare cassa al bilancio pubblico, nel lungo periodo, è innegabile, che un beneficio economico si potrà ricavare.
omissis Questa affermazione, che io, pur non essendo un economista, considero fondamentalmente sbagliata, parte da alcuni presupposti, che io penso che siano inoppugnabilmente sbagliati. a) l'avviamento commerciale rappresentato dall'esperienza didattica e scientifica dell'attuale classe dirigente dell'università non avrebbe valore economico, anzi i nuovi venuti sarebbero senz'altro in grado di lavorare bene da SOLI senza gli anziani più esperti, facendo funzionare meglio l'azienda Università. Questo equivale a negare il valore dell'attività sperimentale nella Scienza, basandola solo sull'intuizione. A questo riguardo ricordo le intuizioni scientifiche del filosofo Hegel. b) la ricerca fondamentale non serve a produrre conoscenza applicata, cioè per chi ha una visione puramente economicistica della realtà, know how e brevetti, che i paesi, privi di materie prime come è l'Italia, a parte i cervelli, devono comprare a caro prezzo sui mercati internazionali, per mantenere accettabili livelli della produzione e dei consumi popolari ad essa correlati. A confutazione di ciò, cito l'esempio del linguaggio HTML, usato per la diffusione di internet, inventato al CERN per esigenze di ricerca fondamentali. Per non parlare delle telecomunicazioni moderne, basate sullo sfruttamento intensivo delle equazioni di Maxwell. c) il settore pubblico, nel campo della ricerca, non è competitivo rispetto al settore privato, quindi occorrerebbe tagliare il settore pubblico, trasferendo risorse al privato, perchè così l'azienda Italia funzionerebbe meglio. Credo che ciò che accade nel mondo della Sanità è sotto gli occhi di tutti, per potere concludere da parte mia che semmai è l'utilizzo di risorse pubbliche a fini privati, il cancro che rende la ricerca medica in Italia meno competitiva. Questo non accade, o solo in misura minore, nel settore scientifico-tecnologico. Pertanto io nego che nel lungo periodo fare cassa da parte di questo governo nel settore dell'Università e dell'Istruzione, generi un beneficio economico. Semmai è proprio il contrario, come dimostra l'evidenza sperimentale nei paesi industriali evoluti. Cordiali saluti Vincenzo Bellini
From: "Rino Esposito" gennaro.esposito@uniud.it Sent: Saturday, July 24, 2010 4:05 AM To: "Forum \\\"Università eRicerca\\\"" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it; "v_bellini" v_bellini@alice.it Cc: "ForumUniversitàe Ricerca" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it; "Vincenzo Bellini" Vincenzo.Bellini@ct.infn.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Rif: Re: Fwd: Ai firmat aridell'appello "In difesa dell'Università"
Grazie a Bellini per la puntuale informazione.
Posso rispondere che complessivamente è questione di priorità. Certo se guardiamo la questione da un punto di vista strettamente economico-finanziario, nell'ambito di quello che è il bilancio tremontiano, il discorso non fa una grinza. Ma appunto, ci interessa salvaguardare i conti entro le compatibilità delle scelte del governo di destra attuale (non dissimili, al riguardo, almeno finora, da quelle del precedente governo di centro-sinistra), oppure vogliamo proporre qualcosa che vada oltre?
Insomma in Italia il numero degli addetti alla ricerca è meno della metà di quello della Francia, un terzo di quello tedesco, un quinto di quello guapponese o americano (la fonte è un rapporto del CNRS comparso lo scorso anno che cercherò di reperire). Se dobbiamo accettare la logica del non spendere di più per la ricerca e per l'università, del non gravare sullo stato sociale con le nostre pensioni (noi dissipatori della ricchezza pubblica), allora gli argomenti tengono. Vorrei però far notare che la sola manovra di taglio dell'ICI a chi non ne aveva bisogno ha consumato risorse 10 volte maggiori dei 300 milioni che servirebbero per finanziare il pensionamento anticipato dei docenti universitari. E che dire allora delle scelte del governo Prodi che dette agli industriali quasi 10 miliardi di Euro per abbassare il costo del lavoro, senza che l'industria desse in cambio nulla (anzi al momento opportuno è stata in prima fila nell'appoggiare la destra e defenestrarlo)?
Io penso che la scelta di aumentare lo stanziamento per la scuola e l'Università sia la via giusta per far progredire il Paese. Aumentare la diffusione del sapere, aumentare le opportunità per coloro che vogliono fare ricerca, aumentare il sapere perché è anche questo che produce l'Università, al di là degli sprechi, aumentare la spesa per tutto ciò farebbe solo bene a questo Paese. Il bilancio si può stringere da altre parti.
Ricordo a tutti solo uno degli esempi descritti da Stella nel suo libro sulla casta: 5 milioni di Euro all'anno spesi per mantenere la bouvet dei pralamentari. Vi ricordate qual è stato lo stanziamento PRIN di quest'anno? Se quei 5 milioni li dessero annualmente per l'acquisto di grandi strumenti invece che per la famosa "lasagnetta al ragù bianco e scamorza che costa la metà di una pastasciutta alla mensa degli spazzini" si potrebbero sanare definitivamente tutte le necessità di rinnovo e manutenzione delle grandi strumentazioni di ricerca dei laboratori universitari in Italia, necessità escluse da un decennio dalle richieste di fondi.
L'esempio da la dimesione del problema: stiamo parlando di cifre ridicole per un Paese di quasi 60 milioni di abitanti che si posiziona comunque tra le 10-15 economie più consistenti del globo!
Io so solo che abbiamo sempre meno soldi per i dottorati. So solo che dopo 3 anni di dottorato e un paio di postdoc (quando riusciamo a reperire i fondi), dobbiamo rassegnarci a vedere partire per l'estero, senza possibilità di poterli richiamare poi, i pochi giovani di valore che animano i nostri laboratori. So solo che la continuità dei gruppi di ricerca, delle scuole che si creano dopo 10-20 anni di lavoro in una sede, non è nemmeno in discussione, è semplicemnte un lusso che non ci possiamo permettere.
La continuità didattica e scientifica, caro Bellini, non sarebbe messa in discussione solo dai pensionamenti anticipati, ma è già pesantemente compromessa nell'asfittico assetto attuale.
C'è da riconoscere, perciò, che stiamo già parlando della miseria. Accettare di essere messi ancora di più in un angolo, di essere ulteriormente ridimensionati, significa distruggere tutto visto che una parte delle ridotte risorse andrà sempre a premiare un numero purtroppo consistente di gruppi di basso livello che sono la base di massa di questo sistema accademico in cui c'è anche malcostume, per dire il minimo.
Ci battiamo per eliminare del tutto questo spreco, affinché anche l'ultimo euro dato al nostro comparto non arrivi a chi non lo merita, ma abbiamo visto che le campagne per la meritocrazia, una necessità vitale per chi lavora veramente, si fanno da tutte le parti, spesso solo per mascherarsi dietro uno slogan demagogico e gettare discredito generalizzato da sfruttare per indebolire un'intera categoria e manovrare con le mire più diverse.
Mandare in pensione tutti a 65 anni, mantenendo gli attuali levelli di consistenza numerica, non è una punizione, a mio avviso, per i colleghi più maturi, ma un'opportunità perché più giovani vengano immessi. Il rischio, invece, è che il pensionamento anticipato senza l'immissione di nuove leve, mediante blocco del turnover o con il rimpiazzo di un quinto rispetto alle uscite, serva solo ad affrettare il processo di ridimensionamento del settore universitario, alla faccia della continuità e del mantenimento dell'offerta formativa e, complessivamente ,della cultura italiana, Se nel breve periodo ciò non farà fare cassa al bilancio pubblico, nel lungo periodo, è innegabile, che un beneficio economico si potrà ricavare.
Il sospetto però è che nemmeno questo beneficio verrà mai tratto. I sintomi di una gestione della cosa pubblica che bada piuttosto a compiere un assalto alla diligenza, sono sotto gli occhi di tutti. Il risparmio complessivo derivante dal dimagramento del settore universitario potrebbe servire solamente a dare risorse agli amici degli amici, a quel sottobosco del malaffare che millanta credito di tipo scientifico. Alcuni episodi si sono già prodotti, altri potrebbero seguire ...
Rino Esposito
Quoting v_bellini v_bellini@alice.it:
FONTE Paolo ROSSI (FIS/01) Membro CUN
L'informazione è adattata, ma fedelmente, estraendola da un file -pdf, che qui non posso allegare al mio e-mail .
EFFETTI DELL'IPOTESI DEL PENSIONAMENTO DEI PROFESSORI A 65 ANNI
SULLE DINAMICHE E SUI COSTI DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
- La dinamica della docenza
I dati fino al 2010 rappresentano l'andamento storico della docenza nell'ultimo quindicennio.
La prima simulazione (colonne blu) si basa sull'ipotesi che ordinari e associati già in servizio
nel 2010 vadano in pensione soltanto dopo il compimento del settantesimo anno d'età. Di
conseguenza i numeri indicati in corrispondenza dellle date a partire dal 2011 rappresentano il
numero massimo dei docenti che resteranno in servizio a quelle date. Non si fanno ipotesi sul
reclutamento futuro nelle due fasce, per cui la simulazione, a partire dal 2011, riguarda
esclusivamente il personale docente già oggi in servizio.
La seconda simulazione (colonne rosse) si basa sull'ipotesi che entro un quinquennio il
pensionamento scenda a 65 anni, e quindi a partire dal 1 novembre 2011 e fino al 1 novembre
2015 vadano in pensione ogni anno due classi d'età (70-69, 69-68, 68-67, 67-66, 66-65),
arrivando a regime nel 2015 con uno schema analogo a quello applicato per l'eliminazione
del "fuoriruolo". È difficile immaginare un provvedimento di riduzione dell'età di
pensionamento che sia insieme realistico e ancor più accelerato di quello qui proposto.
Data Ordinari Associati TOTALE
31.12.1994 14281 16839 31120
31.12.1995 14275 16436 30711
31.12.1996 13724 16019 29743
31.12.1997 13412 15690 29102
31.12.1998 13112 18107 31219
31.12.1999 12917 18059 30976
31.12.2000 15037 17261 32298
31.12.2001 16898 17882 34780
31.12.2002 18143 18500 36643
31.12.2003 17972 18103 36075
31.12.2004 18095 18117 36212
31.12.2005 19289 18965 38254
31.12.2006 19865 19086 38951
31.12.2007 19642 18728 38370
31.12.2008 18939 18257 37196
31.12.2009 17879 17569 35448
31.12.2010 15966 17284 33250
31.12.2011 15226 14455 17028 16688 32254 31143
31.12.2012 14455 12884 16688 15959 31143 28843
31.12.2013 13654 11167 16350 14916 30004 26083
31.12.2014 12884 9020 15959 13603 28843 22623
31.12.2015 12149 7243 15531 12322 27680 19565
31.12.2016 11167 6550 14916 11767 26083 18317
31.12.2017 10077 5962 14250 11248 24327 17210
31.12.2018 9020 5413 13603 10759 22623 16172
31.12.2019 8071 4933 12961 10290 21032 15223
Come si vede dalla tabella (che si riferisce al totale dei professori), già la
dinamica del turnover risultante dalla normativa attuale comporta una decrescita rapida: gli
ordinari alla fine del 2012 saranno già in numero pari o inferiore a quello raggiunto verso il
1995, prima dell'autonomia e molto prima dell'entrata in vigore della legge 210, e gli
associati già nel 2011 saranno meno che nel 1995.
A legislazione invariata, il 50% degli ordinari attualmente in servizio (che sono quasi 18.000)
si sarà comunque pensionato entro il 2018. Con l'ipotesi di pensionamento a 65 anni, nello
schema ipotizzato questo dimezzamento avverrebbe entro il 2014. Un fenomeno analogo,
anche se più ridotto sul piano quantitativo (25% di pensionamenti alle stesse date) si propone
per gli associati.
La fuoriuscita annuale di circa 1000 ordinari e circa 500 associati determinata dalle norme
attuali pone già di per sé un pesante problema di continuità culturale, scientifica, didattica e
organizzativa al sistema universitario, e comunque, in caso di totale restituzione del budget,
garantirebbe già i fondi necessari a un adeguato ricambio del personale docente (la media del
reclutamento negli ultimi venticinque anni è sempre stata di poco meno di 1500 professori
all'anno, con fluttuazioni derivanti quasi soltanto dal variare della normativa).
Una fuoriuscita dal sistema di circa 2000 ordinari e circa 1000 associati annui per i prossimi
cinque anni, che deriverebbe dall'abbassamento dell'età di pensionamento, avrebbe invece
effetti devastanti in tutti gli ambiti sopra indicati: ricerca, didattica e gestione sarebbero in
moltissimi casi pressoché paralizzate, né è immaginabile un meccanismo di così ampia
sostituzione della docenza che sia insieme sufficientemente rapido e adeguatamente selettivo.
Nello scenario più probabile si avrebbe un reclutamento eccessivamente concentrato su poche
classi d'età, che, anche se non si trattasse di una ope legis, riprodurrebbe a distanza di
trent'anni gli stessi effetti del DPR 382/1980 (effetti di cui il sistema universitario ha pagato e
ancora paga le conseguenze) e quindi si pregiudicherebbe nuovamente uno sviluppo armonico
del sistema per un ulteriore trentennio.
Alternativamente se, come vedremo, tale reclutamento en masse risultasse materialmente
impossibile, il sistema universitario subirebbe una contrazione di personale docente tale da
rendere insostenibile l'offerta didattica, anche se essa fosse significativamente ridotta rispetto
a quella attuale, che è già inferiore del 20% a quella proposta fino ad anni recenti.
- L'impatto economico
Il prepensionamento di migliaia di docenti ogni anno per un quinquennio non è, e non può in
alcun modo essere descritto, come un'operazione a costo zero che libererebbe risorse
immediatamente spendibili per il sistema universitario. Infatti ogni docente che va in pensione
ha maturato un diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) e alla pensione che in ultima analisi
non può non ricadere sul bilancio dello Stato e quindi sulla fiscalità generale.
Il TFR pone immediati problemi di cassa: stimando conservativamente a circa 200 mila euro la
quota media spettante a ciascun docente, si tratterebbe di reperire ogni anno, per cinque anni,
circa 300 milioni di euro in più di quanto fin qui previsto, in un momento di crisi in cui trovare
risorse aggiuntive sembra un impresa già estremamente difficile.
Il pagamento delle pensioni anticipate pone invece gravi problemi al bilancio di competenza:
trattandosi nella maggior parte dei casi, e ancora per qualche tempo, di persone le cui pensioni
sono calcolate con il sistema retributivo, non è irrealistico stimare che il monte pensioni da
erogare non sia inferiore all'80% del corrispondente monte stipendi. Questa cifra non potrebbe
che essere sottratta al Fondo di Finanziamento Ordinario, poiché l'onere finanziario sarebbe
trasferito dalle singole Università a un Ente previdenziale, che comunque alla fine fa capo al
Tesoro per la copertura dei propri impegni di spesa.
Questo ragionamento porta alla conclusione che le risorse annue effettivamente "liberate" da
una operazione di questo genere e disponibili per il sistema universitario non potrebbero
superare il 20% dello stipendio lordo medio dei circa 1500 docenti prepensionati (circa 100
mila euro), e quindi ammonterebbero a circa 30 milioni di euro annui.
Per valutare l'impatto di questa cifra consideriamo i due esempi estremi di destinazione d'uso:
puro reclutamento di ricercatori (costo 0,5 punti) e pura promozione di attuali ricercatori ad
associato (costo 0,2 punti), ricordando che la cifra indicata corrisponde a circa 250 punti.
Si avrebbe quindi rispettivamente nei due casi, la possibilità di un reclutamento supplementare
di circa 500 ricercatori all'anno (ma in questo caso ci sarebbero 1500 professori in meno)
ovvero la possibilità di 1250 promozioni (ma continuerebbero a mancare 250 professori e non
si sarebbe nemmeno sfiorato il problema di dare uno sbocco all'attuale precariato).
Appare chiaro che qualunque soluzione intermedia (come ad esempio 300 ricercatori e 500
promozioni) continua a risolvere meno problemi di quanti ne crei.
Si può ovviamente immaginare una diluizione del processo di prepensionamento che lo veda
svolgersi su un arco di tempo più ampio del quinquennio finora ipotizzato, ma è del tutto
evidente che l'attenuazione dell'impatto economico sul bilancio dello Stato corrisponderebbe a
una diminuzione delle risorse annualmente rese disponibili: lo scenario nel complesso negativo
sopra descritto resterebbe qualitativamente immutato, con una riduzione quantitativa degli
effetti auspicati direttamente proporzionale alla riduzione degli effetti indesiderati.
Le considerazioni di natura economica fin qui presentate appaiono difficilmente contestabili, a
meno che non si dichiari esplicitamente che esiste una disponibilità a reperire in altri capitoli
del bilancio dello Stato le risorse aggiuntive comunque necessarie. Ma se vi fosse questa
disponibilità è legittimo chiedersi perché tali risorse aggiuntive non dovrebbero essere usate
direttamente per potenziare il reclutamento e/o le promozioni, senza privare il sistema delle
risorse umane di cui già dispone, tenuto conto del fatto che la competenza didattica e scientifica
della maggior parte degli attuali docenti che sarebbero coinvolti nel provvedimento appare
nella maggior parte dei casi difficilmente contestabile sulla base delle statistiche di produzione
scientifica e dell'evidenza relativa al numero e alla qualità media dei corsi d'insegnamento
attualmente erogati dalla componente più matura della docenza universitaria.
Del resto non è certo casuale che in tutti i settori produttivi si tenda a un innalzamento,
piuttosto che a una riduzione, dell'età minima per il pensionamento, ed è notizia recente quella
per cui si stima che, in corrispondenza dell'aumentata durata media della vita, nell'arco di
pochi decenni per tutti i lavoratori l'età del pensionamento si sposterà intorno ai settant'anni.
- L'impatto sull'attuale corpo docente
In altri contesti, di lavoro logorante o comunque non gratificante, e soprattutto caratterizzato da
profili di progressione di carriera poco stimolanti sia sul piano dello status che dal punto di
vista economico, l'ipotesi del prepensionamento potrebbe forse risultare non completamente
sgradita ai soggetti direttamente coinvolti.
La situazione dei docenti universitari è radicalmente differente: la loro carriera ha oggi un
inizio molto tardivo, non solo per contingenze legate allo scarso numero di opportunità di
reclutamento ma anche per l'ineludibile lunghezza del processo formativo, per cui anche nelle
ipotesi più ottimistiche è assai difficile immaginare che l'inizio dell'attività propriamente
lavorativa (e quindi anche del versamento di contributi ai fini pensionistici) possa essere
iniziato o iniziare prima dei trent'anni d'età, con l'ovvio corollario dell'impossibilità di
raggiungere il massimo pensionistico (oggi 40 anni) entro i 65 anni di età.
Inoltre le progressioni di carriera sono già oggi fortemente rallentate, e il raggiungimento della
prima fascia, oltre che essere comunque riservato a una piccola frazione dei reclutati, avviene
ormai spesso molto dopo i cinquant'anni. Nel frattempo un meccanismo ormai perverso di
ricostruzione delle carriere riduce drasticamente il numero degli anni pregressi riutilizzabili ai
fini dell'individuazione del livello stipendiale.
Un esempio perfettamente realistico per le generazioni degli ordinari nate dopo il 1945 (che
sarebbero le prime realmente toccate dal provvedimento) sarebbe il seguente: reclutamento
come ricercatore dopo i trent'anni, passaggio ad associato dopo i quaranta, e ad ordinario a
cinquanta anni, ricostruzione della carriera (8 anni) a 53 anni dopo lo straordinariato, tre anni
persi per effetto della recente manovra finanziaria, pensionamento in ottava classe stipendiale.
A quel livello lo stipendio lordo mensile è di meno di 7.000 euro (e il netto poco più della
metà), e a fine carriera supera soltanto del 10% quello che il docente avrebbe maturato restando
associato, mentre risulta inferiore del 25% allo stipendio che egli avrebbe potuto raggiungere
sulla base delle norme vigenti anche soltanto tre anni fa.
La situazione è stata certamente diversa per i professori delle generazioni precedenti: ammesso
e non concesso che si trattasse di "privilegi", chi ne ha goduto è ormai già avviato verso la
pensione, e non sarebbe neppure sfiorato dal provvedimento ipotizzato.
Risulta quindi facilmente immaginabile un duplice effetto negativo sul corpo docente: da un
lato il disorientamento derivante dalla rapida scomparsa di un grande numero di punti di
riferimento culturale, che in un sistema nel quale la capacità di innovazione si fonda comunque
quasi sempre su una buona e solida trasmissione dei risultati già precedentemente acquisiti
potrebbe produrre effetti devastanti, e dall'altro un incremento del già purtroppo elevato livello
di demotivazione, che spingerebbe proprio i migliori a dirigersi verso altre realtà, diverse e più
promettenti di quella italiana, per vedere effettivamente valorizzate le proprie attitudini e
competenze, mentre non si vede chi, se non per scarsa qualità intrinseca, potrebbe scegliere di
muoversi dall'estero verso il nostro Paese, come invece da più parti e giustamente auspicato per
vivacizzare e internazionalizzare il nostro sistema. Non dimentichiamo che proprio la più
elevata età di pensionamento ha in passato stimolato, in molti casi, studiosi autorevoli italiani e
stranieri a rinunciare a offerte che nel breve periodo apparivano più allettanti di quelle italiane.
Anche questi sono costi economici non trascurabili, anche se difficilmente quantificabili con la
stessa precisione usata nella sezione precedente, e anche questi dovrebbero entrare a far parte di
un maturo giudizio politico sulla validità di una proposta che ha già comunque suscitato una
profondissima ostilità nella stragrande maggioranza del corpo docente delle Università italiane,
inclusi tutti quei bravi ricercatori, che sono la maggioranza, e che legittimamente continuano a
sperare nell'opportunità di una carriera che non sia già a priori tarpata e menomata nei suoi
possibili sviluppi. Il rischio è quello di distruggere il sistema universitario italiano, e chi avanza
queste proposte dovrebbe essere anche pronto ad assumersene tutta la responsabilità politica.
politica.
Saluti Vincenzo Bellini
Rino Esposito Università di Udine Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche Tel. +39 0432494321 Fax +39 0432494301
SEMEL (SErvizio di Messaging ELettronico) - CSIT -Universita' di Udine
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Claudio Procesi, Dipartimento di Matematica, G. Castelnuovo Università di Roma La Sapienza, piazzale A. Moro 00185, Roma, Italia
tel. 0039-06-49913212, fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/