concordo pienamente con Guido.
Insomma è un po' come con le pensioni o il lavoro a tempo indeterminato. Sarebbero sacrosanti diritti, ma siccome non si riesce ad assicurarli a tutti (e non entriamo e merito del perchè, se no vien lunga), li trasformiamo in *privilegi* che vanno eliminati in nome di una **uguaglianza al ribasso**.
Sulle università, abbiamo (come stato italiano) aperto le porte a cani e porci, purchè ci fossero amici, e ora ci diciamo mah, cani e porci è meglio che non rilascino un titolo di studio che abbia un qualche valore. Ma di nuovo, invece di risolvere il problema specifico cercando di eliminare cani e porci o obbligandoli ad arrivare al livello di soglia, ci diciamo ben, siam tutti uguali (al ribasso) e nessuno può più rilasciare titoli di studio.
non mi sembra un bel gioco.
saluti anna
On Fri, 2012-01-27 at 11:13 +0100, Guido Mula wrote:
Cari tutti,
Il problema sollevato da Carlo Traverso è giusto, ma la causa non è, a mio avviso, il valore legale del titolo di studio ma piuttosto l'autorizzazione data a casaccio a chiunque voglia fondare una università privata, telematica o altro. Per queste università i criteri sono blandi e mancano verifiche sensate, a quanto mi consta, delle loro capacità di produrre studenti preparati. Talvolta anche il parere negativo del CUN non è stato neanche preso in considerazione (Adesso, pare, nel "decreto semplificazioni" stamattina in discussione al consiglio dei ministri dovrebbe esserci scritto che almeno le università telematiche verranno trattate diversamente).
Prima di togliere quindi il valore legale del titolo, che dovrebbe garantire il fatto che lo Stato si impegna affinché in tutte le sedi universitarie la preparazione sia equivalente per lauree equivalenti almeno dal punto di vista di un denominatore comune, sarebbe quindi opportuno che venissero ristabiliti criteri validi per la valutazione della preparazione dei laureati.
Qui nasce il vero problema. Nella vana ricerca di una chimerica "oggettività" si inventano paletti di ogni tipo in modo che le valutazioni possano essere il più automatiche possibile, imbrigliando qualunque capacità creativa e propositiva delle Università (in Francia, per esempio, almeno fino a qualche anno fa, i corsi degli ultimi anni cambiavano regolarmente in modo da garantire agli studenti un processo formativo sempre aggiornato verso le frontiere della ricerca e della conoscenza, in un processo virtuoso di aggiornamento dei corsi e delle competenze).
Stesso dicasi per le valutazioni verso le quali si va (vedi ANVUR) per le quali la logica è sempre quella di "oggettivizzare" tutto e trasformare la valutazione in un mero riempimento di caselle, con balzelli grotteschi come l'essere già meglio del 50% dei componenti della fascia docente alla quale si vuole accedere (sempre sulla base di numerologia acritica e definita a posteriori. Su questo ci sono disponibili in rete ampie argomentazioni, vedi per esempio su http://www.roars.it).
Io credo che il criterio vero sia la responsabilizzazione reale delle persone e delle strutture, con criteri definiti prima, ottenuta mettendo le persone e le strutture in grado di operare per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il tutto senza dimenticare che la ricerca avanza non solo quando è immediatamente riconducibile alla vendita di qualche prodotto e quindi monetizzabile nel brevissimo tempo ed evitando che la numerologia diventi, anche in questo caso, regina.
Cordialmente, Guido Mula