Che succederebbe se ci dimettessimo in massa? On Jul 23, 2010, at 11:01 PM, v_bellini wrote:
FONTE Paolo ROSSI (FIS/01) Membro CUN
L'informazione è adattata, ma fedelmente, estraendola da un file -pdf, che qui non posso allegare al mio e-mail .
EFFETTI DELL'IPOTESI DEL PENSIONAMENTO DEI PROFESSORI A 65 ANNI
SULLE DINAMICHE E SUI COSTI DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
- La dinamica della docenza
I dati fino al 2010 rappresentano l'andamento storico della docenza nell'ultimo quindicennio.
La prima simulazione (colonne blu) si basa sull'ipotesi che ordinari e associati già in servizio
nel 2010 vadano in pensione soltanto dopo il compimento del settantesimo anno d'età. Di
conseguenza i numeri indicati in corrispondenza dellle date a partire dal 2011 rappresentano il
numero massimo dei docenti che resteranno in servizio a quelle date. Non si fanno ipotesi sul
reclutamento futuro nelle due fasce, per cui la simulazione, a partire dal 2011, riguarda
esclusivamente il personale docente già oggi in servizio.
La seconda simulazione (colonne rosse) si basa sull'ipotesi che entro un quinquennio il
pensionamento scenda a 65 anni, e quindi a partire dal 1 novembre 2011 e fino al 1 novembre
2015 vadano in pensione ogni anno due classi d'età (70-69, 69-68, 68-67, 67-66, 66-65),
arrivando a regime nel 2015 con uno schema analogo a quello applicato per l'eliminazione
del "fuoriruolo". È difficile immaginare un provvedimento di riduzione dell'età di
pensionamento che sia insieme realistico e ancor più accelerato di quello qui proposto.
Data Ordinari Associati TOTALE
31.12.1994 14281 16839 31120
31.12.1995 14275 16436 30711
31.12.1996 13724 16019 29743
31.12.1997 13412 15690 29102
31.12.1998 13112 18107 31219
31.12.1999 12917 18059 30976
31.12.2000 15037 17261 32298
31.12.2001 16898 17882 34780
31.12.2002 18143 18500 36643
31.12.2003 17972 18103 36075
31.12.2004 18095 18117 36212
31.12.2005 19289 18965 38254
31.12.2006 19865 19086 38951
31.12.2007 19642 18728 38370
31.12.2008 18939 18257 37196
31.12.2009 17879 17569 35448
31.12.2010 15966 17284 33250
31.12.2011 15226 14455 17028 16688 32254 31143
31.12.2012 14455 12884 16688 15959 31143 28843
31.12.2013 13654 11167 16350 14916 30004 26083
31.12.2014 12884 9020 15959 13603 28843 22623
31.12.2015 12149 7243 15531 12322 27680 19565
31.12.2016 11167 6550 14916 11767 26083 18317
31.12.2017 10077 5962 14250 11248 24327 17210
31.12.2018 9020 5413 13603 10759 22623 16172
31.12.2019 8071 4933 12961 10290 21032 15223
Come si vede dalla tabella (che si riferisce al totale dei professori), già la
dinamica del turnover risultante dalla normativa attuale comporta una decrescita rapida: gli
ordinari alla fine del 2012 saranno già in numero pari o inferiore a quello raggiunto verso il
1995, prima dell'autonomia e molto prima dell'entrata in vigore della legge 210, e gli
associati già nel 2011 saranno meno che nel 1995.
A legislazione invariata, il 50% degli ordinari attualmente in servizio (che sono quasi 18.000)
si sarà comunque pensionato entro il 2018. Con l'ipotesi di pensionamento a 65 anni, nello
schema ipotizzato questo dimezzamento avverrebbe entro il 2014. Un fenomeno analogo,
anche se più ridotto sul piano quantitativo (25% di pensionamenti alle stesse date) si propone
per gli associati.
La fuoriuscita annuale di circa 1000 ordinari e circa 500 associati determinata dalle norme
attuali pone già di per sé un pesante problema di continuità culturale, scientifica, didattica e
organizzativa al sistema universitario, e comunque, in caso di totale restituzione del budget,
garantirebbe già i fondi necessari a un adeguato ricambio del personale docente (la media del
reclutamento negli ultimi venticinque anni è sempre stata di poco meno di 1500 professori
all'anno, con fluttuazioni derivanti quasi soltanto dal variare della normativa).
Una fuoriuscita dal sistema di circa 2000 ordinari e circa 1000 associati annui per i prossimi
cinque anni, che deriverebbe dall'abbassamento dell'età di pensionamento, avrebbe invece
effetti devastanti in tutti gli ambiti sopra indicati: ricerca, didattica e gestione sarebbero in
moltissimi casi pressoché paralizzate, né è immaginabile un meccanismo di così ampia
sostituzione della docenza che sia insieme sufficientemente rapido e adeguatamente selettivo.
Nello scenario più probabile si avrebbe un reclutamento eccessivamente concentrato su poche
classi d'età, che, anche se non si trattasse di una ope legis, riprodurrebbe a distanza di
trent'anni gli stessi effetti del DPR 382/1980 (effetti di cui il sistema universitario ha pagato e
ancora paga le conseguenze) e quindi si pregiudicherebbe nuovamente uno sviluppo armonico
del sistema per un ulteriore trentennio.
Alternativamente se, come vedremo, tale reclutamento en masse risultasse materialmente
impossibile, il sistema universitario subirebbe una contrazione di personale docente tale da
rendere insostenibile l'offerta didattica, anche se essa fosse significativamente ridotta rispetto
a quella attuale, che è già inferiore del 20% a quella proposta fino ad anni recenti.
- L'impatto economico
Il prepensionamento di migliaia di docenti ogni anno per un quinquennio non è, e non può in
alcun modo essere descritto, come un'operazione a costo zero che libererebbe risorse
immediatamente spendibili per il sistema universitario. Infatti ogni docente che va in pensione
ha maturato un diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) e alla pensione che in ultima analisi
non può non ricadere sul bilancio dello Stato e quindi sulla fiscalità generale.
Il TFR pone immediati problemi di cassa: stimando conservativamente a circa 200 mila euro la
quota media spettante a ciascun docente, si tratterebbe di reperire ogni anno, per cinque anni,
circa 300 milioni di euro in più di quanto fin qui previsto, in un momento di crisi in cui trovare
risorse aggiuntive sembra un impresa già estremamente difficile.
Il pagamento delle pensioni anticipate pone invece gravi problemi al bilancio di competenza:
trattandosi nella maggior parte dei casi, e ancora per qualche tempo, di persone le cui pensioni
sono calcolate con il sistema retributivo, non è irrealistico stimare che il monte pensioni da
erogare non sia inferiore all'80% del corrispondente monte stipendi. Questa cifra non potrebbe
che essere sottratta al Fondo di Finanziamento Ordinario, poiché l'onere finanziario sarebbe
trasferito dalle singole Università a un Ente previdenziale, che comunque alla fine fa capo al
Tesoro per la copertura dei propri impegni di spesa.
Questo ragionamento porta alla conclusione che le risorse annue effettivamente "liberate" da
una operazione di questo genere e disponibili per il sistema universitario non potrebbero
superare il 20% dello stipendio lordo medio dei circa 1500 docenti prepensionati (circa 100
mila euro), e quindi ammonterebbero a circa 30 milioni di euro annui.
Per valutare l'impatto di questa cifra consideriamo i due esempi estremi di destinazione d'uso:
puro reclutamento di ricercatori (costo 0,5 punti) e pura promozione di attuali ricercatori ad
associato (costo 0,2 punti), ricordando che la cifra indicata corrisponde a circa 250 punti.
Si avrebbe quindi rispettivamente nei due casi, la possibilità di un reclutamento supplementare
di circa 500 ricercatori all'anno (ma in questo caso ci sarebbero 1500 professori in meno)
ovvero la possibilità di 1250 promozioni (ma continuerebbero a mancare 250 professori e non
si sarebbe nemmeno sfiorato il problema di dare uno sbocco all'attuale precariato).
Appare chiaro che qualunque soluzione intermedia (come ad esempio 300 ricercatori e 500
promozioni) continua a risolvere meno problemi di quanti ne crei.
Si può ovviamente immaginare una diluizione del processo di prepensionamento che lo veda
svolgersi su un arco di tempo più ampio del quinquennio finora ipotizzato, ma è del tutto
evidente che l'attenuazione dell'impatto economico sul bilancio dello Stato corrisponderebbe a
una diminuzione delle risorse annualmente rese disponibili: lo scenario nel complesso negativo
sopra descritto resterebbe qualitativamente immutato, con una riduzione quantitativa degli
effetti auspicati direttamente proporzionale alla riduzione degli effetti indesiderati.
Le considerazioni di natura economica fin qui presentate appaiono difficilmente contestabili, a
meno che non si dichiari esplicitamente che esiste una disponibilità a reperire in altri capitoli
del bilancio dello Stato le risorse aggiuntive comunque necessarie. Ma se vi fosse questa
disponibilità è legittimo chiedersi perché tali risorse aggiuntive non dovrebbero essere usate
direttamente per potenziare il reclutamento e/o le promozioni, senza privare il sistema delle
risorse umane di cui già dispone, tenuto conto del fatto che la competenza didattica e scientifica
della maggior parte degli attuali docenti che sarebbero coinvolti nel provvedimento appare
nella maggior parte dei casi difficilmente contestabile sulla base delle statistiche di produzione
scientifica e dell'evidenza relativa al numero e alla qualità media dei corsi d'insegnamento
attualmente erogati dalla componente più matura della docenza universitaria.
Del resto non è certo casuale che in tutti i settori produttivi si tenda a un innalzamento,
piuttosto che a una riduzione, dell'età minima per il pensionamento, ed è notizia recente quella
per cui si stima che, in corrispondenza dell'aumentata durata media della vita, nell'arco di
pochi decenni per tutti i lavoratori l'età del pensionamento si sposterà intorno ai settant'anni.
- L'impatto sull'attuale corpo docente
In altri contesti, di lavoro logorante o comunque non gratificante, e soprattutto caratterizzato da
profili di progressione di carriera poco stimolanti sia sul piano dello status che dal punto di
vista economico, l'ipotesi del prepensionamento potrebbe forse risultare non completamente
sgradita ai soggetti direttamente coinvolti.
La situazione dei docenti universitari è radicalmente differente: la loro carriera ha oggi un
inizio molto tardivo, non solo per contingenze legate allo scarso numero di opportunità di
reclutamento ma anche per l'ineludibile lunghezza del processo formativo, per cui anche nelle
ipotesi più ottimistiche è assai difficile immaginare che l'inizio dell'attività propriamente
lavorativa (e quindi anche del versamento di contributi ai fini pensionistici) possa essere
iniziato o iniziare prima dei trent'anni d'età, con l'ovvio corollario dell'impossibilità di
raggiungere il massimo pensionistico (oggi 40 anni) entro i 65 anni di età.
Inoltre le progressioni di carriera sono già oggi fortemente rallentate, e il raggiungimento della
prima fascia, oltre che essere comunque riservato a una piccola frazione dei reclutati, avviene
ormai spesso molto dopo i cinquant'anni. Nel frattempo un meccanismo ormai perverso di
ricostruzione delle carriere riduce drasticamente il numero degli anni pregressi riutilizzabili ai
fini dell'individuazione del livello stipendiale.
Un esempio perfettamente realistico per le generazioni degli ordinari nate dopo il 1945 (che
sarebbero le prime realmente toccate dal provvedimento) sarebbe il seguente: reclutamento
come ricercatore dopo i trent'anni, passaggio ad associato dopo i quaranta, e ad ordinario a
cinquanta anni, ricostruzione della carriera (8 anni) a 53 anni dopo lo straordinariato, tre anni
persi per effetto della recente manovra finanziaria, pensionamento in ottava classe stipendiale.
A quel livello lo stipendio lordo mensile è di meno di 7.000 euro (e il netto poco più della
metà), e a fine carriera supera soltanto del 10% quello che il docente avrebbe maturato restando
associato, mentre risulta inferiore del 25% allo stipendio che egli avrebbe potuto raggiungere
sulla base delle norme vigenti anche soltanto tre anni fa.
La situazione è stata certamente diversa per i professori delle generazioni precedenti: ammesso
e non concesso che si trattasse di "privilegi", chi ne ha goduto è ormai già avviato verso la
pensione, e non sarebbe neppure sfiorato dal provvedimento ipotizzato.
Risulta quindi facilmente immaginabile un duplice effetto negativo sul corpo docente: da un
lato il disorientamento derivante dalla rapida scomparsa di un grande numero di punti di
riferimento culturale, che in un sistema nel quale la capacità di innovazione si fonda comunque
quasi sempre su una buona e solida trasmissione dei risultati già precedentemente acquisiti
potrebbe produrre effetti devastanti, e dall'altro un incremento del già purtroppo elevato livello
di demotivazione, che spingerebbe proprio i migliori a dirigersi verso altre realtà, diverse e più
promettenti di quella italiana, per vedere effettivamente valorizzate le proprie attitudini e
competenze, mentre non si vede chi, se non per scarsa qualità intrinseca, potrebbe scegliere di
muoversi dall'estero verso il nostro Paese, come invece da più parti e giustamente auspicato per
vivacizzare e internazionalizzare il nostro sistema. Non dimentichiamo che proprio la più
elevata età di pensionamento ha in passato stimolato, in molti casi, studiosi autorevoli italiani e
stranieri a rinunciare a offerte che nel breve periodo apparivano più allettanti di quelle italiane.
Anche questi sono costi economici non trascurabili, anche se difficilmente quantificabili con la
stessa precisione usata nella sezione precedente, e anche questi dovrebbero entrare a far parte di
un maturo giudizio politico sulla validità di una proposta che ha già comunque suscitato una
profondissima ostilità nella stragrande maggioranza del corpo docente delle Università italiane,
inclusi tutti quei bravi ricercatori, che sono la maggioranza, e che legittimamente continuano a
sperare nell'opportunità di una carriera che non sia già a priori tarpata e menomata nei suoi
possibili sviluppi. Il rischio è quello di distruggere il sistema universitario italiano, e chi avanza
queste proposte dovrebbe essere anche pronto ad assumersene tutta la responsabilità politica.
politica.
Saluti Vincenzo Bellini
From: Patrizio.Dimitri@uniroma1.it Sent: Friday, July 23, 2010 10:39 PM To: "ForumUniversità e Ricerca" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Subject: [Universitas_in_trasformazione] Rif: Re: Fwd: Ai firmat ari dell'appello "In difesa dell'Università"
Se non sbaglio il provvedimento si riferisce ai soli associati e ricercatori? Gli ordinari andrebbero in pensione sempre a 70?
Io credo che si dovrebbero procedere valutando caso per caso. Se a 65 anni un docente è ancora in grado di svolgere una buona attività didattica volta alla formazione dei giovani, se dirige ancora un gruppo, o comunque ne è parte integrante e non corpo estraneo, se partecipa a progetti scientifici finanziati, se insomma è capace ancora di fare scuola, come dice il collega Bellini, allora è giusto che rimanga, perchè il suo pensionamento rappresenterebbe una perdita per l'ateneo. Non saranno i casi più frequenti, ma ne conosco alcuni. Viceversa, se il docente si barcamena tra una lezione, un consiglio di Dipartimento e una seduta di Facoltà senza più essere realmente attivo, allora il pensionamento sarebbe ragionevole. Per evitare i soliti favoritismi caserecci, sarebbero ovviamente necessarie regole chiare che non si prestino a troppe interpretazioni.
Patrizio Dimitri
Per <rino.esposito@uniud.it>, Forum "Università e Ricerca" <universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it>, "Elvira De
Matthaeis" elvira.dematthaeis@uniroma1.it CC ""Forum \\"Università e Ricerca\\""" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it CCR Patrizio Dimitri/Dip-Gen_Bio/Dipartimenti/Didattica/Ateneo/Uniroma1/it Oggetto Re: [Universitas_in_trasformazione] Fwd: Ai firmat ari dell'appello "In difesa dell'Università" "v_bellini" v_bellini@alice.it Inviato da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it 23/07/2010 21:22 ZE2
<HR><font size=-1>Per favore, rispondere a Forum "Università e Ricerca" <universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it></font><HR> <font size=-1> </font> -------------------------------------------------- From: "Rino Esposito" <rino.esposito@uniud.it> Sent: Friday, July 23, 2010 8:27 PM Buonasera. Solo un appunto alla lunga tirata, che snocciola molti dati, su alcuni dei quali ho dubbi. Uno di questi è che il pensionamento anticipato dei professori universitari è facilmente dimostrabile che sarà un aggravio per le casse dello Stato, che comunque dovrà pagare più celermente liquidazioni e pensioni a personale non più produttivo. Altro che risparmi ! E comunque è un'operazione in perdita dal punto di vista culturale, perchè va a rottamare gente ancora capace mediamente di fare scuola. Saluti a tutti gli iscritti al Forum Vincenzo Bellini Dipartimento di Fisica e Astronomia Università di Catania Via Santa Sofia, 64 95123 CATANIA
To: "Elvira De Matthaeis" elvira.dematthaeis@uniroma1.it Cc: ""Forum "Università e Ricerca""" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Fwd: Ai firmat ari dell'appello "In difesa dell'Università"
Anch'io penso che, purtroppo, il pensionamento anticipato a 65 anni, lungi dal favorire l'ingresso dei giovani, come tutti coloro che sono d'accordo vorrebbero, sia solo un'altra trovata per fare cassa.
Tuttavia è vero che molto spesso, in tante situazioni, siamo 'ingessati' da troppi 'vecchi' che sono responsabili, volenti o nolenti (più spesso volenti), del carattere indubbiamente gerontocratico di numerosissime facoltà.
Dobbiamo rinunciare ad avanzare questa critica per non fare il gioco del nemico? Credo sia più opportuno essere intellettualmente onesti se si è convinti che qualche problema di troppo sia spesso derivato da 'ingombranti vecchi' (lo so, non tutti lo sono). Abbiamo argomenti da vendere per dimostrare che cavalcare il pensionamento universitario anticipato a 65 anni è una trovata strumentale grossolana da parte di chi non ha fatto altro che infliggere solo colpi distruttivi all'Università ed a tutto il comparto della formazione in Italia. Non dimentichiamo che questa stessa gente agita la parola d'ordine della meritocrazia, ma è solo malafede. Come possono parlare di meritocrazia, di qualità degli standard di preparazione, e di tutto il resto dell'aria fritta che propagandano, quelli che hanno sponsorizzato il ritorno alle scuole di avviamento professionale? Ve la ricordate la riforma Moratti e le scuole di taglio e cucito?
Non bisogna aver paura di essere confusi con chi adopera certi argomenti solo per calcolo politico. Le bugie hanno le gambe corte e un esempio che calza a pennello è proprio la contraddizione che segnala Camillo La Mesa.
Ad Anna Painelli vorrei dire che non è questo che rompe il fronte. Il fronte purtroppo, cara Anna, non c'è. Purtroppo non basta essere universitari per essere al di sopra della decadenza di questa società. Se la statistica non è un'opinione, anche tra gli universitari una cospicua porzione è dalla parte di chi ritiene che la riforma giusta sia quella della Gelmini. Considera quello che ha scritto ieri Giavazzi sul Corriere della Sera: un professore universitario che su uno dei più autorevoli e diffusi giornali italiani si permette di presentarci tutti (escluso lui, naturalmente) come una categoria di 'mezze tacche' che mira all'ope legis, al 'todos caballeros'. Come definire uno che ha lo stomaco di dire ciò in questo momento? Per me è un malfattore della peggiore specie, uno che adopera la sua intelligenza per fare del male. Facendo del male ad una categoria di privilegiati, come siamo dipinti da tanti pennivendoli di sistema, fa del male alla continuità culturale dell'intero Paese.
Mi riivolgo a tutti: credete che Giavazzi sia l'unico? Purtroppo no, cari amici. Tanto per cominciare c'è con lui la schiera dei politici professori universitari, Brunetta, Tremonti, Valditara, ecc. A fare di tutta l'erba un fascio, si può affermare che la sola caratteristica di essere politici di professione li qualifica nella maniera più spregevole possibile. Personalmente credo che ciò sia vero nella gran parte dei casi, ma non penso che l'esiguità delle eccezioni debba essere sacrificata per cavalcare un facile sentimento antipolitico, a prescindere.
Purtroppo però, il fronte non è assente solo perché tra noi c'è un 'campione statistico' di favorevoli a chi ha interesse a ridimensionare l'Università pubblica. Come giudicate, ad esempio, la posizione di Tito Boeri di ieri mattina su Repubblica, a proposito dell'annacquamento di quanto di buono c'era nella riforma come la presenza degli esterni nella gestione dell'Università? Molti, in buonafede nella loro convinzione, pensano che aprire alla presenza delle forze sociali, cioè forze del lavoro, forze politiche ecc. sia comunque un fatto positivo, un momento che consenta il confronto tra accademia e tutto il resto. Ma hanno dimenticato che razza di Paese è questo? Ma Boeri, in particolare, non ricorda che gli industriali della Confindustria o i funzionari di partito trombati che rappresenteranno la maggioranza di turno nei consigli di amministrazione universitari, sono solo dei pescecani in cerca di prebende personali e per i loro compagni? L'Italia è l'unico paese al mondo dove l'industria, piuttosto che finanziare la ricerca, briga per sottrarre quelle poche risorse disponibili per la cosiddetta ricerca industriale (lo dico con un po' di cognizione di causa).
Bottom line, per fare un fronte ci vuole un impegno più 'militante' per il quale dovremmo metterci un po' di forza. Io spero che un movimento cresca e sicuramente se ciò accadrà sarà solo perché gli individui metteranno più convinzione nel riconoscere e far proprie idee guida comuni.
Rino Esposito
PS vedo una replica di Claudio Procesi che oscilla tra la fantascienza ed il cinismo. Conosco Procesi solo per via di questo forum e ne apprezzo l'acume e la generosità, ma questo non significa che sia sempre d'accordo con lui. In questo caso, caro Claudio, anche se ho solo 57 anni e non la tua veneranda età (l'aggettivo lo devi prendere come una battuta che per un uomo di spirito quale sei non suonerà offensiva), posso solidarizzare con gran parte degli argomenti che adduci, ma concedi almeno che non necessariamente chiunque sia convinto della necessità di anticipare il pensionamento sia un demagogo. A parte ciò, però, devo dire che non tutti i quasi-settantenni o gli ultrasettantenni che conosco nel mio ambiente brillano della tua stessa lucidità. Purtroppo, anche se la durata media della vita è aumentata siamo ben lontani dal traguardo dei 150 anni e mediamente a certe età i problemi cominciano a farsi sentire. Proprio per lavoro mi occupo della degenerazione delle proteine dal punto di vista strutturale, un processo detto misfolding che ha delle conseguenze pesanti. Sinceramente non vedo niente di male ad accettare di terminare il proprio impegno lavorativo ad un'età che appare oggi in linea con gli standard di longevità globali. Per coloro che come noi hanno la fortuna di fare un lavoro intellettuale, è anche bello invecchiare accettando di cambiare oppure continuando sullo stesso tema di interesse in una condizione diversa. Per esempio, quando andrò in pensione, fra 8 anni spero, piuttosto che continuare a fare spettroscopia di risonanza magnetica nucleare di proteine, penso che comincerò a coltivare come si deve un altro interesse, la musica barocca. Oppure, colpito da crisi esistenziale, emigrerò in Africa per aiutare chi è meno fortunato. Non so, ma qualcosa farò se sarò vivo, una condizione quest'ultima che mi rendo conto di trascurare troppo spesso, convinto quasi dell'immortalità come la cultura sociale di oggi ci abitua tutti a credere.
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