D'accordo con quanto scritto da Masulli con l'eccezione, dell'importanza del fattore d'impatto.
Cari colleghi, Come alcuni di voi sapete, mi esprimo da tempo contro luso del fattore dimpatto come criterio di valutazione di un gruppo oppure di una persona. A questo scopo ritengo sia il parametro bibliometrico più inutile di tutti, in quanto, riguarda limpatto del giornale(somma del numero di citazione del giornale) e non dei singoli articoli delle persone o dei gruppi. Questo parere è ormai molto diffuso nel mondo scientifico e il suo uso nei nostri concorsi nazionali universitari mi rende perplesso. A questo proposito vi segnalo unarticolo del giugno 2010 su Nature (456, 864- 866). in cui viene presentata unanalisi dei vari parametri bibliometrici. Per chi non ha voglia di cercare e leggere larticolo cito una frase che viene sottolineata nellarticolo If there is one thing which every bibliometrician agrees on it is that you should never use the journal impact factor to evaluate research performance for an article or for an individual.
Basta con l'IF, ce ne sono altri parametri bibliometrici molto, ma molto, più utili.
Saluti, Robert Jennings
Caro Dr. Massulli,
apprezzo molto la sua decisione di rispondere al mio messaggio esponendo le sue idee sul bandi PRIN e FIRB. Tuttavia, vorrei riaffermare con forza la mia convinzione che tali bandi sono quanto di peggio il MIUR sia riuscito a partorire in questi ultimi anni. Non credo che questo sia frutto della “mente bacata” di alcuni burocrati o del Ministro, ma sia il risultato di impostazioni sbagliate che non tengono conto della natura e delle regole internazionali della ricerca di base, e delle specificità dei vari settori di ricerca.
Ma veniamo al punto. Qual’è lo scopo dei bandi PRIN e FIRB. Spero che convenga con me che sia quello di finanziare la buona ricerca, permettendo a tutti i ricercatori qualificati di partecipare a una valutazione comparativa dei loro progetti. Ebbene, i limiti di partecipazione ai bandi PRIN e FIRB sono in contrasto con questo scopo, specialmente per quanto riguarda la Biologia.
Non mi voglio soffermare troppo sul numero minimo di gruppi richiesto per partecipare ai due bandi. Come ho scritto nell’articolo, questo vincolo favorisce la formazione di cordate eterogenee (organizzate in soli due mesi) che poco o nulla hanno a che fare con le vere collaborazioni scientifiche. Se si voleva ridurre il numero di progetti da valutare, meglio sarebbe stato permettere la partecipazione di gruppi (unità) dello stesso Dipartimento già impegnati da anni in vere collaborazioni scientifiche (ovvero stabilire un minimo di PI per ogni progetto).
La cosa peggiore sono però i vincoli di partecipazione al FIRB-giovani, e le confesso che non capisco il suo ragionamento al riguardo. Non capisco perchè lei ritenga corretto un limite inferiore di 15 pubblicazioni (per gli strutturati) e non un fattore di impatto (IF) minimo. Le riviste di Biologia sono migliaia e molto diverse tra loro. Ne esistono alcune con IF compresi tra 1 e 2 che generalmente pubblicano lavori di scarsissimo valore. Ne esistono invece altre con IF di oltre 30 (e.g. Nature, Science, Cell etc.) su cui è difficilissimo pubblicare e che accettano solo lavori di notevole originalità e completezza. E’ quindi ovvio che per pubblicare su riviste a basso IF bastano pochi mesi di lavoro, mentre per pubblicare su una rivista ad alto IF ci vogliono anni di durissimo impegno. E’ quindi altrettanto ovvio che chi “pubblica bene” pubblica molto meno di chi pubblica su riviste a basso IF. Allora perché escludere dalla partecipazione al bando chi ha un numero limitato di lavori ad alto IF permettendo invece di partecipare a chi ha pubblicato molti lavori di scarsa qualità. Questo non solo è profondamente diseducativo per i giovani, ma è anche in contrasto con i criteri che saranno usati dall’ANVUR per la valutazione della ricerca. Vorrei inoltre farle notare che in importanti bandi di ricerca su fondi privati (vedi bando AIRC 2012 appena uscito) si richiede un IF complessivo di 50 come condizione minima per la partecipazione e non si parla del numero di pubblicazioni.
Infine, come avevo scritto nell’articolo, trovo assurdo discriminare tra un giovane che ha un posto a tempo indeterminato ed uno che non lo ha. Perché un ricercatore di 35 anni assunto a tempo indeterminato con 10 pubblicazioni (alcune delle quali su riviste prestigiose) non può partecipare al FIRB-giovani mentre può farlo un trentacinquenne non strutturato con 10 pubblicazioni? Spero che voglia ammettere che questo è un errore che va corretto al più presto.
Come le ho detto, ho apprezzato molto la sua risposta, che mi sembra denotare un suo genuino interesse per il problema del finanziamento della ricerca. Al di là delle opinioni del comitato nazionale dei garanti, vorrei poterla convincere della correttezza delle mie argomentazioni, che sono condivise dalla stragrande maggioranza dei ricercatori attivi nel settore biologico. Ma perché non chiede in giro? Perché non fa un giro nei laboratori e parla con i giovani (questo è un invito)? Io non credo che i burocrati abbiano una “mente bacata”, ma credo che i burocrati la mente debbano usarla per capire la realtà che li circonda e le situazioni che sono chiamati a gestire. Solo in questo modo, potranno diventare dirigenti consapevoli del loro ruolo e operare nell’interesse del Paese.
Cordialmente, Maurizio Gatti
From: "Massulli Mauro" mauro.massulli@miur.it To: "Maurizio Gatti" maurizio.gatti@uniroma1.it X-TM-AS-Product-Ver: IMSS-7.1.0.1433-6.8.0.1017-18686.006 X-TM-AS-Result: No--1.869-5.0-31-10 X-imss-scan-details: No--1.869-5.0-31-10 X-TM-AS-User-Approved-Sender: No
Caro professor Gatti, grazie dell'articolo che mi ha inviato, ma è, già lo sa, una posizione che non condivido. I requisiti OGGETTIVI di ammissiiblità non debbono essere confusi con le valutazioni scientifiche che spetteranno ai referee. Ciò che lei propone sembra essere un sistema misto "requisiti oggettivi/qualità della ricerca" inaccettabile in fase di ammissione al bando, o che, se si traducesse in un allargamento dei requisiti relativi al cut-off, porterebbe come conseguenza ad un allargamento della competizione, con allungamento dei tempi e scadimento della qualità della valutazione stessa. Questi requisiti non sono frutto della mia "mente bacata" (mia o di qualsiasi altro "burocrate"): sono stati ampiamente ponderati, in fase di preparazione del bando, dalla Commissione di esperti FIRB, composta da 10 suoi colleghi docenti in varie discipline, tra cui anche un giurista, e quindi ben valutati anche sotto il profilo della legittimità oltre che dell'opportunità. Ciò non esclude che possano esserci pareri contrari (come il suo), ma non si comprende il motivo per cui qualche parere contrario debba prevalere sull'opinione di esperti che hanno avuto ISTITUZIONALMENTE il compito di occuparsi, tra l'altro, anche della predisposizione del bando! Non vorrei che, come al solito, si pensasse che debba/possa prevalere l'opinione di chi (anche pacatamente, come nel suo caso, e del tutto legittimamente) "alza la voce" per esprimere il proprio legittimo dissenso, perché allora veramente non comprenderei quale sarebbe l'utilità di quegli organismi di esperti istituzionalmente preposti allo svolgimento di determinati compiti. Posto dunque che io, per quanto mi riguarda, confermo la mia opinione complessivamente contraria (salvo assicurarla che farò di tutto perché siano prese comunque in considerazione le sue opinioni per il prossimo bando), non posso che chiarire che la modifica dei bandi non è una questione di cui mi posso occupare io: per questo (così come per tutte le altre richieste di modifica che compaiono nel suo articolo, e che si riferiscono a vincoli di altra natura, posti per motivazioni strategiche, e che comunque nulla hanno a che vedere con necessità amministrative) deve rivolgersi direttamente al Ministro, cui peraltro la sua "lettera aperta" certamente non sarà sfuggita. Con la massima stima, le invio i miei più cordiali saluti, augurandomi sinceramente di averla presto in qualche Comitato di Selezione o nel Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca: vedrà, scontrandosi con gli aspetti più pratici dell'operatività di tutti i giorni, che in fondo in fondo quello dei suoi colleghi non è poi un gran bel vivere...
Mauro Massulli
-----"P. Dimitri" liviapat@inwind.it ha scritto: -----
======================= Per: Università e Ricerca Forum universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Da: "P. Dimitri" liviapat@inwind.it Data: 06/02/2012 06.56PM Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: concorsi: problema etico e non di metodo ======================= Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del libro bianco...
Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006.
Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di scuola elementare. È triste notare che in alcune aree, come la Biologia, alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all¹altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l¹obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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