Chiedo scusa a Robert Jennings e a chiunque abbia interpretato allo stesso modo la mia mail.
Evidentemente non sono riuscito a spiegarmi: il mio punto non era assolutamente che non desideri ricercatori stranieri nelle università italiane, certamente! Né che non sappia che ce ne sono, pur pochi.
Il mio punto era che sono contrario all'idea di avere, nelle procedure di reclutamento italiane, commissari (di qualunque nazionalità) che lavorino in strutture di ricerca non-italiane. Non vedo una ragione al mondo per delegare ad altri un compito delicato come il reclutamento, che ritengo sia e debba rimanere esclusivamente nostro.
Per il resto, sono in sintonia con le considerazioni di Giovanni Floris.
Un saluto cordiale,
Maurizio Tirassa
Il giorno 2012-02-07, alle ore 13.33, Robert Jennings ha scritto:
Non so bene cosa sia "questa cosa degli stranieri", però posso assicurare Maurizio Tirassa che qualche (ex)straniero esiste nell'mondo accademico italiano, e non credo di essere l'unico. Ho vinto un concorso di prima fascia 25 anni fa (per merito), dopo 6 anni col CNR. Il lavoro da me svolto in questo lungo periodo non fa per niente schifo e posso affermare di essere anche molto contento della scelta da me fatta , ormai nel passato, chiamiamolo, remoto. Vorrei anche aggiungere, e questo è il punto principale del messaggio, che il mio ingresso nell'università italiana non è stato per niente bene visto da molti colleghi , certamente non tutti, i quali colleghi si sono ormai quasi abituati alla mia presenza, dopo 25 anni!! Il piccolo messaggio che vorrei trasmettere è il seguente: l'Italia , sotto questo profilo, è abbastanza isolata, nonostante si riempie la bocca, anche troppo, di parole tipo "internazionalizzazione". La presenza di un maggiore numero di stranieri avrebbe sicuramente l'effetti di arricchire l'ambiente accademico italiano, come, del resto, arrichisce gli ambienti accademici di moltissimi altri paesi. E' comunque difficile che ciò avvenga finche durano l'atteggiamenti parrochiali del tipo che ho incontrato io.
Saluti, Robert Jennings
At 18:57 06/02/2012, Maurizio Tirassa wrote:
Personalmente a questa cosa degli stranieri credo pochissimo. L'unica volta che ho visto con i miei occhi l'intrusione di un ricercatore non-italiano in un concorso italiano fu qualche anno fa in un concorso da ordinario -al quale non partecipavo né come commissario né come candidato, e che anzi era in un settore diverso dal mio- nel quale un big boss inglese, davvero uno di quelli grossi grossi della mia area, sputò fuoco e fiamme con lettere a tutti gli organi vagamente interessati perché non aveva vinto il candidato X. Il quale (ovviamente?) aveva collaborato con lui, mentre il vincitore, Y, no. Naturalmente (?) Y non era affatto inferiore a X in termini di pubblicazioni e il big boss inglese stava cercando semplicemente di favorire il suo collaboratore.
Non dubito che in altri casi possa andare diversamente, ma questo è l'unico caso che conosca personalmente, per averlo visto accadere nel corridoio a fianco di quello dove lavoravo allora. Al giorno d'oggi la ricerca è internazionale e non è affatto vero che Franzosi e Spagnuoli non possano avere i loro interessi. Meno di noi? Può darsi, ma sono anche meno interessati a che la nostra baracca funzioni.
E poi, a noi Ustica e il caso Moro, a loro Kennedy e le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Maurizio Tirassa
PS. Comunque è vero che questa discussione l'abbiamo già fatta millemila volte. Sono assolutamente sicuro di avere già almeno una volta mandato un messaggio sostanzialmente identico a questo in risposta ad altri, altrettanto identici a quelli che mi hanno preceduto!
Il giorno 2012-02-06, alle ore 17.38, Walter Lacarbonara ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l’identificazione dei migliori intelletti, e l’attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all’altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E’ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l’obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l’oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all’intera comunità internazionale. E’ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l’autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i “figli scientifici” del membro interno o del presidente di commissione? E’ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell’accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote: > Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache > errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, > sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza. > > SMA > > Valore legale del titolo di studio e qualità delle università > > Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente > apparso sul > quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, > riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del > titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua > abrogazione o > modifica. > Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore > legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo > Modica?? > tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso > perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso > più > di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore > ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto > che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere > inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga > permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e > nel > Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di > università > che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la > formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il > livello > culturale di un Paese. > Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti > che > il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il > punto > di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo > per avviare una svolta qualitativa all?università italiana > relegata a > posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie > organizzazioni > elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. > Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato > interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? > recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della > Sera. > La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale > ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco > Giavazzi > ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con > attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle > liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un > provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri > atenei?. > C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino > Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) > era > stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne > giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando > che il > tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso > non > merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori > ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle > condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei > condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio > sull?assetto della scuola e dell?università?. > È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche > condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il > valore > della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per > sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che > pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. > A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come > espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello > Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è > l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la > fonte: > lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri > pubblici secondo la norma costituzionale?? > Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a > garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che > erogano formazione ed è vero che una qualche forma di > certificazione è > presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea > (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for > Quality > Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation > (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento > di > standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano > titoli > di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del > goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca > scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il > titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia > (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council > organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no > membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con > incarichi di > governo. > Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. > La > valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non > sempre > condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle > università di > tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie > organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto > sulla opinione pubblica. > Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer > mio, la > popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo > luogo > il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, > ma > anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della > informazione e > la presa di coscienza che un alto livello di istruzione > rappresenti un > elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo > della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto > livello di internazionalizzazione delle università. Molte > università > private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a > porre > rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare > che > il contributo economico ai paesi da parte delle università più > prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per > difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla > economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. > Altbach e > J. Knight, The Internationalization of Higher Education: > Motivations > and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education). > > Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università > italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, > paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile > gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi > d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la > imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di > indignazione e > costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema > favorisca > le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore > università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. > Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende > profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema > italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un > modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime > anche > nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il > reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico > gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? > assurdo? > dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno > addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of > France?. > Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello > stato? > del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte > possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi > Einaudi, > riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? > Chi > diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi > sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la > fonte > del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma > imperiale o > la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo > di un > corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela > del > nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene > meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione > dei > monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi > dei > patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per > motivi > diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari > favoriti o simoniaci?? > Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come > viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una > procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse > pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere > efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: > quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori > ad > una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed > oneste, > non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o > giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando > non si > realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero > competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma > anche per > la propria sopravvivenza, la condizione della università e della > ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. > Temo, > purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore > legale > del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, > certamente, un passo importante. > > -- > Salvatore M. Aloj MD > Professor Emeritus > Department of Cellular & Molecular > Biology & Pathology "L. Califano" > University of Naples Federico II > Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy > Tel: +39-0817463601 > Mobile: +393281421839 > Fax: +39-0817463308 > > _______________________________________________ > Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list > > Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie > impostazioni: > https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione > > Ulteriori informazioni, e per firmare la > petizione, sito di Universitas Futura: > http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
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