Tanti anni fa mi ricordo un amico marxista che faceva una dotta analisi a proposito dell'Università in termini di strutture e sovrastrutture, io non lo prendevo troppo sul serio ma forse aveva ragione lui.
Di fatto l'attacco all'Università ha una funzione strutturale e consiste nel ridimensionare fortemente sia la quantità che la qualità delle strutture Universitarie pubbliche. L'aspetto grottesco è che poi non ci sono delle vere strutture private come le "Top Universities" negli USA a compensare questo disimpegno ma le famigerate Università telematiche.
Non sono però del tutto sicuro che ci sia una vera strategia dietro questo ma piuttosto una serie di "regolamenti di conti" , negli anni 70 e non solo, scelte miopi hanno inflazionato l'Università spesso con persone non adeguate, queste scelte sono state genericamente attribuite alla sinistra anche se una lettura più complessa dei rapporti di forza di quei tempi sarebbe utile. Anche per capire come certe operazioni gattopardesche abbiano mantenuto privilegi obsoleti, ora si spinge ad un ridimensionamento altrettanto brutale; ma questi sono regolamenti di conti fra politici noi quelle e queste scelte le abbiamo solo subite.
La mia analisi è sempre stata che le storture del sistema partono dalla politica, intesa in senso lato, che è poi uno specchio delle pulsioni della società e che ha favorito la crescita di una classe accademica vicina alla politica stessa a discapito di una classe scientifica. Quella stessa classe che ha distrutto l'Università ora si fa finta paladina della meritocrazia.
Le colpe del mondo accademico le conosco benissimo ma so anche che chi le ha combattute lo ha sempre fatto in una posizione di debolezza (qui entra la storia delle strutture), e quindi alla fine ha perso e non poteva essere altrimenti. Nelle facoltà scientifiche ci siamo un po difesi dandoci una forte internazionalizzazione e quindi cercando di essere lontani dalle lotte accademiche, ma poi è chiaro che nelle commissioni dei concorsi, nei consigli di Dipartimento e di Facoltà nelle elezioni dei Rettori in tutto quello che riguardava i fatti di casa nostra eravamo di fatto sempre in minoranza.
Con questo, ripensando al passato, credo che sia stato un miracolo quello che siamo riusciti a fare con le condizioni esistenti e di più non si poteva fare.
Ora per il futuro la sola strategia che vedo possibile è di non transigere almeno su quelli che formalmente sono impegni presi dalla classe politica.
La chiave per me sono prima di tutto le idoneità. La riforma Gelmini del ruolo di ricercatore può avere senso e potrebbe in teoria razionalizzare una scelta sbagliata fatta quando questo ruolo è stato istituito. Ha senso che un dottore di ricerca abbia un periodo breve, massimo tre anni, di postdottorato in cui dedicarsi principalmente alla ricerca, ma dopo questo se resta nell'Università deve farlo da docente. Altrimenti abbiamo il paradosso che quelli che non sono diventati docenti sono anche quelli che non sanno fare ricerca!
Il problema sta tutto nel passaggio dal vecchio sistema al nuovo, il punto che io criticavo di più quando si discuteva della riforma. Qui è essenziale che tutti i ricercatori che meritano una idoneità siano rapidamente immessi nei ruoli di associati o ordinari.
Lasciare in un limbo questi colleghi vuol dire veramente distruggere la struttura. Purtroppo però con l'assenza di investimenti non solo questo non avverrà ma vi è il rischio, forse la certezza, che questo passaggio sarà contestuale o ad una paralisi del ricambio o ad una precarizzazione che di fatto è il contrario di quanto previsto teoricamete dalla riforma stessa.
Per cui invece di dibattere sul pensionamento che come credo e come vi ho chiesto di indagare, ora spesso viene ben prima dei 70 anni per puro sfinimento, esigiamo almeno dai politici il rispetto degli impegni presi.
Claudio Procesi, Professore Emerito,
Dipartimento di Matematica, G. Castelnuovo
Membro dell'Accademia dei Lincei
Università di Roma La Sapienza, piazzale A. Moro 00185, Roma, Italia fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/