Cari Colleghi,
Sono completamente d'accordo con Marco Tirassa. Anche nello sconforto.
Si parla tanto, e giustamente, di aberrazion i varie legate alla cancellazioni di enti inutili,
pur essendo fiori all'occhiello della ricerca nazionale. E' solo un piccolo esempio del drammatico
problema di fondo (ed irrisolvibile, purtroppo): secondo chi ci governa (inclusi vari rettori) la madre di tutti gli
enti inutili (legati alla ricerca) e' l'universita' stessa, almeno se intesa come centro di produzione di cultura (scientifica, umanistica, etc..)
e quindi, per definizione, in perdita. Non c'e', semplicemente, nulla da fare. Per chi puo', la sola via e' emigrare.
Saluti a tutti,
MAURO
Esattamente. In una nazione che produce essenzialmente criminalità organizzata di vario tipo, palazzine in cemento depotenziato, scarpe costose e scadente ricezione alberghiera, la formazione a tutti i livelli e la ricerca -- cioè. genericamente, conoscenza, cittadinanza e innovazione -- semplicemente non sono percepite come un asset strategico. Anzi, sono una seccatura: tutti 'sti comunisti a criticare chi comanda, sai che palle.
Ed è vero che l'unica cosa che possa avere un senso sarebbero azioni di quel tipo. Non perché possano avere successo: ci hanno provato gli accademici francesi lo scorso anno o in anni più remoti, per dire, i minatori inglesi all'epoca della Thatcher, e hanno perso. E se anche mettessimo in scena azioni di quel tipo, la campagna di stampa per argomentare che siamo solo una casta che difende i propri privilegi partirebbe in ventiquattr'ore.
Però lasceremmo un piccolo germe: alla "opinione pubblica", ai nostri ragazzi, a chi ci guarda. Leggetevi o rileggetevi Il mondo nuovo, di Aldous Huxley, e Fahrenheit 451, di Ray Bradbury.
Ma noi -- noi accademici, non solo noi di questo gruppo -- non riusciamo a fare fronte comune. In parte perché furbamente hanno usato una logica di tipo divide et impera (v. i piccoli contentini dati ai rettori, che infatti tacciono in reverente silenzio, e i ben più grandi "scontentini" dati a chi di voce non ne ha, cioè i precari e i giovani e in generale gli accademici "normali"). In parte perché i ricercatori sono intrinsecamente anarchici individualisti e per di più pensano troppo alla ricerca (i "mille rivoli" dei quali parla Lucia Magnelli) e tgroppo poco al quadro d'insieme. E in parte perché è da lunga pezza partita la corsa dei poteri accademici forti a mantenere le proprie posizioni e stanno per accendersi, ove già non l'abbiano fatto, le guerre tra poveri degli altri.
Scusate... lo sapete che potete sempre contare su di me per una parola di sconforto!
Per ulteriori considerazioni vi rimando ad alcuni articoli usciti di recente sulla Stampa. Disattivo i link perché non so se passino dal vostro server: basta che facciate un copia-e-incolla nel vostro browser:
Prof. Mauro C. Beltrametti Dipartimento di Matematica Universita' di Genova Via Dodecaneso, 35 16146 Genova Italy beltrametti@dima.unige.it