At 15:36 +0200 02.06.2009, Francesco Antonio Gianturco wrote:
...Università dell'Europa non-mediterranea, dove risulta quasi impossibile essere promossi a full professor nel luogo in cui si lavora già.
E' banale dirlo, ma una parte non piccola delle ragioni per le quali molti accademici italiani hanno avuto progressioni di carriera in sede era meramente economica: l'ateneo doveva sborsare solo la differenza tra lo stipendio della fascia precedente (con, si presume, almeno un po' di anzianità) e quello della fascia nuova (con, almeno inizialmente, zero anzianità). Così, se passavi ordinario nella sede presso la quale eri già associato, o associato nella stessa sede presso la quale eri ricercatore, l'ateneo doveva tirar fuori poco o nullo denaro. Il budget stanziato inizialmente era però quello di uno stipendio da ordinario o da associato pieno; il surplus tornava disponibile per posti nuovi o per ulteriori slittamenti. Più che uno scandalo o una prova di particoalre corruzione, era una risposta totalmente razionale a un sistema che razionale non era (né lo sta diventando). Chiaro che questo poi può essere interpretato come "e certo! promozioni facili per tutti! todos caballeros!" oppure come "un giusto riconoscimento di carriera a un valente professionista che sarebbe altrimenti rimasto inchiodato dalla carenza di risorse". Nella mia esperienza, c'è stato un misto delle due cose.
Mi pare quindi ovvio che ,sia pure nel nostro disatroso sistema accademico, cambiare "aria" aiuta la qualità più del contrario. Altre esperienze simili ?
Io ho fatto tutta la carriera di ruolo con i concorsi locali, ma, almeno inizialmente, mi sono mobilizzato fin troppo. Tra postgraduate, dottorato e precariati vari ho lavorato presso, o quanto meno avuto contatti "seri" con, una mezza dozzina di università del Nord, del Nord-Est, del Nord-Ovest e dell'immediato oltreconfine italofono. Dopo varie peripezie che chiunque conosca il sistema e l'ambiente nel quale ci muoviamo può facilmente immaginare, almeno a grandi linee, mi sono infine stabilizzato a Torino, dove appunto sono andato avanti con i concorsi locali, a quel punto recuperando con relativa velocità (ricercatore dal 1997, associato dal 2001, straordinario dal 2007).
Tutto ciò parla bene o male del mio lavoro, dell'Università di Torino, delle altre con le quali ho avuto a che fare prima di arrivare qua, del sistema dell'autonomia com'è etc.? Difficile per me dirlo. La mia impressione è che la mia mobilità sia stata (a) casuale, (b) dovuta alle ragioni sbagliate e (c) non certo finalizzata alla mia maturazione professionale. Ammesso che io sia cresciuto come professionista, non è successo per le buone letture fatte in treno né perché le varie sedi mi accogliessero con lancio di petali di rosa e Festschriften precoci, ma perché, per ragioni tutte interne mie, ho resistito e anzi reagito a frustrazioni e mazzolate, senza peraltro (e forse purtroppo) decidere di andarmene dal suolo patrio. Tuttavia, di certo non ho maturato grandi stima e fiducia verso il sistema e l'ambiente accademico attuale.
My two cents, of course.
- Maurizio Tirassa