Vi inviamo di seguito un intervento della collega Paola Potestio di Roma 3 che presto pubblicheremo nell'area blog di UNI.RA. L'idea e' di raccogliere delle idee condivise e fare un documento ulteriore da inviare al Ministro Gelmini in occasione dell'incontro annuale ISSNAF che si terra' a Los Angeles il 16 maggio pv.
Buona lettura. Sono graditi interventi nell'area Blog di UNI.RA w3.disg.uniroma1.it/unira
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- In un pamphlet uscito a febbraio (Luniversità italiana: un irrimediabile declino?, Editore Rubbettino), ho ripercorso le vicende delluniversità italiana negli ultimi venti anni. Lo stallo attuale, ho cercato di mostrare, ha una origine prossima in riforme sbagliate, e radici profonde in consolidate carenze della nostra accademia, della nostra cultura e della nostra competizione politica. Il quadro che disegno rappresenta la nostra università, oggi, davanti a un bivio: il continuo declino o la svolta. Vi è una larga coincidenza tra i punti del Manifesto di Universitas Futura e il mio pamphlet. Nella convinzione che alimentare dibattito sia il contributo migliore che i professori la base nelluniversità - possono dare al superamento dello stallo, sottopongo ai colleghi di Universitas Futura qualche considerazione tratta dal mio pamphlet.
Lo stato attuale è, nella mia opinione, il risultato di un cocktail esplosivo di elementi. I principali: 1. Le Riforme della fine degli anni 90, ossia la riforma dei concorsi e lintroduzione delle lauree in successione: il 3+2. Considero entrambe le riforme sbagliate. Senza appello. I concorsi locali, con la moltiplicazione delle commissioni e le triple e doppie idoneità, hanno fornito un incentivo perverso ad accordi di scambio tra sedi o gruppi di professori: votarsi a vicenda per la composizione delle commissioni di concorso e appoggiare a vicenda i rispettivi candidati è stata pratica diffusissima, qualunque fosse il valore dei candidati designati. Una sostanziale ope legis per massicci avanzamenti di carriera si è così realizzata negli anni 1999-2005. Il 3+2, daltro lato, ha modificato in profondità la struttura degli ordinamenti didattici, conducendo a una rapida, abnorme moltiplicazione dei corsi di laurea e frammentazione degli insegnamenti. Mentre il nuovo schema non ha di fatto fornito alcuna efficace risposta allesigenza di una formazione universitaria articolata e adeguata alla stratificazione delle competenze e delle professionalità di una società moderna, la duplicazione delle lauree e la natura incerta della prima (triennio professionalizzante o propedeutico al biennio?) hanno prodotto quasi ovunque un indebolimento delle basi metodologiche. 2. La particolarità della autonomia universitaria italiana. Nel 1989, la legge istitutiva del Ministero delluniversità e della ricerca scientifica e tecnologica attribuiva agli atenei autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile. Alla affermazione dellautonomia non si è unita però, né allora né poi, la predisposizione di alcuna forma di controllo delloperato degli atenei. Fino ad oggi, gli atenei hanno di fatto usufruito di unautonomia senza verifiche, senza valutazione dei risultati, senza alcuno schema di incentivo che ne sollecitasse luso virtuoso. Un esercizio di valutazione della ricerca è stato varato solo nel 2003 (su impulso del ministro Moratti), per il triennio 2001-03. Lesperienza è stata senzaltro positiva. Di fatto, però, non la si è fatta proseguire e i suoi risultati non hanno avuto alcuna significativa incidenza sui finanziamenti dei singoli atenei. 3. La composizione per corporazioni del tessuto universitario. Nella copiosa, recente letteratura sul tema università, nessun lavoro (tranne il mio) ha sottolineato la struttura per corporazioni del nostro tessuto universitario. In Italia, 370 settori scientifico-disciplinari presidiano, letteralmente, i concorsi e gli ordinamenti didattici. E una quantità assurda di centri di potere che, in un regime di autonomia, competono in ogni snodo della vita universitaria per affermare e ampliare la propria influenza. Negli anni più recenti, i concorsi locali e lautonomia didattica hanno consentito alle corporazioni di affermarsi come mai prima. Gli ordinamenti didattici, i posti messi a concorso, la crescita di facoltà e atenei sono nati dal confronto e dai rapporti di forza tra questa miriade di settori. La connessione con veri progetti formativi o con veri progetti di crescita degli atenei è debole, e verosimilmente talora del tutto assente. Questa struttura, molto eterogenea e che certamente contiene nicchie di valore, è alla radice di gran parte dei problemi di governance dei nostri atenei. 4. Il livello infimo della competizione politica in Italia. Un confronto politico incapace di superare gli immediati interessi di parte ha troppo spesso condotto a una sorta di gioco al ribasso sui temi delluniversità, un gioco che ha fatto leva sulla quantità di interessi alla conservazione e al mantenimento dello status quo esistenti in università e che ha di fatto vanificato ogni prospettiva di progresso.
I risultati di questo cocktail sono deprimenti. Rinviando al pamphlet per approfondimenti e qualche dato, il quesito è ovviamente: che fare? Nella improbabilità di riforme totali, la assoluta priorità nellagenda del che fare è sollecitare un uso virtuoso dellautonomia. Efficienza e competizione sono i valori che vanno oggi riaffermati, attraverso una serie di obiettivi specifici collegamenti tra valutazione della ricerca e finanziamenti, superamento della struttura per corporazioni, abolizione del valore legale dei titoli - diretti, appunto, a forzare le strutture universitarie verso un uso virtuoso dellautonomia. Lintervento più urgente è la prosecuzione e il rafforzamento della valutazione della ricerca. E singolare che gli omaggi verbali alla valutazione, largamente presenti nei dibattuti di questi mesi, non si siano uniti al richiamo della assoluta urgenza di continuare lesercizio avviato né abbiano posto sul tappeto la questione del come e con quali risorse proseguire nella valutazione. Un secondo, cruciale intervento è una ridefinizione dei settori scientifico- disciplinari, attuata nella direzione di un superamento della struttura per corporazioni delluniversità. Superare questa struttura significherebbe superare uno degli aspetti più radicati nella tradizione universitaria, significherebbe togliere alimento alla cultura della appartenenza, fortissima nel nostro paese, a favore della cultura del confronto aperto e della concorrenza. Un terzo intervento è labolizione del valore legale dei titoli di studio. Labolizione darebbe un aiuto formidabile: ai giovani, nel porsi in modo più serio il problemi della scelta delle competenze da acquisire e nellaffrontare in modo più serio luniversità; ai docenti: nellaffrontare in modo assai meno corporativo il disegno dei corsi di studio. Certamente molto resterebbe da fare. Ma, insieme, queste tre linee di intervento darebbero una svolta e renderebbero assai più semplice affrontare i tanti altri nodi della questione universitaria. Partire invece da uno di questi nodi, e in particolare come sembra stia emergendo dalla governance, potrebbe essere assai pericoloso. Ma questo, lordine della agenda, merita una apposita riflessione, su cui spero Universitas Futura mi dia ospitalità e voglia comunque sollecitare interventi.
`Paola Potestio