Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
On Mon, Feb 6, 2012 at 2:08 PM, Prof. Salvatore M. Aloj smaloj@unina.it wrote:
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Sono completamente d'accordo con quanto scritto.
Cordialmente,
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/camelot
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi a fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/camelot
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Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi a fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/camelot
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Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/camelot
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Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l’identificazione dei migliori intelletti, e l’attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all’altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E’ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l’obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l’oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all’intera comunità internazionale. E’ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l’autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i “figli scientifici” del membro interno o del presidente di commissione? E’ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell’accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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__________________________________________________ Walter Lacarbonara
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Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del libro bianco...
Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006.
Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di scuola elementare. È triste notare che in alcune aree, come la Biologia, alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all¹altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l¹obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Caro Dr. Massulli,
apprezzo molto la sua decisione di rispondere al mio messaggio esponendo le sue idee sul bandi PRIN e FIRB. Tuttavia, vorrei riaffermare con forza la mia convinzione che tali bandi sono quanto di peggio il MIUR sia riuscito a partorire in questi ultimi anni. Non credo che questo sia frutto della “mente bacata” di alcuni burocrati o del Ministro, ma sia il risultato di impostazioni sbagliate che non tengono conto della natura e delle regole internazionali della ricerca di base, e delle specificità dei vari settori di ricerca.
Ma veniamo al punto. Qual’è lo scopo dei bandi PRIN e FIRB. Spero che convenga con me che sia quello di finanziare la buona ricerca, permettendo a tutti i ricercatori qualificati di partecipare a una valutazione comparativa dei loro progetti. Ebbene, i limiti di partecipazione ai bandi PRIN e FIRB sono in contrasto con questo scopo, specialmente per quanto riguarda la Biologia.
Non mi voglio soffermare troppo sul numero minimo di gruppi richiesto per partecipare ai due bandi. Come ho scritto nell’articolo, questo vincolo favorisce la formazione di cordate eterogenee (organizzate in soli due mesi) che poco o nulla hanno a che fare con le vere collaborazioni scientifiche. Se si voleva ridurre il numero di progetti da valutare, meglio sarebbe stato permettere la partecipazione di gruppi (unità) dello stesso Dipartimento già impegnati da anni in vere collaborazioni scientifiche (ovvero stabilire un minimo di PI per ogni progetto).
La cosa peggiore sono però i vincoli di partecipazione al FIRB-giovani, e le confesso che non capisco il suo ragionamento al riguardo. Non capisco perchè lei ritenga corretto un limite inferiore di 15 pubblicazioni (per gli strutturati) e non un fattore di impatto (IF) minimo. Le riviste di Biologia sono migliaia e molto diverse tra loro. Ne esistono alcune con IF compresi tra 1 e 2 che generalmente pubblicano lavori di scarsissimo valore. Ne esistono invece altre con IF di oltre 30 (e.g. Nature, Science, Cell etc.) su cui è difficilissimo pubblicare e che accettano solo lavori di notevole originalità e completezza. E’ quindi ovvio che per pubblicare su riviste a basso IF bastano pochi mesi di lavoro, mentre per pubblicare su una rivista ad alto IF ci vogliono anni di durissimo impegno. E’ quindi altrettanto ovvio che chi “pubblica bene” pubblica molto meno di chi pubblica su riviste a basso IF. Allora perché escludere dalla partecipazione al bando chi ha un numero limitato di lavori ad alto IF permettendo invece di partecipare a chi ha pubblicato molti lavori di scarsa qualità. Questo non solo è profondamente diseducativo per i giovani, ma è anche in contrasto con i criteri che saranno usati dall’ANVUR per la valutazione della ricerca. Vorrei inoltre farle notare che in importanti bandi di ricerca su fondi privati (vedi bando AIRC 2012 appena uscito) si richiede un IF complessivo di 50 come condizione minima per la partecipazione e non si parla del numero di pubblicazioni.
Infine, come avevo scritto nell’articolo, trovo assurdo discriminare tra un giovane che ha un posto a tempo indeterminato ed uno che non lo ha. Perché un ricercatore di 35 anni assunto a tempo indeterminato con 10 pubblicazioni (alcune delle quali su riviste prestigiose) non può partecipare al FIRB-giovani mentre può farlo un trentacinquenne non strutturato con 10 pubblicazioni? Spero che voglia ammettere che questo è un errore che va corretto al più presto.
Come le ho detto, ho apprezzato molto la sua risposta, che mi sembra denotare un suo genuino interesse per il problema del finanziamento della ricerca. Al di là delle opinioni del comitato nazionale dei garanti, vorrei poterla convincere della correttezza delle mie argomentazioni, che sono condivise dalla stragrande maggioranza dei ricercatori attivi nel settore biologico. Ma perché non chiede in giro? Perché non fa un giro nei laboratori e parla con i giovani (questo è un invito)? Io non credo che i burocrati abbiano una “mente bacata”, ma credo che i burocrati la mente debbano usarla per capire la realtà che li circonda e le situazioni che sono chiamati a gestire. Solo in questo modo, potranno diventare dirigenti consapevoli del loro ruolo e operare nell’interesse del Paese.
Cordialmente, Maurizio Gatti
From: "Massulli Mauro" mauro.massulli@miur.it To: "Maurizio Gatti" maurizio.gatti@uniroma1.it X-TM-AS-Product-Ver: IMSS-7.1.0.1433-6.8.0.1017-18686.006 X-TM-AS-Result: No--1.869-5.0-31-10 X-imss-scan-details: No--1.869-5.0-31-10 X-TM-AS-User-Approved-Sender: No
Caro professor Gatti, grazie dell'articolo che mi ha inviato, ma è, già lo sa, una posizione che non condivido. I requisiti OGGETTIVI di ammissiiblità non debbono essere confusi con le valutazioni scientifiche che spetteranno ai referee. Ciò che lei propone sembra essere un sistema misto "requisiti oggettivi/qualità della ricerca" inaccettabile in fase di ammissione al bando, o che, se si traducesse in un allargamento dei requisiti relativi al cut-off, porterebbe come conseguenza ad un allargamento della competizione, con allungamento dei tempi e scadimento della qualità della valutazione stessa. Questi requisiti non sono frutto della mia "mente bacata" (mia o di qualsiasi altro "burocrate"): sono stati ampiamente ponderati, in fase di preparazione del bando, dalla Commissione di esperti FIRB, composta da 10 suoi colleghi docenti in varie discipline, tra cui anche un giurista, e quindi ben valutati anche sotto il profilo della legittimità oltre che dell'opportunità. Ciò non esclude che possano esserci pareri contrari (come il suo), ma non si comprende il motivo per cui qualche parere contrario debba prevalere sull'opinione di esperti che hanno avuto ISTITUZIONALMENTE il compito di occuparsi, tra l'altro, anche della predisposizione del bando! Non vorrei che, come al solito, si pensasse che debba/possa prevalere l'opinione di chi (anche pacatamente, come nel suo caso, e del tutto legittimamente) "alza la voce" per esprimere il proprio legittimo dissenso, perché allora veramente non comprenderei quale sarebbe l'utilità di quegli organismi di esperti istituzionalmente preposti allo svolgimento di determinati compiti. Posto dunque che io, per quanto mi riguarda, confermo la mia opinione complessivamente contraria (salvo assicurarla che farò di tutto perché siano prese comunque in considerazione le sue opinioni per il prossimo bando), non posso che chiarire che la modifica dei bandi non è una questione di cui mi posso occupare io: per questo (così come per tutte le altre richieste di modifica che compaiono nel suo articolo, e che si riferiscono a vincoli di altra natura, posti per motivazioni strategiche, e che comunque nulla hanno a che vedere con necessità amministrative) deve rivolgersi direttamente al Ministro, cui peraltro la sua "lettera aperta" certamente non sarà sfuggita. Con la massima stima, le invio i miei più cordiali saluti, augurandomi sinceramente di averla presto in qualche Comitato di Selezione o nel Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca: vedrà, scontrandosi con gli aspetti più pratici dell'operatività di tutti i giorni, che in fondo in fondo quello dei suoi colleghi non è poi un gran bel vivere...
Mauro Massulli
-----"P. Dimitri" liviapat@inwind.it ha scritto: -----
======================= Per: Università e Ricerca Forum universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Da: "P. Dimitri" liviapat@inwind.it Data: 06/02/2012 06.56PM Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: concorsi: problema etico e non di metodo ======================= Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del libro bianco...
Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006.
Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di scuola elementare. È triste notare che in alcune aree, come la Biologia, alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all¹altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l¹obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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D'accordo con quanto scritto da Masulli con l'eccezione, dell'importanza del fattore d'impatto.
Cari colleghi, Come alcuni di voi sapete, mi esprimo da tempo contro luso del fattore dimpatto come criterio di valutazione di un gruppo oppure di una persona. A questo scopo ritengo sia il parametro bibliometrico più inutile di tutti, in quanto, riguarda limpatto del giornale(somma del numero di citazione del giornale) e non dei singoli articoli delle persone o dei gruppi. Questo parere è ormai molto diffuso nel mondo scientifico e il suo uso nei nostri concorsi nazionali universitari mi rende perplesso. A questo proposito vi segnalo unarticolo del giugno 2010 su Nature (456, 864- 866). in cui viene presentata unanalisi dei vari parametri bibliometrici. Per chi non ha voglia di cercare e leggere larticolo cito una frase che viene sottolineata nellarticolo If there is one thing which every bibliometrician agrees on it is that you should never use the journal impact factor to evaluate research performance for an article or for an individual.
Basta con l'IF, ce ne sono altri parametri bibliometrici molto, ma molto, più utili.
Saluti, Robert Jennings
Caro Dr. Massulli,
apprezzo molto la sua decisione di rispondere al mio messaggio esponendo le sue idee sul bandi PRIN e FIRB. Tuttavia, vorrei riaffermare con forza la mia convinzione che tali bandi sono quanto di peggio il MIUR sia riuscito a partorire in questi ultimi anni. Non credo che questo sia frutto della “mente bacata” di alcuni burocrati o del Ministro, ma sia il risultato di impostazioni sbagliate che non tengono conto della natura e delle regole internazionali della ricerca di base, e delle specificità dei vari settori di ricerca.
Ma veniamo al punto. Qual’è lo scopo dei bandi PRIN e FIRB. Spero che convenga con me che sia quello di finanziare la buona ricerca, permettendo a tutti i ricercatori qualificati di partecipare a una valutazione comparativa dei loro progetti. Ebbene, i limiti di partecipazione ai bandi PRIN e FIRB sono in contrasto con questo scopo, specialmente per quanto riguarda la Biologia.
Non mi voglio soffermare troppo sul numero minimo di gruppi richiesto per partecipare ai due bandi. Come ho scritto nell’articolo, questo vincolo favorisce la formazione di cordate eterogenee (organizzate in soli due mesi) che poco o nulla hanno a che fare con le vere collaborazioni scientifiche. Se si voleva ridurre il numero di progetti da valutare, meglio sarebbe stato permettere la partecipazione di gruppi (unità) dello stesso Dipartimento già impegnati da anni in vere collaborazioni scientifiche (ovvero stabilire un minimo di PI per ogni progetto).
La cosa peggiore sono però i vincoli di partecipazione al FIRB-giovani, e le confesso che non capisco il suo ragionamento al riguardo. Non capisco perchè lei ritenga corretto un limite inferiore di 15 pubblicazioni (per gli strutturati) e non un fattore di impatto (IF) minimo. Le riviste di Biologia sono migliaia e molto diverse tra loro. Ne esistono alcune con IF compresi tra 1 e 2 che generalmente pubblicano lavori di scarsissimo valore. Ne esistono invece altre con IF di oltre 30 (e.g. Nature, Science, Cell etc.) su cui è difficilissimo pubblicare e che accettano solo lavori di notevole originalità e completezza. E’ quindi ovvio che per pubblicare su riviste a basso IF bastano pochi mesi di lavoro, mentre per pubblicare su una rivista ad alto IF ci vogliono anni di durissimo impegno. E’ quindi altrettanto ovvio che chi “pubblica bene” pubblica molto meno di chi pubblica su riviste a basso IF. Allora perché escludere dalla partecipazione al bando chi ha un numero limitato di lavori ad alto IF permettendo invece di partecipare a chi ha pubblicato molti lavori di scarsa qualità. Questo non solo è profondamente diseducativo per i giovani, ma è anche in contrasto con i criteri che saranno usati dall’ANVUR per la valutazione della ricerca. Vorrei inoltre farle notare che in importanti bandi di ricerca su fondi privati (vedi bando AIRC 2012 appena uscito) si richiede un IF complessivo di 50 come condizione minima per la partecipazione e non si parla del numero di pubblicazioni.
Infine, come avevo scritto nell’articolo, trovo assurdo discriminare tra un giovane che ha un posto a tempo indeterminato ed uno che non lo ha. Perché un ricercatore di 35 anni assunto a tempo indeterminato con 10 pubblicazioni (alcune delle quali su riviste prestigiose) non può partecipare al FIRB-giovani mentre può farlo un trentacinquenne non strutturato con 10 pubblicazioni? Spero che voglia ammettere che questo è un errore che va corretto al più presto.
Come le ho detto, ho apprezzato molto la sua risposta, che mi sembra denotare un suo genuino interesse per il problema del finanziamento della ricerca. Al di là delle opinioni del comitato nazionale dei garanti, vorrei poterla convincere della correttezza delle mie argomentazioni, che sono condivise dalla stragrande maggioranza dei ricercatori attivi nel settore biologico. Ma perché non chiede in giro? Perché non fa un giro nei laboratori e parla con i giovani (questo è un invito)? Io non credo che i burocrati abbiano una “mente bacata”, ma credo che i burocrati la mente debbano usarla per capire la realtà che li circonda e le situazioni che sono chiamati a gestire. Solo in questo modo, potranno diventare dirigenti consapevoli del loro ruolo e operare nell’interesse del Paese.
Cordialmente, Maurizio Gatti
From: "Massulli Mauro" mauro.massulli@miur.it To: "Maurizio Gatti" maurizio.gatti@uniroma1.it X-TM-AS-Product-Ver: IMSS-7.1.0.1433-6.8.0.1017-18686.006 X-TM-AS-Result: No--1.869-5.0-31-10 X-imss-scan-details: No--1.869-5.0-31-10 X-TM-AS-User-Approved-Sender: No
Caro professor Gatti, grazie dell'articolo che mi ha inviato, ma è, già lo sa, una posizione che non condivido. I requisiti OGGETTIVI di ammissiiblità non debbono essere confusi con le valutazioni scientifiche che spetteranno ai referee. Ciò che lei propone sembra essere un sistema misto "requisiti oggettivi/qualità della ricerca" inaccettabile in fase di ammissione al bando, o che, se si traducesse in un allargamento dei requisiti relativi al cut-off, porterebbe come conseguenza ad un allargamento della competizione, con allungamento dei tempi e scadimento della qualità della valutazione stessa. Questi requisiti non sono frutto della mia "mente bacata" (mia o di qualsiasi altro "burocrate"): sono stati ampiamente ponderati, in fase di preparazione del bando, dalla Commissione di esperti FIRB, composta da 10 suoi colleghi docenti in varie discipline, tra cui anche un giurista, e quindi ben valutati anche sotto il profilo della legittimità oltre che dell'opportunità. Ciò non esclude che possano esserci pareri contrari (come il suo), ma non si comprende il motivo per cui qualche parere contrario debba prevalere sull'opinione di esperti che hanno avuto ISTITUZIONALMENTE il compito di occuparsi, tra l'altro, anche della predisposizione del bando! Non vorrei che, come al solito, si pensasse che debba/possa prevalere l'opinione di chi (anche pacatamente, come nel suo caso, e del tutto legittimamente) "alza la voce" per esprimere il proprio legittimo dissenso, perché allora veramente non comprenderei quale sarebbe l'utilità di quegli organismi di esperti istituzionalmente preposti allo svolgimento di determinati compiti. Posto dunque che io, per quanto mi riguarda, confermo la mia opinione complessivamente contraria (salvo assicurarla che farò di tutto perché siano prese comunque in considerazione le sue opinioni per il prossimo bando), non posso che chiarire che la modifica dei bandi non è una questione di cui mi posso occupare io: per questo (così come per tutte le altre richieste di modifica che compaiono nel suo articolo, e che si riferiscono a vincoli di altra natura, posti per motivazioni strategiche, e che comunque nulla hanno a che vedere con necessità amministrative) deve rivolgersi direttamente al Ministro, cui peraltro la sua "lettera aperta" certamente non sarà sfuggita. Con la massima stima, le invio i miei più cordiali saluti, augurandomi sinceramente di averla presto in qualche Comitato di Selezione o nel Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca: vedrà, scontrandosi con gli aspetti più pratici dell'operatività di tutti i giorni, che in fondo in fondo quello dei suoi colleghi non è poi un gran bel vivere...
Mauro Massulli
-----"P. Dimitri" liviapat@inwind.it ha scritto: -----
======================= Per: Università e Ricerca Forum universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Da: "P. Dimitri" liviapat@inwind.it Data: 06/02/2012 06.56PM Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: concorsi: problema etico e non di metodo ======================= Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del libro bianco...
Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006.
Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di scuola elementare. È triste notare che in alcune aree, come la Biologia, alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all¹altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l¹obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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IF da solo può non essere sufficiente, ma è comunque un parametro che valuta l'impatto internazionale delle riviste su cui si pubblica. E’ chiaro che non tutte le riviste più lette e citate siano le migliori, ma ad esempio io posso avere un indice chiaro che mi dice se Journal of Pizza & Fichi è una rivista buona o scadente. Ho letto che tu preferisci le citazioni come parametro., ma nel caso di ricercatori più giovani, che non è detto debbano avere valanghe di pubblicazioni, un articolo anche se importante, potrebbe non aver avuto il tempo di ricevere un numero decente di citazioni.
Patrizio Dimitri
Il 07/02/12 15.05, "Robert Jennings" robert.jennings@unimi.it ha scritto:
D'accordo con quanto scritto da Masulli con l'eccezione, dell'importanza del fattore d'impatto.
Cari colleghi, Come alcuni di voi sapete, mi esprimo da tempo contro l’uso del fattore d’impatto come criterio di valutazione di un gruppo oppure di una persona. A questo scopo ritengo sia il parametro bibliometrico più inutile di tutti, in quanto, riguarda “l’impatto” del giornale(somma del numero di citazione del giornale) e non dei singoli articoli delle persone o dei gruppi. Questo parere è ormai molto diffuso nel mondo scientifico e il suo uso nei nostri concorsi nazionali universitari mi rende perplesso. A questo proposito vi segnalo un’articolo del giugno 2010 su Nature (456, 864- 866). in cui viene presentata un’analisi dei vari parametri bibliometrici. Per chi non ha voglia di cercare e leggere l’articolo cito una frase che viene sottolineata nell’articolo “”If there is one thing which every bibliometrician agrees on it is that you should never use the journal impact factor to evaluate research performance for an article or for an individual.”
Basta con l'IF, ce ne sono altri parametri bibliometrici molto, ma molto, più utili.
Saluti, Robert Jennings
Caro Dr. Massulli,
apprezzo molto la sua decisione di rispondere al mio messaggio esponendo le sue idee sul bandi PRIN e FIRB. Tuttavia, vorrei riaffermare con forza la mia convinzione che tali bandi sono quanto di peggio il MIUR sia riuscito a partorire in questi ultimi anni. Non credo che questo sia frutto della “mente bacata” di alcuni burocrati o del Ministro, ma sia il risultato di impostazioni sbagliate che non tengono conto della natura e delle regole internazionali della ricerca di base, e delle specificità dei vari settori di ricerca.
Ma veniamo al punto. Qual’è lo scopo dei bandi PRIN e FIRB. Spero che convenga con me che sia quello di finanziare la buona ricerca, permettendo a tutti i ricercatori qualificati di partecipare a una valutazione comparativa dei loro progetti. Ebbene, i limiti di partecipazione ai bandi PRIN e FIRB sono in contrasto con questo scopo, specialmente per quanto riguarda la Biologia.
Non mi voglio soffermare troppo sul numero minimo di gruppi richiesto per partecipare ai due bandi. Come ho scritto nell’articolo, questo vincolo favorisce la formazione di cordate eterogenee (organizzate in soli due mesi) che poco o nulla hanno a che fare con le vere collaborazioni scientifiche. Se si voleva ridurre il numero di progetti da valutare, meglio sarebbe stato permettere la partecipazione di gruppi (unità) dello stesso Dipartimento già impegnati da anni in vere collaborazioni scientifiche (ovvero stabilire un minimo di PI per ogni progetto).
La cosa peggiore sono però i vincoli di partecipazione al FIRB-giovani, e le confesso che non capisco il suo ragionamento al riguardo. Non capisco perchè lei ritenga corretto un limite inferiore di 15 pubblicazioni (per gli strutturati) e non un fattore di impatto (IF) minimo. Le riviste di Biologia sono migliaia e molto diverse tra loro. Ne esistono alcune con IF compresi tra 1 e 2 che generalmente pubblicano lavori di scarsissimo valore. Ne esistono invece altre con IF di oltre 30 (e.g. Nature, Science, Cell etc.) su cui è difficilissimo pubblicare e che accettano solo lavori di notevole originalità e completezza. E’ quindi ovvio che per pubblicare su riviste a basso IF bastano pochi mesi di lavoro, mentre per pubblicare su una rivista ad alto IF ci vogliono anni di durissimo impegno. E’ quindi altrettanto ovvio che chi “pubblica bene” pubblica molto meno di chi pubblica su riviste a basso IF. Allora perché escludere dalla partecipazione al bando chi ha un numero limitato di lavori ad alto IF permettendo invece di partecipare a chi ha pubblicato molti lavori di scarsa qualità. Questo non solo è profondamente diseducativo per i giovani, ma è anche in contrasto con i criteri che saranno usati dall’ANVUR per la valutazione della ricerca. Vorrei inoltre farle notare che in importanti bandi di ricerca su fondi privati (vedi bando AIRC 2012 appena uscito) si richiede un IF complessivo di 50 come condizione minima per la partecipazione e non si parla del numero di pubblicazioni.
Infine, come avevo scritto nell’articolo, trovo assurdo discriminare tra un giovane che ha un posto a tempo indeterminato ed uno che non lo ha. Perché un ricercatore di 35 anni assunto a tempo indeterminato con 10 pubblicazioni (alcune delle quali su riviste prestigiose) non può partecipare al FIRB-giovani mentre può farlo un trentacinquenne non strutturato con 10 pubblicazioni? Spero che voglia ammettere che questo è un errore che va corretto al più presto.
Come le ho detto, ho apprezzato molto la sua risposta, che mi sembra denotare un suo genuino interesse per il problema del finanziamento della ricerca. Al di là delle opinioni del comitato nazionale dei garanti, vorrei poterla convincere della correttezza delle mie argomentazioni, che sono condivise dalla stragrande maggioranza dei ricercatori attivi nel settore biologico. Ma perché non chiede in giro? Perché non fa un giro nei laboratori e parla con i giovani (questo è un invito)? Io non credo che i burocrati abbiano una “mente bacata”, ma credo che i burocrati la mente debbano usarla per capire la realtà che li circonda e le situazioni che sono chiamati a gestire. Solo in questo modo, potranno diventare dirigenti consapevoli del loro ruolo e operare nell’interesse del Paese.
Cordialmente, Maurizio Gatti
From: "Massulli Mauro" mauro.massulli@miur.it To: "Maurizio Gatti" maurizio.gatti@uniroma1.it X-TM-AS-Product-Ver: IMSS-7.1.0.1433-6.8.0.1017-18686.006 X-TM-AS-Result: No--1.869-5.0-31-10 X-imss-scan-details: No--1.869-5.0-31-10 X-TM-AS-User-Approved-Sender: No
Caro professor Gatti, grazie dell'articolo che mi ha inviato, ma è, già lo sa, una posizione che non condivido. I requisiti OGGETTIVI di ammissiiblità non debbono essere confusi con le valutazioni scientifiche che spetteranno ai referee. Ciò che lei propone sembra essere un sistema misto "requisiti oggettivi/qualità della ricerca" inaccettabile in fase di ammissione al bando, o che, se si traducesse in un allargamento dei requisiti relativi al cut-off, porterebbe come conseguenza ad un allargamento della competizione, con allungamento dei tempi e scadimento della qualità della valutazione stessa. Questi requisiti non sono frutto della mia "mente bacata" (mia o di qualsiasi altro "burocrate"): sono stati ampiamente ponderati, in fase di preparazione del bando, dalla Commissione di esperti FIRB, composta da 10 suoi colleghi docenti in varie discipline, tra cui anche un giurista, e quindi ben valutati anche sotto il profilo della legittimità oltre che dell'opportunità. Ciò non esclude che possano esserci pareri contrari (come il suo), ma non si comprende il motivo per cui qualche parere contrario debba prevalere sull'opinione di esperti che hanno avuto ISTITUZIONALMENTE il compito di occuparsi, tra l'altro, anche della predisposizione del bando! Non vorrei che, come al solito, si pensasse che debba/possa prevalere l'opinione di chi (anche pacatamente, come nel suo caso, e del tutto legittimamente) "alza la voce" per esprimere il proprio legittimo dissenso, perché allora veramente non comprenderei quale sarebbe l'utilità di quegli organismi di esperti istituzionalmente preposti allo svolgimento di determinati compiti. Posto dunque che io, per quanto mi riguarda, confermo la mia opinione complessivamente contraria (salvo assicurarla che farò di tutto perché siano prese comunque in considerazione le sue opinioni per il prossimo bando), non posso che chiarire che la modifica dei bandi non è una questione di cui mi posso occupare io: per questo (così come per tutte le altre richieste di modifica che compaiono nel suo articolo, e che si riferiscono a vincoli di altra natura, posti per motivazioni strategiche, e che comunque nulla hanno a che vedere con necessità amministrative) deve rivolgersi direttamente al Ministro, cui peraltro la sua "lettera aperta" certamente non sarà sfuggita. Con la massima stima, le invio i miei più cordiali saluti, augurandomi sinceramente di averla presto in qualche Comitato di Selezione o nel Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca: vedrà, scontrandosi con gli aspetti più pratici dell'operatività di tutti i giorni, che in fondo in fondo quello dei suoi colleghi non è poi un gran bel vivere...
Mauro Massulli
-----"P. Dimitri" liviapat@inwind.it ha scritto: -----
======================= Per: Università e Ricerca Forum universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Da: "P. Dimitri" liviapat@inwind.it Data: 06/02/2012 06.56PM Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: concorsi: problema etico e non di metodo ======================= Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del libro bianco...
Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006.
Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di scuola elementare. È triste notare che in alcune aree, come la Biologia, alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all¹altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l¹obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote: > Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache > errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, > sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza. > > SMA > > Valore legale del titolo di studio e qualità delle università > > Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente > apparso sul > quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, > riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del > titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua > abrogazione o > modifica. > Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore > legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo > Modica?? > tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso > perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso > più > di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore > ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto > che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere > inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga > permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e > nel > Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di > università > che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la > formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il > livello > culturale di un Paese. > Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti > che > il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il > punto > di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo > per avviare una svolta qualitativa all?università italiana > relegata a > posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie > organizzazioni > elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. > Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato > interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? > recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della > Sera. > La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale > ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco > Giavazzi > ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con > attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle > liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un > provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri > atenei?. > C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino > Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) > era > stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne > giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando > che il > tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso > non > merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori > ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle > condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei > condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio > sull?assetto della scuola e dell?università?. > È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche > condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il > valore > della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per > sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che > pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. > A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come > espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello > Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è > l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la > fonte: > lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri > pubblici secondo la norma costituzionale?? > Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a > garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che > erogano formazione ed è vero che una qualche forma di > certificazione è > presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea > (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for > Quality > Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation > (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento > di > standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano > titoli > di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del > goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca > scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il > titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia > (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council > organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no > membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con > incarichi di > governo. > Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. > La > valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non > sempre > condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle > università di > tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie > organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto > sulla opinione pubblica. > Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer > mio, la > popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo > luogo > il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, > ma > anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della > informazione e > la presa di coscienza che un alto livello di istruzione > rappresenti un > elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo > della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto > livello di internazionalizzazione delle università. Molte > università > private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a > porre > rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare > che > il contributo economico ai paesi da parte delle università più > prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per > difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla > economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. > Altbach e > J. Knight, The Internationalization of Higher Education: > Motivations > and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education). > > Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università > italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, > paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile > gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi > d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la > imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di > indignazione e > costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema > favorisca > le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore > università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. > Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende > profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema > italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un > modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime > anche > nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il > reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico > gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? > assurdo? > dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno > addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of > France?. > Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello > stato? > del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte > possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi > Einaudi, > riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? > Chi > diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi > sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la > fonte > del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma > imperiale o > la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo > di un > corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela > del > nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene > meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione > dei > monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi > dei > patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per > motivi > diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari > favoriti o simoniaci?? > Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come > viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una > procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse > pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere > efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: > quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori > ad > una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed > oneste, > non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o > giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando > non si > realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero > competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma > anche per > la propria sopravvivenza, la condizione della università e della > ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. > Temo, > purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore > legale > del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, > certamente, un passo importante. > > -- > Salvatore M. Aloj MD > Professor Emeritus > Department of Cellular & Molecular > Biology & Pathology "L. Califano" > University of Naples Federico II > Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy > Tel: +39-0817463601 > Mobile: +393281421839 > Fax: +39-0817463308 > > _______________________________________________ > Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list > > Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie > impostazioni: > https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione > > Ulteriori informazioni, e per firmare la > petizione, sito di Universitas Futura: > http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
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Caro Dimitri, Ho capito il tuo punto. Però vorrei aggiungere che al giorno d' oggi non c'è più quasi nessuno che vince un concorso di ricercatore con meno di 10 anni di ricerca alle spalle. In 10 anni, o di più, le citazioni personali e il fattore "h" sono parametri bibliometrici utilizzabili e sono bene più "probante" dell' IF. Certo, si può anche non decidere di usare i parametri bibliometrici, però nel caso in cui si decida di utilizzarli è meglio usare quelli fanno riferimento al candidato. Saluti, Robert jenninjgs
IF da solo può non essere sufficiente, ma è comunque un parametro che valuta l'impatto internazionale delle riviste su cui si pubblica. Eâ chiaro che non tutte le riviste più lette e citate siano le migliori, ma ad esempio io posso avere un indice chiaro che mi dice se Journal of Pizza & Fichi è una rivista buona o scadente. Ho letto che tu preferisci le citazioni come parametro., ma nel caso di ricercatori più giovani, che non è detto debbano avere valanghe di pubblicazioni, un articolo anche se importante, potrebbe non aver avuto il tempo di ricevere un numero decente di citazioni. Patrizio Dimitri Il 07/02/12 15.05, "Robert Jennings" robert.jennings@unimi.it ha scritto: > >> D'accordo con quanto scritto da Masulli con >> l'eccezione, dell'importanza del fattore d'impatto. > > Cari colleghi, > Come alcuni di voi sapete, > mi esprimo da tempo contro lâuso del fattore > dâimpatto come criterio di valutazione di un > gruppo oppure di una persona. A questo scopo > ritengo sia il parametro bibliometrico più > inutile di tutti, in quanto, riguarda âlâimpattoâ > del giornale(somma del numero di citazione del > giornale) e non dei singoli articoli delle > persone o dei gruppi. Questo parere è ormai molto > diffuso nel mondo scientifico e il suo uso nei > nostri concorsi nazionali universitari mi rende > perplesso. A questo proposito vi segnalo > unâarticolo del giugno 2010 su Nature (456, 864- > 866). in cui viene presentata unâanalisi dei vari > parametri bibliometrici. Per chi non ha voglia di > cercare e leggere lâarticolo cito una frase che > viene sottolineata nellâarticolo ââIf there is > one thing which every bibliometrician agrees > on it is that you should never use the journal > impact factor to evaluate research performance > for an article or for an individual.â > > Basta con l'IF, ce ne sono altri parametri > bibliometrici molto, ma molto, più utili. > > > Saluti, > Robert Jennings > > > >> Caro Dr. Massulli, >> >> apprezzo molto la sua decisione di rispondere al >> mio messaggio esponendo le sue idee sul bandi >> PRIN e FIRB. Tuttavia, vorrei riaffermare con >> forza la mia convinzione che tali bandi sono >> quanto di peggio il MIUR sia riuscito a >> partorire in questi ultimi anni. Non credo che >> questo sia frutto della “mente >> bacata” di alcuni burocrati o del >> Ministro, ma sia il risultato di impostazioni >> sbagliate che non tengono conto della natura e >> delle regole internazionali della ricerca di >> base, e delle specificità dei vari settori di ricerca. >> >> Ma veniamo al punto. Qual’è lo scopo dei >> bandi PRIN e FIRB. Spero che convenga con me che >> sia quello di finanziare la buona ricerca, >> permettendo a tutti i ricercatori qualificati di >> partecipare a una valutazione comparativa dei >> loro progetti. Ebbene, i limiti di >> partecipazione ai bandi PRIN e FIRB sono in >> contrasto con questo scopo, specialmente per quanto riguarda la Biologia. >> >> Non mi voglio soffermare troppo sul numero >> minimo di gruppi richiesto per partecipare ai >> due bandi. Come ho scritto nell’articolo, >> questo vincolo favorisce la formazione di >> cordate eterogenee (organizzate in soli due >> mesi) che poco o nulla hanno a che fare con le >> vere collaborazioni scientifiche. Se si voleva >> ridurre il numero di progetti da valutare, >> meglio sarebbe stato permettere la >> partecipazione di gruppi (unità ) dello stesso >> Dipartimento già impegnati da anni in vere >> collaborazioni scientifiche (ovvero stabilire un >> minimo di PI per ogni progetto). >> >> La cosa peggiore sono però i vincoli di >> partecipazione al FIRB-giovani, e le confesso >> che non capisco il suo ragionamento al >> riguardo. Non capisco perchè lei ritenga >> corretto un limite inferiore di 15 pubblicazioni >> (per gli strutturati) e non un fattore di >> impatto (IF) minimo. Le riviste di Biologia sono >> migliaia e molto diverse tra loro. Ne esistono >> alcune con IF compresi tra 1 e 2 che >> generalmente pubblicano lavori di scarsissimo >> valore. Ne esistono invece altre con IF di oltre >> 30 (e.g. Nature, Science, Cell etc.) su cui è >> difficilissimo pubblicare e che accettano solo >> lavori di notevole originalità e completezza. >> E’ quindi ovvio che per pubblicare su >> riviste a basso IF bastano pochi mesi di lavoro, >> mentre per pubblicare su una rivista ad alto IF >> ci vogliono anni di durissimo impegno. E’ >> quindi altrettanto ovvio che chi “pubblica >> bene” pubblica molto meno di chi pubblica >> su riviste a basso IF. Allora perché escludere >> dalla partecipazione al bando chi ha un numero >> limitato di lavori ad alto IF permettendo invece >> di partecipare a chi ha pubblicato molti lavori >> di scarsa qualità . Questo non solo è >> profondamente diseducativo per i giovani, ma è >> anche in contrasto con i criteri che saranno >> usati dall’ANVUR per la valutazione della >> ricerca. Vorrei inoltre farle notare che in >> importanti bandi di ricerca su fondi privati >> (vedi bando AIRC 2012 appena uscito) si richiede >> un IF complessivo di 50 come condizione minima >> per la partecipazione e non si parla del numero di pubblicazioni. >> >> Infine, come avevo scritto nell’articolo, >> trovo assurdo discriminare tra un giovane che ha >> un posto a tempo indeterminato ed uno che non lo >> ha. Perché un ricercatore di 35 anni assunto a >> tempo indeterminato con 10 pubblicazioni (alcune >> delle quali su riviste prestigiose) non può >> partecipare al FIRB-giovani mentre può farlo un >> trentacinquenne non strutturato con 10 >> pubblicazioni? Spero che voglia ammettere che >> questo è un errore che va corretto al più presto. >> >> Come le ho detto, ho apprezzato molto la sua >> risposta, che mi sembra denotare un suo genuino >> interesse per il problema del finanziamento >> della ricerca. Al di là delle opinioni del >> comitato nazionale dei garanti, vorrei poterla >> convincere della correttezza delle mie >> argomentazioni, che sono condivise dalla >> stragrande maggioranza dei ricercatori attivi >> nel settore biologico. Ma perché non chiede in >> giro? Perché non fa un giro nei laboratori e >> parla con i giovani (questo è un invito)? Io non >> credo che i burocrati abbiano una “mente >> bacata”, ma credo che i burocrati la mente >> debbano usarla per capire la realtà che >> li circonda e le situazioni che sono chiamati a >> gestire. Solo in questo modo, potranno diventare >> dirigenti consapevoli del loro ruolo e operare nell’interesse del >> Paese. >> >> Cordialmente, >> Maurizio Gatti >> >> >> >> >> From: "Massulli Mauro" mauro.massulli@miur.it >> To: "Maurizio Gatti" maurizio.gatti@uniroma1.it >> X-TM-AS-Product-Ver: IMSS-7.1.0.1433-6.8.0.1017-18686.006 >> X-TM-AS-Result: No--1.869-5.0-31-10 >> X-imss-scan-details: No--1.869-5.0-31-10 >> X-TM-AS-User-Approved-Sender: No >> >> >> Caro professor Gatti, >> grazie dell'articolo che mi ha inviato, ma è, >> già lo sa, una posizione che non condivido. I >> requisiti OGGETTIVI di ammissiiblità non debbono >> essere confusi con le valutazioni scientifiche >> che spetteranno ai referee. Ciò che lei propone >> sembra essere un sistema misto "requisiti >> oggettivi/qualità della ricerca" inaccettabile >> in fase di ammissione al bando, o che, se si >> traducesse in un allargamento dei requisiti >> relativi al cut-off, porterebbe come conseguenza >> ad un allargamento della competizione, con >> allungamento dei tempi e scadimento della qualità della valutazione stessa. >> Questi requisiti non sono frutto della mia >> "mente bacata" (mia o di qualsiasi altro >> "burocrate"): sono stati ampiamente ponderati, >> in fase di preparazione del bando, dalla >> Commissione di esperti FIRB, composta da 10 suoi >> colleghi docenti in varie discipline, tra cui >> anche un giurista, e quindi ben valutati anche >> sotto il profilo della legittimità oltre che dell'opportunità . >> Ciò non esclude che possano esserci pareri >> contrari (come il suo), ma non si comprende il >> motivo per cui qualche parere contrario debba >> prevalere sull'opinione di esperti che hanno >> avuto ISTITUZIONALMENTE il compito di occuparsi, >> tra l'altro, anche della predisposizione del bando! >> Non vorrei che, come al solito, si pensasse che >> debba/possa prevalere l'opinione di chi (anche >> pacatamente, come nel suo caso, e del tutto >> legittimamente) "alza la voce" per esprimere il >> proprio legittimo dissenso, perché allora >> veramente non comprenderei quale sarebbe >> l'utilità di quegli organismi di esperti >> istituzionalmente preposti allo svolgimento di determinati compiti. >> Posto dunque che io, per quanto mi riguarda, >> confermo la mia opinione complessivamente >> contraria (salvo assicurarla che farò di tutto >> perché siano prese comunque in considerazione le >> sue opinioni per il prossimo bando), non posso >> che chiarire che la modifica dei bandi non è una >> questione di cui mi posso occupare io: per >> questo (così come per tutte le altre richieste >> di modifica che compaiono nel suo articolo, e >> che si riferiscono a vincoli di altra natura, >> posti per motivazioni strategiche, e che >> comunque nulla hanno a che vedere con necessità >> amministrative) deve rivolgersi direttamente al >> Ministro, cui peraltro la sua "lettera aperta" certamente non sarà sfuggita. >> Con la massima stima, le invio i miei più >> cordiali saluti, augurandomi sinceramente di >> averla presto in qualche Comitato di Selezione o >> nel Comitato Nazionale dei Garanti della >> Ricerca: vedrà , scontrandosi con gli aspetti più >> pratici dell'operatività di tutti i giorni, che >> in fondo in fondo quello dei suoi colleghi non è poi un gran bel vivere... >> >> Mauro Massulli >> >> >> >> -----"P. Dimitri" liviapat@inwind.it ha scritto: ----- >> >> ======================= >> Per: Università e Ricerca Forum >> universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it
Da: "P. Dimitri"
liviapat@inwind.it >> Data: 06/02/2012 06.56PM >> Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] >> R: concorsi: problema etico e non di metodo >> ======================= >> Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del >> libro bianco... >> >> Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, >> guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006. >> >> Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: >> si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di >> laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto >> critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale >> proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei >> progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto >> scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di >> ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di >> scuola elementare. à triste notare che in alcune aree, come la Biologia, >> alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una >> liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. >> Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per >> gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del >> mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale >> va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, >> l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal >> Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni >> veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di >> esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via >> il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e >> rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito. >> >> Patrizio Dimitri >> >> >> Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha >> scritto: >> >>> Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del >>> 2006. >>> Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. >>> Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, >>> il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, >>> indiscutibilmente il genio della situazione. >>> Come si può accettare di fare una valutazione >>> comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte >>> dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? >>> (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere >>> un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da >>> tradurre in inglese, >>> potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità ...io ne ho >>> letto >>> alcuni che sono un vero capolavoro). >>> >>> Vengo all'autocitazione. >>> "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di >>> stallo richiederebbe soluzioni >>> coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire >>> dalla constatazione >>> condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione >>> per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma >>> [ndr. riforma Moratti] >>> non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché >>> si possa instaurare >>> una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo >>> ad uno stadio qualitativo all¹altezza >>> del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, >>> se si hanno >>> a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio >>> scientifico e tecnologico, >>> che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida >>> l¹obiettivo secondo >>> cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, >>> attraverso >>> forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui >>> ogni concorso >>> rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono >>> i soli a >>> poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro >>> sistema di alta >>> formazione. >>> Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e >>> la qualità del >>> reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici >>> stranieri >>> chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, >>> anche per via telematica >>> per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei >>> [8]. Sofferta >>> e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una >>> nostra >>> selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, >>> oltre che rendere >>> ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. >>> E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare >>> drasticamente >>> lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia >>> gestionale, >>> organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca >>> incentivando >>> al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti >>> virtuosi......" >>> tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma >>> dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, >>> l'Albatros, 95-116. >>> >>> Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto: >>> >>>> >>>> Certo Valeria, >>>> >>>> Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu >>>> hanno un >>>> senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di >>>> valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il >>>> tasso >>>> etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire >>>> anche >>>> un rappresentante italiano.... >>>> Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni >>>> universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori >>>> delle >>>> precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione >>>> culturale >>>> "pacifica", ma la vedo difficile.... >>>> >>>> Patrizio Dimitri >>>> >>>> Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha >>>> scritto: >>>> >>>>> Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto >>>>> interessante. >>>>> Utopica? >>>>> Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei >>>>> baroni >>>>> locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi >>>>> stranieri. >>>>> >>>>> Valeria Zotti >>>>> una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso >>>>> strumento >>>>> d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva >>>>> >>>>> >>>>> -----Messaggio originale----- >>>>> Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it
[mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per >>>>> conto di >>>>> P. Dimitri >>>>> Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 >>>>> A: Università e Ricerca Forum >>>>> Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema >>>>> etico e non di >>>>> metodo >>>>> >>>>> Cari colleghi, >>>>> >>>>> Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in >>>>> fin di >>>>> vita. >>>>> Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema >>>>> principale del >>>>> reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole >>>>> (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato >>>>> queste >>>>> regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in >>>>> particolare, che >>>>> hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella >>>>> maggior parte >>>>> dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati >>>>> vincitori >>>>> sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del >>>>> presidente di >>>>> commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? >>>>> Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i >>>>> nostri abili >>>>> strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare >>>>> le loro >>>>> scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la >>>>> gestione dei >>>>> reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da >>>>> esperti >>>>> internazionali, estranei agli inciuci locali. >>>>> >>>>> Patrizio Dimitri >>>>> >>>>> >>>>> Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" >>>>> mirella.sarigorla@unimi.it ha >>>>> scritto: >>>>> >>>>>> Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da >>>>>> molti anni!) >>>>>> >>>>>> At 14.08 06/02/2012, you wrote: >>>>>>> Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache >>>>>>> errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, >>>>>>> sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza. >>>>>>> >>>>>>> SMA >>>>>>> >>>>>>> Valore legale del titolo di studio e qualità delle università >>>>>>> >>>>>>> Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente >>>>>>> apparso sul >>>>>>> quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, >>>>>>> riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del >>>>>>> titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua >>>>>>> abrogazione o >>>>>>> modifica. >>>>>>> Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore >>>>>>> legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo >>>>>>> Modica?? >>>>>>> tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso >>>>>>> perplessità ?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso >>>>>>> più >>>>>>> di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore >>>>>>> ordinario, ritengo di intendermi di univerità , almeno di quel tanto >>>>>>> che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere >>>>>>> inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga >>>>>>> permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e >>>>>>> nel >>>>>>> Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di >>>>>>> università >>>>>>> che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la >>>>>>> formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il >>>>>>> livello >>>>>>> culturale di un Paese. >>>>>>> Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti >>>>>>> che >>>>>>> il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il >>>>>>> punto >>>>>>> di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo >>>>>>> per avviare una svolta qualitativa all?università italiana >>>>>>> relegata a >>>>>>> posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie >>>>>>> organizzazioni >>>>>>> elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. >>>>>>> Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato >>>>>>> interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? >>>>>>> recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della >>>>>>> Sera. >>>>>>> La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale >>>>>>> ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco >>>>>>> Giavazzi >>>>>>> ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con >>>>>>> attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle >>>>>>> liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un >>>>>>> provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri >>>>>>> atenei?. >>>>>>> C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino >>>>>>> Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) >>>>>>> era >>>>>>> stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne >>>>>>> giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando >>>>>>> che il >>>>>>> tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso >>>>>>> non >>>>>>> merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori >>>>>>> ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle >>>>>>> condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei >>>>>>> condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio >>>>>>> sull?assetto della scuola e dell?università ?. >>>>>>> à difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche >>>>>>> condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il >>>>>>> valore >>>>>>> della laurea non è tutto?. à vero. Ben altro è necessario per >>>>>>> sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che >>>>>>> pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. >>>>>>> A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come >>>>>>> espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello >>>>>>> Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è >>>>>>> l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità . Unica la >>>>>>> fonte: >>>>>>> lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri >>>>>>> pubblici secondo la norma costituzionale?? >>>>>>> Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a >>>>>>> garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che >>>>>>> erogano formazione ed è vero che una qualche forma di >>>>>>> certificazione è >>>>>>> presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea >>>>>>> (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for >>>>>>> Quality >>>>>>> Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation >>>>>>> (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento >>>>>>> di >>>>>>> standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano >>>>>>> titoli >>>>>>> di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del >>>>>>> goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca >>>>>>> scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il >>>>>>> titolo di ?università ?. La valutazione è affidata ad un?agenzia >>>>>>> (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council >>>>>>> organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no >>>>>>> membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con >>>>>>> incarichi di >>>>>>> governo. >>>>>>> Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. >>>>>>> La >>>>>>> valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non >>>>>>> sempre >>>>>>> condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle >>>>>>> università di >>>>>>> tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie >>>>>>> organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto >>>>>>> sulla opinione pubblica. >>>>>>> Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer >>>>>>> mio, la >>>>>>> popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo >>>>>>> luogo >>>>>>> il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, >>>>>>> ma >>>>>>> anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della >>>>>>> informazione e >>>>>>> la presa di coscienza che un alto livello di istruzione >>>>>>> rappresenti un >>>>>>> elemento di benessere per le comunità . Da qui l?aumento progressivo >>>>>>> della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto >>>>>>> livello di internazionalizzazione delle università . Molte >>>>>>> università >>>>>>> private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a >>>>>>> porre >>>>>>> rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare >>>>>>> che >>>>>>> il contributo economico ai paesi da parte delle università più >>>>>>> prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per >>>>>>> difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla >>>>>>> economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. >>>>>>> Altbach e >>>>>>> J. Knight, The Internationalization of Higher Education: >>>>>>> Motivations >>>>>>> and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education). >>>>>>> >>>>>>> Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università >>>>>>> italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, >>>>>>> paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile >>>>>>> gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi >>>>>>> d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la >>>>>>> imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di >>>>>>> indignazione e >>>>>>> costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema >>>>>>> favorisca >>>>>>> le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore >>>>>>> università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. >>>>>>> Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende >>>>>>> profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema >>>>>>> italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un >>>>>>> modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime >>>>>>> anche >>>>>>> nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il >>>>>>> reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico >>>>>>> gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? >>>>>>> assurdo? >>>>>>> dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno >>>>>>> addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of >>>>>>> France?. >>>>>>> Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello >>>>>>> stato? >>>>>>> del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte >>>>>>> possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi >>>>>>> Einaudi, >>>>>>> riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? >>>>>>> Chi >>>>>>> diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi >>>>>>> sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la >>>>>>> fonte >>>>>>> del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma >>>>>>> imperiale o >>>>>>> la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo >>>>>>> di un >>>>>>> corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela >>>>>>> del >>>>>>> nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene >>>>>>> meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione >>>>>>> dei >>>>>>> monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi >>>>>>> dei >>>>>>> patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per >>>>>>> motivi >>>>>>> diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari >>>>>>> favoriti o simoniaci?? >>>>>>> Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come >>>>>>> viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una >>>>>>> procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse >>>>>>> pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere >>>>>>> efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: >>>>>>> quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori >>>>>>> ad >>>>>>> una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed >>>>>>> oneste, >>>>>>> non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o >>>>>>> giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando >>>>>>> non si >>>>>>> realizzerà una completa autonomia delle università , che dovrebbero >>>>>>> competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma >>>>>>> anche per >>>>>>> la propria sopravvivenza, la condizione della università e della >>>>>>> ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. >>>>>>> Temo, >>>>>>> purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore >>>>>>> legale >>>>>>> del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, >>>>>>> certamente, un passo importante. >>>>>>> >>>>>>> -- >>>>>>> Salvatore M. Aloj MD >>>>>>> Professor Emeritus >>>>>>> Department of Cellular & Molecular >>>>>>> Biology & Pathology "L. Califano" >>>>>>> University of Naples Federico II >>>>>>> Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy >>>>>>> Tel: +39-0817463601 >>>>>>> Mobile: +393281421839 >>>>>>> Fax: +39-0817463308 >>>>>>> >>>>>>> _______________________________________________ >
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Scusate, Gatti , non Massulli. D'accordo con quanto scritto da Gatti con l'eccezione, dell'importanza del fattore d'impatto.
Cari colleghi, Come alcuni di voi sapete, mi esprimo da tempo contro luso del fattore dimpatto come criterio di valutazione di un gruppo oppure di una persona. A questo scopo ritengo sia il parametro bibliometrico più inutile di tutti, in quanto, riguarda limpatto del giornale(somma del numero di citazione del giornale) e non dei singoli articoli delle persone o dei gruppi. Questo parere è ormai molto diffuso nel mondo scientifico e il suo uso nei nostri concorsi nazionali universitari mi rende perplesso. A questo proposito vi segnalo unarticolo del giugno 2010 su Nature (456, 864- 866). in cui viene presentata unanalisi dei vari parametri bibliometrici. Per chi non ha voglia di cercare e leggere larticolo cito una frase che viene sottolineata nellarticolo If there is one thing which every bibliometrician agrees on it is that you should never use the journal impact factor to evaluate research performance for an article or for an individual.
Basta con l'IF, ce ne sono altri parametri bibliometrici molto, ma molto, più utili.
Saluti, Robert Jennings
Caro Dr. Massulli,
apprezzo molto la sua decisione di rispondere al mio messaggio esponendo le sue idee sul bandi PRIN e FIRB. Tuttavia, vorrei riaffermare con forza la mia convinzione che tali bandi sono quanto di peggio il MIUR sia riuscito a partorire in questi ultimi anni. Non credo che questo sia frutto della “mente bacata” di alcuni burocrati o del Ministro, ma sia il risultato di impostazioni sbagliate che non tengono conto della natura e delle regole internazionali della ricerca di base, e delle specificità dei vari settori di ricerca.
Ma veniamo al punto. Qual’è lo scopo dei bandi PRIN e FIRB. Spero che convenga con me che sia quello di finanziare la buona ricerca, permettendo a tutti i ricercatori qualificati di partecipare a una valutazione comparativa dei loro progetti. Ebbene, i limiti di partecipazione ai bandi PRIN e FIRB sono in contrasto con questo scopo, specialmente per quanto riguarda la Biologia.
Non mi voglio soffermare troppo sul numero minimo di gruppi richiesto per partecipare ai due bandi. Come ho scritto nell’articolo, questo vincolo favorisce la formazione di cordate eterogenee (organizzate in soli due mesi) che poco o nulla hanno a che fare con le vere collaborazioni scientifiche. Se si voleva ridurre il numero di progetti da valutare, meglio sarebbe stato permettere la partecipazione di gruppi (unità) dello stesso Dipartimento già impegnati da anni in vere collaborazioni scientifiche (ovvero stabilire un minimo di PI per ogni progetto).
La cosa peggiore sono però i vincoli di partecipazione al FIRB-giovani, e le confesso che non capisco il suo ragionamento al riguardo. Non capisco perchè lei ritenga corretto un limite inferiore di 15 pubblicazioni (per gli strutturati) e non un fattore di impatto (IF) minimo. Le riviste di Biologia sono migliaia e molto diverse tra loro. Ne esistono alcune con IF compresi tra 1 e 2 che generalmente pubblicano lavori di scarsissimo valore. Ne esistono invece altre con IF di oltre 30 (e.g. Nature, Science, Cell etc.) su cui è difficilissimo pubblicare e che accettano solo lavori di notevole originalità e completezza. E’ quindi ovvio che per pubblicare su riviste a basso IF bastano pochi mesi di lavoro, mentre per pubblicare su una rivista ad alto IF ci vogliono anni di durissimo impegno. E’ quindi altrettanto ovvio che chi “pubblica bene” pubblica molto meno di chi pubblica su riviste a basso IF. Allora perché escludere dalla partecipazione al bando chi ha un numero limitato di lavori ad alto IF permettendo invece di partecipare a chi ha pubblicato molti lavori di scarsa qualità. Questo non solo è profondamente diseducativo per i giovani, ma è anche in contrasto con i criteri che saranno usati dall’ANVUR per la valutazione della ricerca. Vorrei inoltre farle notare che in importanti bandi di ricerca su fondi privati (vedi bando AIRC 2012 appena uscito) si richiede un IF complessivo di 50 come condizione minima per la partecipazione e non si parla del numero di pubblicazioni.
Infine, come avevo scritto nell’articolo, trovo assurdo discriminare tra un giovane che ha un posto a tempo indeterminato ed uno che non lo ha. Perché un ricercatore di 35 anni assunto a tempo indeterminato con 10 pubblicazioni (alcune delle quali su riviste prestigiose) non può partecipare al FIRB-giovani mentre può farlo un trentacinquenne non strutturato con 10 pubblicazioni? Spero che voglia ammettere che questo è un errore che va corretto al più presto.
Come le ho detto, ho apprezzato molto la sua risposta, che mi sembra denotare un suo genuino interesse per il problema del finanziamento della ricerca. Al di là delle opinioni del comitato nazionale dei garanti, vorrei poterla convincere della correttezza delle mie argomentazioni, che sono condivise dalla stragrande maggioranza dei ricercatori attivi nel settore biologico. Ma perché non chiede in giro? Perché non fa un giro nei laboratori e parla con i giovani (questo è un invito)? Io non credo che i burocrati abbiano una “mente bacata”, ma credo che i burocrati la mente debbano usarla per capire la realtà che li circonda e le situazioni che sono chiamati a gestire. Solo in questo modo, potranno diventare dirigenti consapevoli del loro ruolo e operare nell’interesse del Paese.
Cordialmente, Maurizio Gatti
From: "Massulli Mauro" mauro.massulli@miur.it To: "Maurizio Gatti" maurizio.gatti@uniroma1.it X-TM-AS-Product-Ver: IMSS-7.1.0.1433-6.8.0.1017-18686.006 X-TM-AS-Result: No--1.869-5.0-31-10 X-imss-scan-details: No--1.869-5.0-31-10 X-TM-AS-User-Approved-Sender: No
Caro professor Gatti, grazie dell'articolo che mi ha inviato, ma è, già lo sa, una posizione che non condivido. I requisiti OGGETTIVI di ammissiiblità non debbono essere confusi con le valutazioni scientifiche che spetteranno ai referee. Ciò che lei propone sembra essere un sistema misto "requisiti oggettivi/qualità della ricerca" inaccettabile in fase di ammissione al bando, o che, se si traducesse in un allargamento dei requisiti relativi al cut-off, porterebbe come conseguenza ad un allargamento della competizione, con allungamento dei tempi e scadimento della qualità della valutazione stessa. Questi requisiti non sono frutto della mia "mente bacata" (mia o di qualsiasi altro "burocrate"): sono stati ampiamente ponderati, in fase di preparazione del bando, dalla Commissione di esperti FIRB, composta da 10 suoi colleghi docenti in varie discipline, tra cui anche un giurista, e quindi ben valutati anche sotto il profilo della legittimità oltre che dell'opportunità. Ciò non esclude che possano esserci pareri contrari (come il suo), ma non si comprende il motivo per cui qualche parere contrario debba prevalere sull'opinione di esperti che hanno avuto ISTITUZIONALMENTE il compito di occuparsi, tra l'altro, anche della predisposizione del bando! Non vorrei che, come al solito, si pensasse che debba/possa prevalere l'opinione di chi (anche pacatamente, come nel suo caso, e del tutto legittimamente) "alza la voce" per esprimere il proprio legittimo dissenso, perché allora veramente non comprenderei quale sarebbe l'utilità di quegli organismi di esperti istituzionalmente preposti allo svolgimento di determinati compiti. Posto dunque che io, per quanto mi riguarda, confermo la mia opinione complessivamente contraria (salvo assicurarla che farò di tutto perché siano prese comunque in considerazione le sue opinioni per il prossimo bando), non posso che chiarire che la modifica dei bandi non è una questione di cui mi posso occupare io: per questo (così come per tutte le altre richieste di modifica che compaiono nel suo articolo, e che si riferiscono a vincoli di altra natura, posti per motivazioni strategiche, e che comunque nulla hanno a che vedere con necessità amministrative) deve rivolgersi direttamente al Ministro, cui peraltro la sua "lettera aperta" certamente non sarà sfuggita. Con la massima stima, le invio i miei più cordiali saluti, augurandomi sinceramente di averla presto in qualche Comitato di Selezione o nel Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca: vedrà, scontrandosi con gli aspetti più pratici dell'operatività di tutti i giorni, che in fondo in fondo quello dei suoi colleghi non è poi un gran bel vivere...
Mauro Massulli
-----"P. Dimitri" liviapat@inwind.it ha scritto: -----
======================= Per: Università e Ricerca Forum universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Da: "P. Dimitri" liviapat@inwind.it Data: 06/02/2012 06.56PM Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: concorsi: problema etico e non di metodo ======================= Condivido pienamente lo scritto di Walter Lacarbonara. Non male l'idea del libro bianco...
Anche io inserisco un'autocitazione, un breve articolo su "Epolis" in cui, guarda caso, critico la valutazione del Prin 2006.
Il 2006 è stato un anno di ³straordinaria follia² per Università e Ricerca: si è parlato di tagli della finanziaria, paralisi degli Atenei, corsi di laurea fantasma e concorsi pilotati, ma è stato trascurato un¹altro aspetto critico che riguarda la gestione dei fondi pubblici per la ricerca. A tale proposito, la ciliegina sulla torta è stata la recente valutazione dei progetti PRIN: commissioni di parte, valutatori stranieri quasi del tutto scomparsi e pochi ³esperti nostrani² che hanno sottoposto centinaia di ricerche a ³processi sommari², formulando giudizi degni delle pagelle di scuola elementare. È triste notare che in alcune aree, come la Biologia, alcuni valutatori hanno approvato, progetti di collaboratori e amici. Una liaison dangereuse da cui non sono immuni nemmeno i garanti. Una valutazione trasparente di progetti e ricercatori, che preveda norme per gestire i conflitti d¹interesse, è il primo passo verso il risanamento del mondo accademico, compromesso da nepotismi e clientele. Il sistema attuale va rifondato perché permette di addomesticare i giudizi. Ben venga, quindi, l¹agenzia per la valutazione di Università e Ricerca (Anvur), istituita dal Ministro Mussi, ma guai se fosse composta dai ³soliti noti². Perché funzioni veramente, l¹agenzia deve essere ³commissariata ² con l¹inserimento di esperti stranieri, avulsi da inciuci locali. Solo così si potrà spazzare via il ³casereccio e canceroso² apparato clientelare con i suoi ³esperti² e rifondare un codice etico, finalmente a vantaggio del merito.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.38, "Walter Lacarbonara" walter.lacarbonara@uniroma1.it ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l¹identificazione dei migliori intelletti, e l¹attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all¹altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E¹ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l¹obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l¹oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all¹intera comunità internazionale. E¹ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l¹autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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nella mia esperienza il problema di reclutare stranieri è legato ad un mercato talmente farraginoso da rendere questa operazione molto difficile, alla fine se non si ha veramente un candidato valido che è disponibile a sottoporsi alla trafila estenuante ci si rinuncia. Quindi è prima di tutto un problema di sistema, poi certamente il sistema favorisce comportamenti parrocchiali. Ma anche le numerose leggi e leggine su idoneità e quant'altro hanno contribuito a bloccare quel poco di mobilità che esisteva.
Per quanto riguarda valutatori stranieri ho una esperienza diretta, insieme ad una collega Francese ci è stato chiesto di partecipare ad una commissione di selezione di professori a Cipro. Noi abbiamo interpretato il nostro ruolo come quello di consulenti scientifici lasciando comunque la responsabilità finale della scelta ai locali.
Non credo sia un bene entrare in una istituzione di cui si sa poco ed imporre una scelta scientifica in base a valutazioni di merito del tutto fuori del contesto.
Nello stesso modo mi sono comportato in Italia cercando solo di controllare che le scelte fatte non fossero inaccettabili. Purtroppo non tutti i colleghi hanno la stessa correttezza e sensibilità.
Ho avuto la esperienza di essere membro interno in un ultimo concorso di ricercatore, i due membri esterni mi hanno voluto imporre una scelta che non ritenevo utile al nostro gruppo scientifico (che poi è un gruppo il cui PRIN è stato appena valutato con 45+45=90, credo non molti in Italia, mi dicono l'unico alla Sapienza, non so se sia vero).
Anche se il rospo da inghiottire era delle dimensioni di un rospo Giurassico non ho fatto una relazione di minoranza, non credo sia giusto prendersela con i candidati per attaccare i colleghi.
I miei colleghi americani mi dicono che è semplicemente impensabile per una Università americana di fare scegliere un docente a docenti di un'altra Università, sarebbe come far scegliere alla General Motors un manager della Chrysler, d'altra parte ci sono numerosi modi di controllare sia ex--ante che ex--post la congruità di una politica di un Dipartimento, basta volerlo.
Vedremo come funzionerà il nuovo meccanismo di reclutamento che comunque ritengo sempre abbastanza farraginoso.
Claudio
Personalmente a questa cosa degli stranieri credo pochissimo. L'unica volta che ho visto con i miei occhi l'intrusione di un ricercatore non-italiano in un concorso italiano fu qualche anno fa in un concorso da ordinario -al quale non partecipavo né come commissario né come candidato, e che anzi era in un settore diverso dal mio- nel quale un big boss inglese, davvero uno di quelli grossi grossi della mia area, sputò fuoco e fiamme con lettere a tutti gli organi vagamente interessati perché non aveva vinto il candidato X. Il quale (ovviamente?) aveva collaborato con lui, mentre il vincitore, Y, no. Naturalmente (?) Y non era affatto inferiore a X in termini di pubblicazioni e il big boss inglese stava cercando semplicemente di favorire il suo collaboratore.
Non dubito che in altri casi possa andare diversamente, ma questo è l'unico caso che conosca personalmente, per averlo visto accadere nel corridoio a fianco di quello dove lavoravo allora. Al giorno d'oggi la ricerca è internazionale e non è affatto vero che Franzosi e Spagnuoli non possano avere i loro interessi. Meno di noi? Può darsi, ma sono anche meno interessati a che la nostra baracca funzioni.
E poi, a noi Ustica e il caso Moro, a loro Kennedy e le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Maurizio Tirassa
PS. Comunque è vero che questa discussione l'abbiamo già fatta millemila volte. Sono assolutamente sicuro di avere già almeno una volta mandato un messaggio sostanzialmente identico a questo in risposta ad altri, altrettanto identici a quelli che mi hanno preceduto!
Il giorno 2012-02-06, alle ore 17.38, Walter Lacarbonara ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l’identificazione dei migliori intelletti, e l’attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all’altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E’ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l’obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l’oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all’intera comunità internazionale. E’ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l’autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i “figli scientifici” del membro interno o del presidente di commissione? E’ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell’accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Walter Lacarbonara
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Non so bene cosa sia "questa cosa degli stranieri", però posso assicurare Maurizio Tirassa che qualche (ex)straniero esiste nell'mondo accademico italiano, e non credo di essere l'unico. Ho vinto un concorso di prima fascia 25 anni fa (per merito), dopo 6 anni col CNR. Il lavoro da me svolto in questo lungo periodo non fa per niente schifo e posso affermare di essere anche molto contento della scelta da me fatta , ormai nel passato, chiamiamolo, remoto. Vorrei anche aggiungere, e questo è il punto principale del messaggio, che il mio ingresso nell'università italiana non è stato per niente bene visto da molti colleghi , certamente non tutti, i quali colleghi si sono ormai quasi abituati alla mia presenza, dopo 25 anni!! Il piccolo messaggio che vorrei trasmettere è il seguente: l'Italia , sotto questo profilo, è abbastanza isolata, nonostante si riempie la bocca, anche troppo, di parole tipo "internazionalizzazione". La presenza di un maggiore numero di stranieri avrebbe sicuramente l'effetti di arricchire l'ambiente accademico italiano, come, del resto, arrichisce gli ambienti accademici di moltissimi altri paesi. E' comunque difficile che ciò avvenga finche durano l'atteggiamenti parrochiali del tipo che ho incontrato io.
Saluti, Robert Jennings
At 18:57 06/02/2012, Maurizio Tirassa wrote:
Personalmente a questa cosa degli stranieri credo pochissimo. L'unica volta che ho visto con i miei occhi l'intrusione di un ricercatore non-italiano in un concorso italiano fu qualche anno fa in un concorso da ordinario -al quale non partecipavo né come commissario né come candidato, e che anzi era in un settore diverso dal mio- nel quale un big boss inglese, davvero uno di quelli grossi grossi della mia area, sputò fuoco e fiamme con lettere a tutti gli organi vagamente interessati perché non aveva vinto il candidato X. Il quale (ovviamente?) aveva collaborato con lui, mentre il vincitore, Y, no. Naturalmente (?) Y non era affatto inferiore a X in termini di pubblicazioni e il big boss inglese stava cercando semplicemente di favorire il suo collaboratore.
Non dubito che in altri casi possa andare diversamente, ma questo è l'unico caso che conosca personalmente, per averlo visto accadere nel corridoio a fianco di quello dove lavoravo allora. Al giorno d'oggi la ricerca è internazionale e non è affatto vero che Franzosi e Spagnuoli non possano avere i loro interessi. Meno di noi? Può darsi, ma sono anche meno interessati a che la nostra baracca funzioni.
E poi, a noi Ustica e il caso Moro, a loro Kennedy e le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Maurizio Tirassa
PS. Comunque è vero che questa discussione l'abbiamo già fatta millemila volte. Sono assolutamente sicuro di avere già almeno una volta mandato un messaggio sostanzialmente identico a questo in risposta ad altri, altrettanto identici a quelli che mi hanno preceduto!
Il giorno 2012-02-06, alle ore 17.38, Walter Lacarbonara ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per lidentificazione dei migliori intelletti, e lattuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo allaltezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida lobiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare loggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità allintera comunità internazionale. E evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente lautonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i figli scientifici del membro interno o del presidente di commissione? E possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dellaccademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Walter Lacarbonara
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Come non concordare con Robert... il nostro è un sistema incestuoso (e non parlo di parentopoli), tende ad essere asfittico, chiuso all'innovazione. Non è che lo straniero sia meglio per definizione... ma in Italia se un Concorso X lo vince qualcuno non della sede, ma di altra sede pur sempre Italiana, il vincitore viene visto come l'intruso che ha usurpato il posto ad un locale. Negli ultimi 3 anni i miei Dottorandi sono: un senese, una romana, una ungherese e un Cinese... ebbene, i commenti più benevoli che ho ricevuto sono del tipo: ma così togli "spazio" ai nostri!! Benedetto De Vivo
Benedetto De Vivo Prof. Ordinario di Geochimica Ambientale Università di Napoli Federico II Dipartimento di Scienze della Terra Via Mezzocannone 8, 80134 Napoli, Italy Tel. +39-081.2535065; Fax +39-081.2535061 email: bdevivo@unina.it; Web: www.fluidenv.unina.it
Adjunct Prof. Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA Chief Editor of Journal of Geochemical Exploration www.elsevier.com/locate/gexplo http://www.sciencedirect.com/science/journal/03756742
Associate Editor of Mineralogy and Petrology Southern Europe Councillor of the Association of Applied Geochemists
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di Robert Jennings Inviato: Tuesday, February 07, 2012 1:34 PM A: Forum "Università e Ricerca"; Forum "Università e Ricerca" Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: concorsi: problema etico e non di metodo
Non so bene cosa sia "questa cosa degli stranieri", però posso assicurare Maurizio Tirassa che qualche (ex)straniero esiste nell'mondo accademico italiano, e non credo di essere l'unico. Ho vinto un concorso di prima fascia 25 anni fa (per merito), dopo 6 anni col CNR. Il lavoro da me svolto in questo lungo periodo non fa per niente schifo e posso affermare di essere anche molto contento della scelta da me fatta , ormai nel passato, chiamiamolo, remoto. Vorrei anche aggiungere, e questo è il punto principale del messaggio, che il mio ingresso nell'università italiana non è stato per niente bene visto da molti colleghi , certamente non tutti, i quali colleghi si sono ormai quasi abituati alla mia presenza, dopo 25 anni!! Il piccolo messaggio che vorrei trasmettere è il seguente: l'Italia , sotto questo profilo, è abbastanza isolata, nonostante si riempie la bocca, anche troppo, di parole tipo "internazionalizzazione". La presenza di un maggiore numero di stranieri avrebbe sicuramente l'effetti di arricchire l'ambiente accademico italiano, come, del resto, arrichisce gli ambienti accademici di moltissimi altri paesi. E' comunque difficile che ciò avvenga finche durano l'atteggiamenti parrochiali del tipo che ho incontrato io.
Saluti, Robert Jennings
At 18:57 06/02/2012, Maurizio Tirassa wrote:
Personalmente a questa cosa degli stranieri credo pochissimo. L'unica volta che ho visto con i miei occhi l'intrusione di un ricercatore non-italiano in un concorso italiano fu qualche anno fa in un concorso da ordinario -al quale non partecipavo né come commissario né come candidato, e che anzi era in un settore diverso dal mio- nel quale un big boss inglese, davvero uno di quelli grossi grossi della mia area, sputò fuoco e fiamme con lettere a tutti gli organi vagamente interessati perché non aveva vinto il candidato X. Il quale (ovviamente?) aveva collaborato con lui, mentre il vincitore, Y, no. Naturalmente (?) Y non era affatto inferiore a X in termini di pubblicazioni e il big boss inglese stava cercando semplicemente di favorire il suo
collaboratore.
Non dubito che in altri casi possa andare diversamente, ma questo è l'unico caso che conosca personalmente, per averlo visto accadere nel corridoio a fianco di quello dove lavoravo allora. Al giorno d'oggi la ricerca è internazionale e non è affatto vero che Franzosi e Spagnuoli non possano avere i loro interessi. Meno di noi? Può darsi, ma sono anche meno interessati a che la nostra baracca funzioni.
E poi, a noi Ustica e il caso Moro, a loro Kennedy e le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Maurizio Tirassa
PS. Comunque è vero che questa discussione l'abbiamo già fatta millemila volte. Sono assolutamente sicuro di avere già almeno una volta mandato un messaggio sostanzialmente identico a questo in risposta ad altri, altrettanto identici a quelli che mi hanno preceduto!
Il giorno 2012-02-06, alle ore 17.38, Walter Lacarbonara ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per lidentificazione dei migliori intelletti, e lattuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo allaltezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida lobiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare loggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità allintera comunità internazionale. E evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente lautonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i figli scientifici del membro interno o del presidente di commissione? E possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dellaccademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
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Chiedo scusa a Robert Jennings e a chiunque abbia interpretato allo stesso modo la mia mail.
Evidentemente non sono riuscito a spiegarmi: il mio punto non era assolutamente che non desideri ricercatori stranieri nelle università italiane, certamente! Né che non sappia che ce ne sono, pur pochi.
Il mio punto era che sono contrario all'idea di avere, nelle procedure di reclutamento italiane, commissari (di qualunque nazionalità) che lavorino in strutture di ricerca non-italiane. Non vedo una ragione al mondo per delegare ad altri un compito delicato come il reclutamento, che ritengo sia e debba rimanere esclusivamente nostro.
Per il resto, sono in sintonia con le considerazioni di Giovanni Floris.
Un saluto cordiale,
Maurizio Tirassa
Il giorno 2012-02-07, alle ore 13.33, Robert Jennings ha scritto:
Non so bene cosa sia "questa cosa degli stranieri", però posso assicurare Maurizio Tirassa che qualche (ex)straniero esiste nell'mondo accademico italiano, e non credo di essere l'unico. Ho vinto un concorso di prima fascia 25 anni fa (per merito), dopo 6 anni col CNR. Il lavoro da me svolto in questo lungo periodo non fa per niente schifo e posso affermare di essere anche molto contento della scelta da me fatta , ormai nel passato, chiamiamolo, remoto. Vorrei anche aggiungere, e questo è il punto principale del messaggio, che il mio ingresso nell'università italiana non è stato per niente bene visto da molti colleghi , certamente non tutti, i quali colleghi si sono ormai quasi abituati alla mia presenza, dopo 25 anni!! Il piccolo messaggio che vorrei trasmettere è il seguente: l'Italia , sotto questo profilo, è abbastanza isolata, nonostante si riempie la bocca, anche troppo, di parole tipo "internazionalizzazione". La presenza di un maggiore numero di stranieri avrebbe sicuramente l'effetti di arricchire l'ambiente accademico italiano, come, del resto, arrichisce gli ambienti accademici di moltissimi altri paesi. E' comunque difficile che ciò avvenga finche durano l'atteggiamenti parrochiali del tipo che ho incontrato io.
Saluti, Robert Jennings
At 18:57 06/02/2012, Maurizio Tirassa wrote:
Personalmente a questa cosa degli stranieri credo pochissimo. L'unica volta che ho visto con i miei occhi l'intrusione di un ricercatore non-italiano in un concorso italiano fu qualche anno fa in un concorso da ordinario -al quale non partecipavo né come commissario né come candidato, e che anzi era in un settore diverso dal mio- nel quale un big boss inglese, davvero uno di quelli grossi grossi della mia area, sputò fuoco e fiamme con lettere a tutti gli organi vagamente interessati perché non aveva vinto il candidato X. Il quale (ovviamente?) aveva collaborato con lui, mentre il vincitore, Y, no. Naturalmente (?) Y non era affatto inferiore a X in termini di pubblicazioni e il big boss inglese stava cercando semplicemente di favorire il suo collaboratore.
Non dubito che in altri casi possa andare diversamente, ma questo è l'unico caso che conosca personalmente, per averlo visto accadere nel corridoio a fianco di quello dove lavoravo allora. Al giorno d'oggi la ricerca è internazionale e non è affatto vero che Franzosi e Spagnuoli non possano avere i loro interessi. Meno di noi? Può darsi, ma sono anche meno interessati a che la nostra baracca funzioni.
E poi, a noi Ustica e il caso Moro, a loro Kennedy e le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Maurizio Tirassa
PS. Comunque è vero che questa discussione l'abbiamo già fatta millemila volte. Sono assolutamente sicuro di avere già almeno una volta mandato un messaggio sostanzialmente identico a questo in risposta ad altri, altrettanto identici a quelli che mi hanno preceduto!
Il giorno 2012-02-06, alle ore 17.38, Walter Lacarbonara ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per l’identificazione dei migliori intelletti, e l’attuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo all’altezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E’ necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida l’obiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare l’oggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità all’intera comunità internazionale. E’ evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente l’autonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i “figli scientifici” del membro interno o del presidente di commissione? E’ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell’accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote: > Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache > errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, > sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza. > > SMA > > Valore legale del titolo di studio e qualità delle università > > Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente > apparso sul > quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, > riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del > titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua > abrogazione o > modifica. > Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore > legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo > Modica?? > tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso > perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso > più > di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore > ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto > che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere > inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga > permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e > nel > Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di > università > che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la > formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il > livello > culturale di un Paese. > Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti > che > il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il > punto > di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo > per avviare una svolta qualitativa all?università italiana > relegata a > posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie > organizzazioni > elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. > Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato > interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? > recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della > Sera. > La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale > ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco > Giavazzi > ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con > attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle > liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un > provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri > atenei?. > C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino > Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) > era > stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne > giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando > che il > tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso > non > merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori > ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle > condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei > condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio > sull?assetto della scuola e dell?università?. > È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche > condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il > valore > della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per > sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che > pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. > A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come > espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello > Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è > l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la > fonte: > lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri > pubblici secondo la norma costituzionale?? > Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a > garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che > erogano formazione ed è vero che una qualche forma di > certificazione è > presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea > (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for > Quality > Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation > (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento > di > standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano > titoli > di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del > goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca > scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il > titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia > (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council > organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no > membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con > incarichi di > governo. > Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. > La > valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non > sempre > condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle > università di > tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie > organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto > sulla opinione pubblica. > Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer > mio, la > popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo > luogo > il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, > ma > anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della > informazione e > la presa di coscienza che un alto livello di istruzione > rappresenti un > elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo > della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto > livello di internazionalizzazione delle università. Molte > università > private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a > porre > rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare > che > il contributo economico ai paesi da parte delle università più > prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per > difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla > economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. > Altbach e > J. Knight, The Internationalization of Higher Education: > Motivations > and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education). > > Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università > italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, > paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile > gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi > d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la > imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di > indignazione e > costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema > favorisca > le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore > università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. > Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende > profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema > italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un > modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime > anche > nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il > reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico > gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? > assurdo? > dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno > addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of > France?. > Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello > stato? > del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte > possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi > Einaudi, > riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? > Chi > diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi > sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la > fonte > del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma > imperiale o > la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo > di un > corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela > del > nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene > meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione > dei > monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi > dei > patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per > motivi > diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari > favoriti o simoniaci?? > Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come > viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una > procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse > pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere > efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: > quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori > ad > una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed > oneste, > non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o > giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando > non si > realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero > competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma > anche per > la propria sopravvivenza, la condizione della università e della > ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. > Temo, > purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore > legale > del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, > certamente, un passo importante. > > -- > Salvatore M. Aloj MD > Professor Emeritus > Department of Cellular & Molecular > Biology & Pathology "L. Califano" > University of Naples Federico II > Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy > Tel: +39-0817463601 > Mobile: +393281421839 > Fax: +39-0817463308 > > _______________________________________________ > Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list > > Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie > impostazioni: > https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione > > Ulteriori informazioni, e per firmare la > petizione, sito di Universitas Futura: > http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/camelot
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Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
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Sono d'accordo al cento percento con la precisazione. Saluti, Robert Jennings
Chiedo scusa a Robert Jennings e a chiunque abbia interpretato allo stesso modo la mia mail.
Evidentemente non sono riuscito a spiegarmi: il mio punto non era assolutamente che non desideri ricercatori stranieri nelle università italiane, certamente! Né che non sappia che ce ne sono, pur pochi.
Il mio punto era che sono contrario all'idea di avere, nelle procedure di reclutamento italiane, commissari (di qualunque nazionalità) che lavorino in strutture di ricerca non-italiane. Non vedo una ragione al mondo per delegare ad altri un compito delicato come il reclutamento, che ritengo sia e debba rimanere esclusivamente nostro.
Per il resto, sono in sintonia con le considerazioni di Giovanni Floris.
Un saluto cordiale,
Maurizio Tirassa
Il giorno 2012-02-07, alle ore 13.33, Robert Jennings ha scritto:
Non so bene cosa sia "questa cosa degli stranieri", però posso assicurare Maurizio Tirassa che qualche (ex)straniero esiste nell'mondo accademico italiano, e non credo di essere l'unico. Ho vinto un concorso di prima fascia 25 anni fa (per merito), dopo 6 anni col CNR. Il lavoro da me svolto in questo lungo periodo non fa per niente schifo e posso affermare di essere anche molto contento della scelta da me fatta , ormai nel passato, chiamiamolo, remoto. Vorrei anche aggiungere, e questo è il punto principale del messaggio, che il mio ingresso nell'università italiana non è stato per niente bene visto da molti colleghi , certamente non tutti, i quali colleghi si sono ormai quasi abituati alla mia presenza, dopo 25 anni!! Il piccolo messaggio che vorrei trasmettere è il seguente: l'Italia , sotto questo profilo, è abbastanza isolata, nonostante si riempie la bocca, anche troppo, di parole tipo "internazionalizzazione". La presenza di un maggiore numero di stranieri avrebbe sicuramente l'effetti di arricchire l'ambiente accademico italiano, come, del resto, arrichisce gli ambienti accademici di moltissimi altri paesi. E' comunque difficile che ciò avvenga finche durano l'atteggiamenti parrochiali del tipo che ho incontrato io.
Saluti, Robert Jennings
At 18:57 06/02/2012, Maurizio Tirassa wrote:
Personalmente a questa cosa degli stranieri credo pochissimo. L'unica volta che ho visto con i miei occhi l'intrusione di un ricercatore non-italiano in un concorso italiano fu qualche anno fa in un concorso da ordinario -al quale non partecipavo né come commissario né come candidato, e che anzi era in un settore diverso dal mio- nel quale un big boss inglese, davvero uno di quelli grossi grossi della mia area, sputò fuoco e fiamme con lettere a tutti gli organi vagamente interessati perché non aveva vinto il candidato X. Il quale (ovviamente?) aveva collaborato con lui, mentre il vincitore, Y, no. Naturalmente (?) Y non era affatto inferiore a X in termini di pubblicazioni e il big boss inglese stava cercando
semplicemente di favorire il suo collaboratore.
Non dubito che in altri casi possa andare diversamente, ma questo è l'unico caso che conosca personalmente, per averlo visto accadere nel corridoio a fianco di quello dove lavoravo allora. Al giorno d'oggi la ricerca è internazionale e non è affatto vero che Franzosi e Spagnuoli non possano avere i loro interessi. Meno di noi? Può darsi, ma sono anche meno interessati a che la nostra baracca funzioni.
E poi, a noi Ustica e il caso Moro, a loro Kennedy e le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Maurizio Tirassa
PS. Comunque è vero che questa discussione l'abbiamo già fatta millemila volte. Sono assolutamente sicuro di avere già almeno una volta mandato un messaggio sostanzialmente identico a questo in risposta ad altri, altrettanto identici a quelli che mi hanno preceduto!
Il giorno 2012-02-06, alle ore 17.38, Walter Lacarbonara ha scritto:
Sul tema reclutamento vi inoltro un estratto da un mio contributo del 2006. Approfitto per aggiungere un'ulteriore nota. Non azzardo molto se dico che in almeno il 90% delle valutazioni, il commissario presidente portava con successo il "suo" candidato, indiscutibilmente il genio della situazione. Come si può accettare di fare una valutazione comparativa oggettiva se il candidato vincitore porta in buona parte dei suoi prodotti scientifici la firma del commissario-protettore? (A proposito, Cosmelli mi ha fatto venire un'idea simpatica, scrivere un libro bianco con estratti dai verbali degli ultimi decenni, da tradurre in inglese, potrebbe diventare un best-seller per la sua tragicomicità...io ne ho letto alcuni che sono un vero capolavoro).
Vengo all'autocitazione. "....... La difficoltà italiana ad uscire da questa posizione di stallo richiederebbe soluzioni coraggiose, di ippocratica memoria. Bisognerebbe innanzitutto partire dalla constatazione condivisa che il nostro Paese oggi non consente una sana competizione per lidentificazione dei migliori intelletti, e lattuale riforma [ndr. riforma Moratti] non ha introdotto alcun sostanziale ed efficace cambiamento affinché si possa instaurare una reale inversione di tendenza e portare così il processo selettivo ad uno stadio qualitativo allaltezza del passato scientifico e culturale del nostro Paese. E necessario, se si hanno a cuore le sorti della scienza italiana e del nostro patrimonio scientifico e tecnologico, che attraverso un formidabile sforzo bipartisan si condivida lobiettivo secondo cui si debbano porre in essere le condizioni etiche e contestuali, attraverso forme adeguate ed una rigorosa attività di programmazione, per cui ogni concorso rappresenti una olimpiade per il riconoscimento dei migliori, che sono i soli a poter assicurare un futuro di qualità alla nostra ricerca ed al nostro sistema di alta formazione. Una possibile, ma sofferta, soluzione per migliorare loggettività e la qualità del reclutamento consisterebbe nel coinvolgimento di esperti ed accademici stranieri chiamati a far parte del processo selettivo dei candidati italiani, anche per via telematica per ridurre i costi come ipotizzato peraltro dagli accademici lincei [8]. Sofferta e triste soluzione perchè sottolineerebbe la incapacità ad operare una nostra selezione autonoma ed efficace ed al passo con i paesi più produttivi, oltre che rendere ancora più evidente tale incapacità allintera comunità internazionale. E evidente come questo accorgimento non basti da solo a trasformare drasticamente lo stato delle cose. Deve essere garantita seriamente lautonomia gestionale, organizzativa e programmatica delle Università e degli enti di ricerca incentivando al tempo stesso e in tutte le forme possibili i comportamenti virtuosi......" tratto da La ricchezza scientifica dell'Italia e la recente riforma dell'Università (2006), Walter Lacarbonara e Giorgio Antonio Presicce, l'Albatros, 95-116.
Il giorno 06/feb/12, alle ore 19:01, P. Dimitri ha scritto:
Certo Valeria,
Certo, non è che gli stranieri siano dei santi, ma come dici tu hanno un senso etico più sviluppato rispetto al nostro...Una commissione di valutazione fatta da esperti stranieri innalzerebbe sicuramente il tasso etico. Per dare un contentino all'accademia, ci si potrebbe inserire anche un rappresentante italiano.... Forse, dopo un decennio di gestione esterna le nuove generazioni universitarie potrebbero essere "eticamente" (e non solo) migliori delle precedenti. Per il resto del paese auspicherei una rivoluzione culturale "pacifica", ma la vedo difficile....
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 17.22, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Quest'ultima ipotesi (di Patrizio Dimitri) mi sembra molto interessante. Utopica? Sebbene i board internazionali siano spesso formati da amici dei baroni locali, c'è da confidare nel senso etico più sviluppato dei colleghi stranieri.
Valeria Zotti una giovane ricercatrice contenta che questa lista, meraviglioso strumento d'informazione e di scambio costruttivo, sia di nuovo attiva
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 17.12 A: Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi ha fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i figli scientifici del membro interno o del presidente di commissione? E possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dellaccademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
> Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da > molti anni!) > > At 14.08 06/02/2012, you wrote: >> Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache >> errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, >> sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza. >> >> SMA >> >> Valore legale del titolo di studio e qualità delle università >> >> Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente >> apparso sul >> quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, >> riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del >> titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua >> abrogazione o >> modifica. >> Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore >> legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo >> Modica?? >> tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso >> perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso >> più >> di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore >> ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto >> che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere >> inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga >> permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e >> nel >> Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di >> università >> che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la >> formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il >> livello >> culturale di un Paese. >> Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti >> che >> il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il >> punto >> di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo >> per avviare una svolta qualitativa all?università italiana >> relegata a >> posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie >> organizzazioni >> elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. >> Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato >> interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? >> recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della >> Sera. >> La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale >> ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco >> Giavazzi >> ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con >> attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle >> liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un >> provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri >> atenei?. >> C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino >> Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) >> era >> stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne >> giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando >> che il >> tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso >> non >> merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori >> ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle >> condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei >> condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio >> sull?assetto della scuola e dell?università?. >> È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche >> condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il >> valore >> della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per >> sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che >> pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. >> A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come >> espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello >> Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è >> l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la >> fonte: >> lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri >> pubblici secondo la norma costituzionale?? >> Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a >> garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che >> erogano formazione ed è vero che una qualche forma di >> certificazione è >> presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea >> (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for >> Quality >> Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation >> (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento >> di >> standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano >> titoli >> di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del >> goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca >> scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il >> titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia >> (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council >> organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no >> membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con >> incarichi di >> governo. >> Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. >> La >> valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non >> sempre >> condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle >> università di >> tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie >> organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto >> sulla opinione pubblica. >> Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer >> mio, la >> popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo >> luogo >> il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, >> ma >> anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della >> informazione e >> la presa di coscienza che un alto livello di istruzione >> rappresenti un >> elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo >> della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto >> livello di internazionalizzazione delle università. Molte >> università >> private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a >> porre >> rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare >> che >> il contributo economico ai paesi da parte delle università più >> prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per >> difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla >> economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. >> Altbach e >> J. Knight, The Internationalization of Higher Education: >> Motivations >> and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education). >> >> Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università >> italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, >> paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile >> gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi >> d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la >> imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di >> indignazione e >> costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema >> favorisca >> le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore >> università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. >> Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende >> profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema >> italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un >> modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime >> anche >> nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il >> reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico >> gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ? >> assurdo? >> dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno >> addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of >> France?. >> Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello >> stato? >> del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte >> possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi >> Einaudi, >> riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ?? >> Chi >> diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi >> sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la >> fonte >> del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma >> imperiale o >> la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo >> di un >> corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela >> del >> nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene >> meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione >> dei >> monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi >> dei >> patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per >> motivi >> diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari >> favoriti o simoniaci?? >> Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come >> viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una >> procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse >> pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere >> efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: >> quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori >> ad >> una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed >> oneste, >> non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o >> giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando >> non si >> realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero >> competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma >> anche per >> la propria sopravvivenza, la condizione della università e della >> ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. >> Temo, >> purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore >> legale >> del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, >> certamente, un passo importante. >> >> -- >> Salvatore M. Aloj MD >> Professor Emeritus >> Department of Cellular & Molecular >> Biology & Pathology "L. Califano" >> University of Naples Federico II >> Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy >> Tel: +39-0817463601 >> Mobile: +393281421839 >> Fax: +39-0817463308 >> >> _______________________________________________ >> Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list >> >> Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie >> impostazioni: >> https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione >> >> Ulteriori informazioni, e per firmare la >> petizione, sito di Universitas Futura: >> http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php > > Prof. Mirella Sari-Gorla > Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie > Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy > tel: +39 02 503 1 5014 > fax: +39 02 503 1 5044 > E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT > web: http://users.unimi.it/camelot > > _______________________________________________ > Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list > > Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie > impostazioni: > https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione > > Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di > Universitas > Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
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Walter Lacarbonara
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Il giorno 06 febbraio 2012 17:12, P. Dimitri liviapat@inwind.it ha scritto:
Cari colleghi.... Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione?
Chiaramente sono i migliori e di gran lunga. Inoltre l' esperienza mi ha insegnato che "i concorsi pilotati sono sempre quelli degli altri".
L' individuo A mi dice immancabilmente che i concorsi da B fino a Z sono stati chiaramente delle truffe, mentre il suo è stato regolarissimo ed anzi c'era un forte candidato interno che (a) ha sbagliato lo scritto (b) s'è dimenticato di inviare le pubblicazioni (c) ha deciso di farsi prete etc. etc.
Non sarà mica che M^2 è il primo ricarcatore-associato-ordinario rubato all'agricoltura vero ?
Un meccanismo di responsabilizzazione (finanziaria) della commissione chiamante sarebbe un passo in avanti, ma siamo pur sempre nel paese che conosciamo bene e che si caratterizza per il motto "fatta la legge, trovato l'inganno".
Disperare ? No di certo, ma da buone norme concorsuali possiamo, nel breve termine, attenderci solo dei risultati parziali, laddove per quelli a più lungo termine è necessario un cambiamento di paradigma etico.
Luca Di Persio - PhD Dept. Math University of Trento V. Sommarive, 14 - 38100 Povo - Italy Work : +39 0461 881686 (Trento) +39 0471 013009 (Bolzano)
questa discussione l'abbiamo già fatta.
1. Non credo che gli *stranieri* abbiano un'etica più sviluppata o migliore degli italiani. Non lo credo per la stessa ragione per cui non credo che gli ebrei siano tutti strozzini, i ROM delinquenti e i genovesi tirchi.
2. I concorsi così come fatti sono insensati: insomma come si fa a definire il migliore in assoluto? ammesso che il migliore in assoluto sia definibile univocamente, come si fa a concordare la sua eccellenza con le sacrosante richieste della sede in termini di competenze scientifiche specificamente richieste?
3. Dato per buono il punto 2, resta il fatto che ciascun commissario all'interno di una commissione deve cercare il miglior compromesso fra le posizioni dei vari commissari per ottenere la vittoria di un ottimo concorrente (se anche non è *il migliore in assoluto* o quello che lui ritiene il migliore in assoluto)
4. Poi ciascun commissario è responsabile per se stesso: insomma ciascuno deve definire la propria linea Maginot, un limite inferiore sotto al quale non si passa. E su questo deve essere inflessibile: esistono le relazioni di minoranza.
Dato il punto 4 credo che ciascuno di noi non possa lamentarsi troppo di aver dovuto ingoiare rospi. Ciascuno si è ingoiato i rospi che si è scelto, se no votava contro e magari scriveva una relazione di minoranza.
Da questo punto di vista i commissari di M^2 sono responsabili delle loro azioni e non possono scaricare la responsabilità sulla sede che ha chiamato.
Tornando a M^2: io non conosco nessuno nell'area chimica (la mia area) con una storia come quella di M^2. Insomma non credo che a chimica qualcuno abbia abbia vinto un concorso da ordinario con una sola pubblicazione dichiarata scarsa dagli stessi commissari. Su questo SPERO davvero di non sbagliarmi!
saluti anna
On Mon, 2012-02-06 at 17:26 +0100, Luca di persio wrote:
Il giorno 06 febbraio 2012 17:12, P. Dimitri liviapat@inwind.it ha scritto:
Cari colleghi.... Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione?
Chiaramente sono i migliori e di gran lunga. Inoltre l' esperienza mi ha insegnato che "i concorsi pilotati sono sempre quelli degli altri".
L' individuo A mi dice immancabilmente che i concorsi da B fino a Z sono stati chiaramente delle truffe, mentre il suo è stato regolarissimo ed anzi c'era un forte candidato interno che (a) ha sbagliato lo scritto (b) s'è dimenticato di inviare le pubblicazioni (c) ha deciso di farsi prete etc. etc.
Non sarà mica che M^2 è il primo ricarcatore-associato-ordinario rubato all'agricoltura vero ?
Un meccanismo di responsabilizzazione (finanziaria) della commissione chiamante sarebbe un passo in avanti, ma siamo pur sempre nel paese che conosciamo bene e che si caratterizza per il motto "fatta la legge, trovato l'inganno".
Disperare ? No di certo, ma da buone norme concorsuali possiamo, nel breve termine, attenderci solo dei risultati parziali, laddove per quelli a più lungo termine è necessario un cambiamento di paradigma etico.
Luca Di Persio - PhD Dept. Math University of Trento V. Sommarive, 14 - 38100 Povo - Italy Work : +39 0461 881686 (Trento) +39 0471 013009 (Bolzano) _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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questa discussione l'abbiamo già fatta.
Sì, la discussione l'abbiamo già fatta, ma forse è bene riproporla...
- Non credo che gli *stranieri* abbiano un'etica più sviluppata o
migliore degli italiani. Non lo credo per la stessa ragione per cui non credo che gli ebrei siano tutti strozzini, i ROM delinquenti e i genovesi tirchi.
Ti sei dimenticata di dire che non tutti i turchi sono accaniti fumatori....
La cosa è molto semplice in realtà: nessuno pensa che tutti gli stranieri siano eticamente migliori di noi, ma sicuramente più di noi e più dell'accademico medio italiano, altrimenti, scusami di che stiamo parlando? L'esempio di Martone è lampante: perchè non si è dimesso? Perché Monti non lo ha cacciato? Non è per essere filo-stranieri, ma le numerose storie italiane (grandi e piccole) di mafia, corruzione e nepotismo ormai infiltrati potentemente in tutti gli ambiti della nostra società, purtroppo non hanno una simile controparte in altri paesi economicamente sviluppati come il nostro. C'è poco da fare....
Patrizio Dimitri
Io la metterei così: gli stranieri sono meno condizionati di noi rispetto al potere diciamo così "politico" in senso lato.
Mi risulta che la Spagna, finita la dittatura, si sia rivolta a consulenti stranieri (ebbene sì, anche italiani) per valutare le strutture.
Tutto questo è facile da fare in ambito scientifico. Un po' meno in altri ambiti, in particolare quello di Martone..
Ciò detto, io continuo a restare fermamente convinto che i concorsi per l'avanzamento di carriera vadano aboliti, e che la carriera si faccia sulla base di valutazioni periodiche. Per esempio, invece che gli scatti automatici, quelli vincolati ad una produttività minima, o se vogliamo ad una produttività superiore alla media del settore. Comunque, specie al punto in cui siamo, non si tratta di far emergere le cosiddette eccellenze, ma garantire a tutti delle condizioni di lavoro e di carriera soddisfacenti. Mi pare almeno che così si faccia all'estero. In tal modo, il nostro, con una pubblicazione sarebbe rimasto al primo stadio della carriera, specie se poi si fosse messo in politica. Ricordo a tutti che Brunetta è diventato ordinario DOPO essersi messo in politica.
Alberto Girlando
On Mon, 2012-02-06 at 18:32 +0100, P. Dimitri wrote:
questa discussione l'abbiamo già fatta.
Sì, la discussione l'abbiamo già fatta, ma forse è bene riproporla...
- Non credo che gli *stranieri* abbiano un'etica più sviluppata o
migliore degli italiani. Non lo credo per la stessa ragione per cui non credo che gli ebrei siano tutti strozzini, i ROM delinquenti e i genovesi tirchi.
Ti sei dimenticata di dire che non tutti i turchi sono accaniti fumatori....
La cosa è molto semplice in realtà: nessuno pensa che tutti gli stranieri siano eticamente migliori di noi, ma sicuramente più di noi e più dell'accademico medio italiano, altrimenti, scusami di che stiamo parlando? L'esempio di Martone è lampante: perchè non si è dimesso? Perché Monti non lo ha cacciato? Non è per essere filo-stranieri, ma le numerose storie italiane (grandi e piccole) di mafia, corruzione e nepotismo ormai infiltrati potentemente in tutti gli ambiti della nostra società, purtroppo non hanno una simile controparte in altri paesi economicamente sviluppati come il nostro. C'è poco da fare....
Patrizio Dimitri
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Ben vengano le valutazioni periodiche, ma bisogna mettersi d'accordo sui criteri, che siano seri e su parametri internazionali. Perchè se funzionassero come le ridicole valutazioni inizialmente partorite (e poi per fortuna rientrate) dal nucleo di valutazione della Facoltà di Scienze della Sapienza, la cosa sarebbe veramente pericolosa. Pensate che in quel caso una banale monografia in italiano poteva valere anche di più di un lavoro su Science! Paradossale! E noi dovremmo fidarci di certi colleghi che mettono in piedi tali obbrobri, solo per il proprio tornaconto personale? Per carità!!
E anche nelle più recenti valutazioni, i parametri nazionali possono comunque ribaltare i valori in campo. Ad esempio, chi pubblica un lavoro in una rivista internazionale appena decente, ma in un campo con IF medio nazionale basso, alla fine ottiene un punteggio più alto, rispetto a chi pubblica su di una rivista buona o molto buona in un campo con IF medio nazionale alto. I peggiori diventano i migliori! Paradossale! Tutto dovrebbe essere rapportato all'IF medio della categoria a livello internazionale.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 18.46, "Alberto Girlando" girlando@unipr.it ha scritto:
che la carriera si faccia sulla base di valutazioni periodiche. Per esempio, invece che gli scatti automatici, quelli vincolati ad una produttività minima, o se vogliamo ad una produttività superiore alla media del settore.
Grazie, Patrizio, di aver espresso chiaramente ciò che intendevo.
Racconto un'altra delle solite storie note. Sono rientrata la settimana scorsa dalla Francia e in pochi giorni ho incontrato ben due "giovani italiani in fuga" arrivati primi in classifica al concorso nazionale per diventare "ingénieur d'études du CNRS" (l'equivalente del ricercatore CNR). Non sarà certo un caso... la meritocrazia esiste in altri paesi, ne sono certa. Uno di loro mi raccontava che anni fa (purtroppo non ho il dato preciso, cercherò di ottenerlo), quando è stata istituita l'obbligatorietà del titolo di dottore di ricerca per essere docente universitario, il Ministero francese ha imposto anche a professori incardinati da molti anni di sostenere l'esame di dottorato (con tesi annessa), pena licenziamento, se non si fosse pubblicato nel frattempo un volume analogo, o regressione di carriera.
In Italia è successo ? Potrebbe succedere mai ? Domande retoriche...
E' vero che questa discussione è stata già fatta in passato, ma credo che "repetita iuvant" davvero, almeno per noi giovani che seguiamo la lista, tanto più se sono i senior, con la loro testimonianza ed esperienza, ad aiutarci a tenere alta la guardia, a raccogliere l'energia necessaria per continuare a lottare nel nostro piccolo e a risvegliare periodicamente la nostra rabbia. Se non provassimo più rabbia, sarebbe la fine... la fine della speranza perlomeno.
Conosco alcuni giovani colleghi (soprattutto precari, chissà com'è...) che non vogliono arrendersi.
Quindi, vi prego, continuate a ripetervi.
Valeria Zotti
Ps. Ho messo in pratica un consiglio che mi era stato dato qualche anno fa "su questa lista" da Margherita Hack (il che mi aveva lusingata molto) e da allora ho ricominciato a lavorare con entusiasmo. Grazie quindi di cuore all'ideatore di "Universitas in trasformazione" e a chi vi partecipa "ripetendosi".
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di P. Dimitri Inviato: lunedì 6 febbraio 2012 18.33 A: anna.painelli@unipr.it; Università e Ricerca Forum Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] concorsi: problema etico e non di metodo
questa discussione l'abbiamo già fatta.
Sì, la discussione l'abbiamo già fatta, ma forse è bene riproporla...
- Non credo che gli *stranieri* abbiano un'etica più sviluppata o
migliore degli italiani. Non lo credo per la stessa ragione per cui non credo che gli ebrei siano tutti strozzini, i ROM delinquenti e i genovesi tirchi.
Ti sei dimenticata di dire che non tutti i turchi sono accaniti fumatori....
La cosa è molto semplice in realtà: nessuno pensa che tutti gli stranieri siano eticamente migliori di noi, ma sicuramente più di noi e più dell'accademico medio italiano, altrimenti, scusami di che stiamo parlando? L'esempio di Martone è lampante: perchè non si è dimesso? Perché Monti non lo ha cacciato? Non è per essere filo-stranieri, ma le numerose storie italiane (grandi e piccole) di mafia, corruzione e nepotismo ormai infiltrati potentemente in tutti gli ambiti della nostra società, purtroppo non hanno una simile controparte in altri paesi economicamente sviluppati come il nostro. C'è poco da fare....
Patrizio Dimitri
_______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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Grazie a te Valeria,
Hai fatto un esempio molto indicativo: i cervelli in fuga perché non trovano ³spazio² nelle nostre università, ma all'estero sì..... Chissà cosa vorrà dire? Esempi di bieco disfattismo e scarso amor patrio?
E poi, tanto per ripetermi ancora, ritornando per un attimo al problema del reclutamento e della valutazione, io credo che in questo momento permettere alle Università (ed ai soliti ristretti clan) di scegliere direttamente chi reclutare sia ancora peggiore rispetto ai metodi precedenti, sarebbe come mettere una volpe a guardia del pollaio!
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 19.43, "Valeria Zotti" valeria.zotti@unibo.it ha scritto:
Conosco alcuni giovani colleghi (soprattutto precari, chissà com'è...) che non vogliono arrendersi.
Quindi, vi prego, continuate a ripetervi.
Valeria Zotti
On Mon, Feb 6, 2012 at 5:12 PM, P. Dimitri liviapat@inwind.it wrote:
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole
Credo anche io che l'etica abbia un peso determinante, tuttavia teniamo presente che cambiare l'etica e' molto piu' difficile che cambiare procedure e incentivi. Poi gli Stati totalitari che hanno avuto come obiettivo la formazione etica dei cittadini hanno prodotto disastri, mentre quelli che hanno mantenuto un ruolo limitato, cercando di ottenere risultati definendo opportuni incentivi hann avuto relativo successo.
Riguardo il coinvolgimento degli stranieri, siccome io ragiono in termini di incentivi, sono dubbioso che possano dare un contributo risolutivo a migliorare la valutazione in Italia, perche' non ne hanno un forte incentivo. La valutazione del singolo per una promozione / assunzione e' un compito difficile e impegnativo, puo' essere fatta in maniera ragionevole ed efficiente solo da chi ha fortissimi incentivi ad operare bene, per esempio i membri di un dipartimento la cui valutazione e i cui fondi saranno influenzati da un collega assunto che vi lavorera' nei decenni successivi. L'apporto straniero invece potrebbe essere piu' utile per fare valutazioni aggregate, a livello di DIpartimento o Ateneo.
Cordialmente,
Non riesco a resistere a reintervenire sulla annosa questione del reclutamento. Non credo sia questione di metodo o di etica. I metodi non sono mai perfetti e l'etica è generalmente evanescente. Non ritengo che in altri paesi, segnatamente quelli anglosassoni, l'etica sia, naturalmente, più consolidata ma, se appare tale, probabilmente è conseguenza di necessità. Forse perché napoletano di nascita e di cultura a me pare che in Italia, il rapporto personale travalichi il rispetto delle Istituzioni e mi spiego. Il "maestro" "mette" in cattedra l'allievo o figlio scientifico che sia. Questa affermazione arrogante di moltissimi colleghi non l'ho mai accettata. Cosa significa "mettere in cattedra" è una esibizione di potere? Magari tanto più forte quanto più scadente è l'allievo? E' chiaro che se questo è, è stato e sarà possibile vuol dire che il sistema lo tollera. A quale responsabilità sono legati i membri delle commissioni giudicatrici? Ammenocchè la commissione faccia qualcosa di grossolanamente scorretto, o di illegale chi mai chiederà ai singoli commissari di dar conto del proprio operato. Se il collega (si fa per dire) Martone è diventato ordinario, vantando i titoli che, grazie anche a Cosmelli, tutti conosciamo, c'è, obiettivamente, una responsabilità perseguibile? Se ad Harvard, o a Yale o a Cambridge o Oxford reclutano un imbecille il cui operato lede la reputazione dell'ateneo, il Dean o il Vice-Chancellor sono immediatamente confrontati con le loro responsabilità e, se ritenuto necessario, immediatamente rimossi.
Mi sembra che l'evidenza di questo pensiero sia lampante. Purtroppo, attorno al problema, che ritengo fondamentale, si gira da tempo snza una svolta almeno prevedibile. Sono convinto che il tentativo di trasformare la nostra Accademia, più che difficile sia inutile.
Salvatore Aloj
Quoting "P. Dimitri" liviapat@inwind.it:
Cari colleghi,
Credo che non esista una medicina per curare un sistema che è in fin di vita. Come ho avuto modo di dire anche altre volte, il problema principale del reclutamento non è metodologico, ma etico. Non dipende dalle regole (concorsi o chiamata diretta), ma da chi a fatto ed utilizzato queste regole, ovvero buona parte del corpo docente, ordinari in particolare, che hanno gestito i concorsi negli ultimi decenni. Come mai nella maggior parte dei concorsi ad ordinario, associato e ricercatore, i candidati vincitori sono sempre i ³figli scientifici² del membro interno o del presidente di commissione? E¹ possibile che siano sempre i più bravi? Credo che le chiamate dirette non risolverebbero il problema, i nostri abili strateghi accademici troverebbero sempre il modo per giustificare le loro scelte. A meno che non si tolga dalle mani dell¹accademia la gestione dei reclutamenti e della valutazione e la sia dia ad agenzie fatte da esperti internazionali, estranei agli inciuci locali.
Patrizio Dimitri
Il 06/02/12 15.55, "Mirella Sari Gorla" mirella.sarigorla@unimi.it ha scritto:
Questo scritto esprime esattamente quello che anch'io penso (da molti anni!)
At 14.08 06/02/2012, you wrote:
Come detto in precedenza, non contribuisco al forum e faccio ache errori ignorando la metodologia. Inserisco nel testo quello che, sbagliando, avevo allegato. Non me ne vagliate per la lunghezza.
SMA
Valore legale del titolo di studio e qualità delle università
Prendo spunto dall?articolo di Luciano Modica recentemente apparso sul quotidiano Europa, per ritornare sul dibattito che, periodicamente, riaccende l?interesse sull?annosa questione del ?valore legale del titolo di studio? e sull?opportunità o meno di una sua abrogazione o modifica. Avendo sottoscritto l?appello per l?abrogazione di detto valore legale, ho provato un certo disagio nel leggere che, secondo Modica?? tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità?. Il disagio deriva dal fatto che avendo io trascorso più di mezzo secolo nell?università e oltre 30 anni come Professore ordinario, ritengo di intendermi di univerità, almeno di quel tanto che mi consente di giudicare sulla opportunità o meno di mantenere inalterate le regole che la governano. Sicuramente la lunga permanenza, nel corso della mia attività di servizio, negli USA e nel Regno Unito, ha influenzato fortemente la mia concezione di università che intendo come sede di eccellenza per la ricerca scientifica e la formazione ed elemento di rilevanza primaria nel segnalare il livello culturale di un Paese. Ed è proprio questo il problema. Dovrebbe essere evidente a tutti che il dibattito sul valore legale del titolo di studio, riflette il punto di vista di coloro che attraverso la sua abolizione vedono un mezzo per avviare una svolta qualitativa all?università italiana relegata a posizioni poco gratificanti nelle classifiche che varie organizzazioni elaborano ogni anno utilizzando criteri più o meno condivisibili. Il recente stimolo alla discussione nasce anche dal ravvivato interesse per lo scritto di Luigi Einaudi ?Prediche Inutili? recentemente riproposto in una pubblicazione del Corriere della Sera. La proposizione del pensiero einaudiano, sorprendentemente attuale ancorché espresso più di sessant?anni avrà spinto Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina ad invitare il presidente Monti a rileggere con attenzione lo scritto ed ..?inserire nella legge sulle liberalizzazioni l'abolizione del valore legale della laurea: un provvedimento che aumenterebbe competizione e qualità nei nostri atenei?. C?è da dire che la ?filippica di Einaudi?, così definita da Sabino Cassese negli ?Annali di storia delle università italiane? (2002) era stata oggetto dell?analisi particolarmente articolata dell?insigne giurista che così chiudeva: ?E? tempo di concludere osservando che il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa. Esso non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologici o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dei condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei ti¬toli di studio sull?assetto della scuola e dell?università?. È difficile non concordare con questa esortazione. Ed è anche condivisibile il titolo dell?articolo di Modica su Europa ?Il valore della laurea non è tutto?. È vero. Ben altro è necessario per sollevare il livello della nostra università nelle classifiche che pongono la prima università italiana intorno al 150° posto. A mio parere, il valore legale del titolo di studio appare come espressione del più rigido e paralizzante controllo da parte dello Stato: il modello franco-napoleonico che attua:??un ideale, che è l?ideale dell?ordine, dell?euritmia, della uniformità. Unica la fonte: lo Stato. Unico il valore degli studi: quello voluto dai poteri pubblici secondo la norma costituzionale?? Concordo: una forma di controllo dello Stato è indispensabile a garanzia di un accettabile livello qualitativo delle strutture che erogano formazione ed è vero che una qualche forma di certificazione è presente, in forme diverse, nei paesi dell?Unione Europea (Accreditation Models in Higher EducationEuropean Network for Quality Assurance in Higher Education 2004, Helsinki). L?accreditation (certificazione) è cosa diversa; essa certifica il raggiungimento di standards qualitativi da parte delle organizzazioni che erogano titoli di studio. Nel Regno Unito la certificazione non è prerogativa del goveno. Le istituzioni che erogano formazione e/o svolgono ricerca scientifica devono uniformarsi a criteri definiti per ottenere il titolo di ?università?. La valutazione è affidata ad un?agenzia (Quality Assurance Agency) che opera per conto del Privy Council organismo consultivo, costituito da esperti che possono essere o no membri dl parlamento o della camera dei lord, ma non con incarichi di governo. Certamente, valutare la qualità di una università non é semplice. La valutazione può essere influenzata da pregiudizi e tendenze non sempre condivisibili. Ciò non ostante esiste un ?ranking? delle università di tutto il mondo che viene effettuato annualmente da varie organizzazioni in diversi paesi del mondo che ha un forte impatto sulla opinione pubblica. Perché queste classifiche rivestono tanta impportanza? A parer mio, la popolarità dell?esercizio è riferibile a molti fattori. In primo luogo il complesso di tendenze comprese nel termine, ?globalizzazione?, ma anche la ultrarapida evoluzione delle tecnologie della informazione e la presa di coscienza che un alto livello di istruzione rappresenti un elemento di benessere per le comunità. Da qui l?aumento progressivo della domanda di formazione superiore ed una spinta verso un alto livello di internazionalizzazione delle università. Molte università private e pubbliche cercano attraverso attività internazionali a porre rimedio alle proprie difficoltà finanziarie. Non si può ignorare che il contributo economico ai paesi da parte delle università più prestigiose è notevole. Una stima, probabilmente approssimata per difetto, pone a circa 12 miliardi di dollari il contributo alla economia statunitense da parte di studenti stranieri (P. G. Altbach e J. Knight, The Internationalization of Higher Education: Motivations and Realities,The NEA 2006 Almanac of Higher Education).
Tutto ciò detto è, purtroppo, facile constatare che l?università italiana non figura bene nelle varie classifiche. Anche la Francia, paese a noi vicno geograficamente ma, soprattutto, per una simile gestione del sistema accademico, non figura bene. I nostri colleghi d?oltralpe, sempre più propensi ad invocare la sfortuna e la imparzialità degli arbitri, rispondono con un misto di indignazione e costernazione. Indignazione perchè ritengono che il sistema favorisca le università anglosassoni; costernazione perchè la migliore università francese, Parigi VI, figura solo al 45° posto. Che cosa accomuna l?unversità italiana e quella francese e le rende profondamente diverse da quelle anglo-sassoni? Come il sistema italiano, anche l?università francese é stretta nella morsa di un modello statale centralizzato super-burocratico, che si esprime anche nel valore legale del titolo di studio. Anche in Francia il reclutamento accademico avviene attraverso il concorso pubblico gestito dal ministero per l?istruzione, un sistema definito, ?assurdo? dalla rivista The Economist in una inchiesta, di qualche anno addietro, intitolata ?The art of the impossible: a survey of France?. Non c?é dubbio alcuno che la condizione di ?funzionario dello stato? del docente universitario offra molti vantaggi. Ma anche molte possibilità di abuso, tanto?.pantalone paga! Scriveva Luigi Einaudi, riferendosi ai fellows delle università di Cambridge ed Oxford: ??Chi diede loro la facoltà di insegnare e giudicare? Il sovrano poi sanzionò il fatto già accaduto, la fama già riconosciuta: ma la fonte del diritto di insegnare e dichiarare non era il diploma imperiale o la bolla papale; era invece il riconoscimento pubblico spontaneo di un corpo di facoltà nato dal fatto, e affermato dalla gelosa tutela del nome del collegio insegnante?? ed ancora: ??Il riconoscimento viene meno ed I diplomi perdono valore quando lo spirito di abnegazione dei monaci insegnanti si affievolisce; quando il crescere dei redditi dei patrimoni dei corpi insegnanti rende appetibili le cattedre per motivi diversi da quelli scientifici e le cariche si danno a prebendari favoriti o simoniaci?? Il "concorso pubblico" per il reclutamento dei docenti, almeno come viene gestito in Italia (ed io ne conosco a fondo i dettagli) é una procedura anacronistica che consente l'asservimento di un interesse pubblico ad un interesse di parte. Come é possibile ritenere efficiente un sistema che delega la scelta (per giunta, definitiva: quanti straordinari non sono diventati ordinari?) degli operatori ad una commissione fatta da persone che, per quanto competenti ed oneste, non saranno mai tenute a dar conto, se non sul piano formale o giuridico, del proprio operato? Sono convinto che fino a quando non si realizzerà una completa autonomia delle università, che dovrebbero competere sul piano produttivo non solo per la prosperità ma anche per la propria sopravvivenza, la condizione della università e della ricerca scientifica in Italia rimarrà sostanzialmente immutata. Temo, purtroppo, che non basterebbe abrogare o modificare il valore legale del titolo di studio nella sua presente formulazione, ma sarebbe, certamente, un passo importante.
-- Salvatore M. Aloj MD Professor Emeritus Department of Cellular & Molecular Biology & Pathology "L. Califano" University of Naples Federico II Via S. Pansini, 5, I-80131, Napoli, Italy Tel: +39-0817463601 Mobile: +393281421839 Fax: +39-0817463308
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Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/camelot
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Caro Aloj
Tu sei liberissimo di non accettare l¹affermazione e di trovarla arrogante. In realtà, l¹arroganza (e direi anche il delirio di onnipotenza più o meno esteso a seconda del peso) è propria di quelli che negli Atenei esercitano il potere da decenni senza rendere conto a nessuno del loro operato, ed il fatto che un sistema bacato lo tolleri o che che ³cosi fan tutti² non può essere una giustificazione. Allora, visto che la corruzione è dilagante, legalizziamola una volta per tutte!
Patrizio Dimitri
ma in molti casi è una realtà che non si può negare, a meno che non si viva su Marte o come le famose scimmiette!
Patrizio Dimitri
Il 07/02/12 10.49, "Prof. Salvatore M. Aloj" smaloj@unina.it ha scritto:
Il "maestro" "mette" in cattedra l'allievo o figlio scientifico che sia. Questa affermazione arrogante di moltissimi colleghi non l'ho mai accettata. Cosa significa "mettere in cattedra" è una esibizione di potere? Magari tanto più forte quanto più scadente è l'allievo? E' chiaro che se questo è, è stato e sarà possibile vuol dire che il sistema lo tollera.
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