Cari colleghi, per quel che serve e per quel che può interessare, vi sottopongo alcune riflessioni sui PRIN Nella mia Università e a quanto mi dicono anche in altre ci si sta orientando ad un processo di valutazione dei PRIN del tutto analogo a quello ministeriale, ossia blind review da parte di due revisori anonimi presi dalla banca dati Cineca, selezionati con i sistemi di incrocio di parole chiave e SSD. Se questo indirizzo verrà applicato in tutte le sedi, si eliminerebbe, o comunque sarebbe ridotto, il rischio paventato da molti, anche in questa lista, dell'applicazionee di procedure anomale "addomesticate" per favorire le cordate più ammanicate con i poteri accademici. Resta del tutto in piedi, però, quello che a mio avviso è stato, da sempre (io ne scrissi già anni fa all'allora Presidente del Comitato dei garanti), il problema, appunto, del sistema di referaggio ministeriale. Tutti sappiamo che il sistema di peer review funziona (quasi) bene quando c'è un supervisore (editor) competente, che seleziona attentamente referees competenti e imparziali (personalmente nelle mie attività editoriali il maggior tempo l'ho sempre speso a scegliere i referees), e che sopratutto media il giudzio dei referees con la posizione dell'autore, che ha sempre diritto di replica (salvo i casi estremi in cui l'editor decide per l'accettazione senza modifiche, o (più spesso) per la rejection tout court). Nel caso dei PRIN, i referees sono scelti da persone non necessariamente competenti del merito specifico del progetto (in anni passati, alcune aree non erano nemmeno rappresentate nel Comitato dei garanti, per cui ad esempio la selezione dei referees per i progetti di Scienze della Terra era affidata a un chimico....), e che sopratutto accettano at face value i giudizi dei referees (nel migliore dei casi, richiedendo un terzo giudizio se i due sono molto difformi). Il processo presenta una serie di pecche. Nel migliore dei casi, cioè ammettendo che il revisore operi in buona fede, il meccanismo delle parole chiave e dei SSD NON garantisce la competenza specifica: a me sono capitati più volte in valutazione progetti di cui sapevo ben poco, e che quindi non ho accettato; se fossi stato un po' più presuntuoso o superficiale, magari li avrei accettati e valutati erroneamente (in positivo e in negativo). Il problema, come spesso succede, sono gli ignoranti, che spesso coniugano incompetenza e presunzione - questi verrebbero difficilmente chiamati ad esprimere un giudizio su un lavoro sottoposto ad una rivista di qualità, ma possono tranquillamente figurare come "esperti" nella banca dati CINECA (non mi risulta ci sia nessuna selezione per accedere all'Albo dei revisori). C'è poi il problema della normalizzazione, ossia della corrispondenza tra giudizio di valore e punteggio (è solo quest'ultimo che fa la differenza); ad esempio, io sono notoriamente tirchio nei punteggi (lo sanno bene i miei studenti....), per cui ben raramente do valutazioni vicine al massimo; altri colleghi sono molto più di manica larga, e ritengono di poter dare il massimo punteggio a progetti indubbiamente buoni, ma non necessariamente straordinari. Tutto questo sarebbe ancora accettabile, se ormai non fosse divenuta prassi comune la valutazione "drogata" da parte dei revisori italiani, per cui si distribuiscono punteggi stratosferici ai progetti che si vogliono favorire, e più bassi (non importa nemmeno tanto bassi....l'anno scorso nell'Area 04 non si era finanziati con punteggi inferiori a 58/60) a quelli che sono "nemici" o comunque non abbastanza amici - mi dicono che in certe aree c'è proprio una cupola nazionale che decide a priori quali progetti passeranno, e verranno valutati 60 (quest'anno 100), e quelli che (nella migliore delle ipotesi) dovranno aspettare l'anno dopo, e verranno valutati 48 (o 80, a seconda dei casi). Qui, direbbe il mio amico Benedetto De Vivo, c'entra il tipico malcostume italico delle consorterie, e quindi ci sarebbe poco da fare..... Trovare una soluzione non è facile, perchè tutte le cose che mi sono venute in mente (e che proposi anni fa al Comitato dei garanti) aumenterebbero enormemente la complessità del processo, e quindi allungherebbero i già biblici tempi di revisione dei progetti. Le soluzioni praticabili potrebbero essere: aumentare sensibilmente il ricorso a referees stranieri; verificare la qualificazione dei valutatori, almeno in termini di prestigio scientifico (sembra che la mia Università voglia introdurre questo criterio), anche se ciò non garanrisce sulla correttezza....; chiedere ai coordinatori di segnalare una lista (magari lunga....) di potenziali revisori (preferibilmente stranieri....), come fanno diverse riviste, anche prestigiose. Naturalmente non so se queste soluzioni siano praticabili per tutte le aree, per quelle scientifiche molto probabilmente migliorerebbero la qualità del processo. Qualcuno ha idee migliori? Piero Lattanzi
Caro Lattanzi, ho molto apprezzato le tue riflessioni. Tuttavia, amaramente, bisogna riconoscere che trovare una soluzione soddisfacente per tutti (penso anche ai punti sollevati da Dimitri e da altri) è praticamente impossibile. Mi pare che ci avvitiamo tutti attorno ad un problema, sforzandoci di risolverlo, quando il fatto fondamentale sono le condizioni al contorno.
In effetti l'impossibilità di trovare una soluzione soddisfacente al finanziamento della ricerca in Italia è solo legata all'esiguità dei finanziamenti. Il nodo centrale da aggredire è quello e basta. Non si può continuare a far finta che 172 milioni di Euro possano bastare per 3 anni a tutta la ricerca universitaria italiana! E' semplicemente una cifra incongrua.
Lo so, si rischia di scadere nel facile populismo, ma un appello all'onestà intellettuale per sopprimere istituzionalmente i privilegi della politica e piuttosto finanziare la formazione superiore con un introito strutturale (non una tantum cioè) non si potrebbe organizzare? Siamo peraltro nella circostanza dell'emersione di due (altri) scandali. Quello, in particolare, del mezzo miliardo circa di Euro ai partiti fantasma, che fa il paio con la riduzione 'barzelletta' del costo dei parlamentari, ecco questi due potrebbero essere le 'fonti di risorse' per istituire un capitolo di spesa stabile e duraturo, strutturale appunto, per il finanziamento della ricerca nell'Università. Perché non tentare? Il messaggio semplice può essere: Togliere alla politica per dare alla ricerca.
Un saluto a tutti Rino Esposito
On 02/02/2012 9.42, Piero Lattanzi wrote:
Cari colleghi, per quel che serve e per quel che può interessare, vi sottopongo alcune riflessioni sui PRIN Nella mia Università e a quanto mi dicono anche in altre ci si sta orientando ad un processo di valutazione dei PRIN del tutto analogo a quello ministeriale, ossia blind review da parte di due revisori anonimi presi dalla banca dati Cineca, selezionati con i sistemi di incrocio di parole chiave e SSD. Se questo indirizzo verrà applicato in tutte le sedi, si eliminerebbe, o comunque sarebbe ridotto, il rischio paventato da molti, anche in questa lista, dell'applicazionee di procedure anomale "addomesticate" per favorire le cordate più ammanicate con i poteri accademici. Resta del tutto in piedi, però, quello che a mio avviso è stato, da sempre (io ne scrissi già anni fa all'allora Presidente del Comitato dei garanti), il problema, appunto, del sistema di referaggio ministeriale. Tutti sappiamo che il sistema di peer review funziona (quasi) bene quando c'è un supervisore (editor) competente, che seleziona attentamente referees competenti e imparziali (personalmente nelle mie attività editoriali il maggior tempo l'ho sempre speso a scegliere i referees), e che sopratutto media il giudzio dei referees con la posizione dell'autore, che ha sempre diritto di replica (salvo i casi estremi in cui l'editor decide per l'accettazione senza modifiche, o (più spesso) per la rejection tout court). Nel caso dei PRIN, i referees sono scelti da persone non necessariamente competenti del merito specifico del progetto (in anni passati, alcune aree non erano nemmeno rappresentate nel Comitato dei garanti, per cui ad esempio la selezione dei referees per i progetti di Scienze della Terra era affidata a un chimico....), e che sopratutto accettano at face value i giudizi dei referees (nel migliore dei casi, richiedendo un terzo giudizio se i due sono molto difformi). Il processo presenta una serie di pecche. Nel migliore dei casi, cioè ammettendo che il revisore operi in buona fede, il meccanismo delle parole chiave e dei SSD NON garantisce la competenza specifica: a me sono capitati più volte in valutazione progetti di cui sapevo ben poco, e che quindi non ho accettato; se fossi stato un po' più presuntuoso o superficiale, magari li avrei accettati e valutati erroneamente (in positivo e in negativo). Il problema, come spesso succede, sono gli ignoranti, che spesso coniugano incompetenza e presunzione - questi verrebbero difficilmente chiamati ad esprimere un giudizio su un lavoro sottoposto ad una rivista di qualità, ma possono tranquillamente figurare come "esperti" nella banca dati CINECA (non mi risulta ci sia nessuna selezione per accedere all'Albo dei revisori). C'è poi il problema della normalizzazione, ossia della corrispondenza tra giudizio di valore e punteggio (è solo quest'ultimo che fa la differenza); ad esempio, io sono notoriamente tirchio nei punteggi (lo sanno bene i miei studenti....), per cui ben raramente do valutazioni vicine al massimo; altri colleghi sono molto più di manica larga, e ritengono di poter dare il massimo punteggio a progetti indubbiamente buoni, ma non necessariamente straordinari. Tutto questo sarebbe ancora accettabile, se ormai non fosse divenuta prassi comune la valutazione "drogata" da parte dei revisori italiani, per cui si distribuiscono punteggi stratosferici ai progetti che si vogliono favorire, e più bassi (non importa nemmeno tanto bassi....l'anno scorso nell'Area 04 non si era finanziati con punteggi inferiori a 58/60) a quelli che sono "nemici" o comunque non abbastanza amici - mi dicono che in certe aree c'è proprio una cupola nazionale che decide a priori quali progetti passeranno, e verranno valutati 60 (quest'anno 100), e quelli che (nella migliore delle ipotesi) dovranno aspettare l'anno dopo, e verranno valutati 48 (o 80, a seconda dei casi). Qui, direbbe il mio amico Benedetto De Vivo, c'entra il tipico malcostume italico delle consorterie, e quindi ci sarebbe poco da fare..... Trovare una soluzione non è facile, perchè tutte le cose che mi sono venute in mente (e che proposi anni fa al Comitato dei garanti) aumenterebbero enormemente la complessità del processo, e quindi allungherebbero i già biblici tempi di revisione dei progetti. Le soluzioni praticabili potrebbero essere: aumentare sensibilmente il ricorso a referees stranieri; verificare la qualificazione dei valutatori, almeno in termini di prestigio scientifico (sembra che la mia Università voglia introdurre questo criterio), anche se ciò non garanrisce sulla correttezza....; chiedere ai coordinatori di segnalare una lista (magari lunga....) di potenziali revisori (preferibilmente stranieri....), come fanno diverse riviste, anche prestigiose. Naturalmente non so se queste soluzioni siano praticabili per tutte le aree, per quelle scientifiche molto probabilmente migliorerebbero la qualità del processo. Qualcuno ha idee migliori? Piero Lattanzi _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Caro Esposito,
condivido il tuo punto di vista. Senza risorse congrue, non ha senso parlare di tutte le altre questioni. E' noto a tutti che gli esigui finanziamenti PRIN sono spesso serviti per acquisto di qualche computer, missioni e di tanto in tanto qualche assegno di ricerca. Mentre nel resto d'Europa si possono fare call per post-doc con importi ragguardevoli e possibilità di attrarre giovani dall'estero. Per non parlare della ricerca sperimentale e dei costi annessi soprattutto in campi innovativi (vedi, ad esempio, tecnologie del carbonio).
Lo slogan "togliere alla politica per dare alla ricerca" potrebbe fare breccia. In tempi non sospetti, avevo proposto una cosa analoga.
Walter Lacarbonara
Il giorno 02/feb/12, alle ore 11:19, Rino Esposito ha scritto:
Caro Lattanzi, ho molto apprezzato le tue riflessioni. Tuttavia, amaramente, bisogna riconoscere che trovare una soluzione soddisfacente per tutti (penso anche ai punti sollevati da Dimitri e da altri) è praticamente impossibile. Mi pare che ci avvitiamo tutti attorno ad un problema, sforzandoci di risolverlo, quando il fatto fondamentale sono le condizioni al contorno.
In effetti l'impossibilità di trovare una soluzione soddisfacente al finanziamento della ricerca in Italia è solo legata all'esiguità dei finanziamenti. Il nodo centrale da aggredire è quello e basta. Non si può continuare a far finta che 172 milioni di Euro possano bastare per 3 anni a tutta la ricerca universitaria italiana! E' semplicemente una cifra incongrua.
Lo so, si rischia di scadere nel facile populismo, ma un appello all'onestà intellettuale per sopprimere istituzionalmente i privilegi della politica e piuttosto finanziare la formazione superiore con un introito strutturale (non una tantum cioè) non si potrebbe organizzare? Siamo peraltro nella circostanza dell'emersione di due (altri) scandali. Quello, in particolare, del mezzo miliardo circa di Euro ai partiti fantasma, che fa il paio con la riduzione 'barzelletta' del costo dei parlamentari, ecco questi due potrebbero essere le 'fonti di risorse' per istituire un capitolo di spesa stabile e duraturo, strutturale appunto, per il finanziamento della ricerca nell'Università. Perché non tentare? Il messaggio semplice può essere: Togliere alla politica per dare alla ricerca.
Un saluto a tutti Rino Esposito
On 02/02/2012 9.42, Piero Lattanzi wrote:
Cari colleghi, per quel che serve e per quel che può interessare, vi sottopongo alcune riflessioni sui PRIN Nella mia Università e a quanto mi dicono anche in altre ci si sta orientando ad un processo di valutazione dei PRIN del tutto analogo a quello ministeriale, ossia blind review da parte di due revisori anonimi presi dalla banca dati Cineca, selezionati con i sistemi di incrocio di parole chiave e SSD. Se questo indirizzo verrà applicato in tutte le sedi, si eliminerebbe, o comunque sarebbe ridotto, il rischio paventato da molti, anche in questa lista, dell'applicazionee di procedure anomale "addomesticate" per favorire le cordate più ammanicate con i poteri accademici. Resta del tutto in piedi, però, quello che a mio avviso è stato, da sempre (io ne scrissi già anni fa all'allora Presidente del Comitato dei garanti), il problema, appunto, del sistema di referaggio ministeriale. Tutti sappiamo che il sistema di peer review funziona (quasi) bene quando c'è un supervisore (editor) competente, che seleziona attentamente referees competenti e imparziali (personalmente nelle mie attività editoriali il maggior tempo l'ho sempre speso a scegliere i referees), e che sopratutto media il giudzio dei referees con la posizione dell'autore, che ha sempre diritto di replica (salvo i casi estremi in cui l'editor decide per l'accettazione senza modifiche, o (più spesso) per la rejection tout court). Nel caso dei PRIN, i referees sono scelti da persone non necessariamente competenti del merito specifico del progetto (in anni passati, alcune aree non erano nemmeno rappresentate nel Comitato dei garanti, per cui ad esempio la selezione dei referees per i progetti di Scienze della Terra era affidata a un chimico....), e che sopratutto accettano at face value i giudizi dei referees (nel migliore dei casi, richiedendo un terzo giudizio se i due sono molto difformi). Il processo presenta una serie di pecche. Nel migliore dei casi, cioè ammettendo che il revisore operi in buona fede, il meccanismo delle parole chiave e dei SSD NON garantisce la competenza specifica: a me sono capitati più volte in valutazione progetti di cui sapevo ben poco, e che quindi non ho accettato; se fossi stato un po' più presuntuoso o superficiale, magari li avrei accettati e valutati erroneamente (in positivo e in negativo). Il problema, come spesso succede, sono gli ignoranti, che spesso coniugano incompetenza e presunzione - questi verrebbero difficilmente chiamati ad esprimere un giudizio su un lavoro sottoposto ad una rivista di qualità, ma possono tranquillamente figurare come "esperti" nella banca dati CINECA (non mi risulta ci sia nessuna selezione per accedere all'Albo dei revisori). C'è poi il problema della normalizzazione, ossia della corrispondenza tra giudizio di valore e punteggio (è solo quest'ultimo che fa la differenza); ad esempio, io sono notoriamente tirchio nei punteggi (lo sanno bene i miei studenti....), per cui ben raramente do valutazioni vicine al massimo; altri colleghi sono molto più di manica larga, e ritengono di poter dare il massimo punteggio a progetti indubbiamente buoni, ma non necessariamente straordinari. Tutto questo sarebbe ancora accettabile, se ormai non fosse divenuta prassi comune la valutazione "drogata" da parte dei revisori italiani, per cui si distribuiscono punteggi stratosferici ai progetti che si vogliono favorire, e più bassi (non importa nemmeno tanto bassi....l'anno scorso nell'Area 04 non si era finanziati con punteggi inferiori a 58/60) a quelli che sono "nemici" o comunque non abbastanza amici - mi dicono che in certe aree c'è proprio una cupola nazionale che decide a priori quali progetti passeranno, e verranno valutati 60 (quest'anno 100), e quelli che (nella migliore delle ipotesi) dovranno aspettare l'anno dopo, e verranno valutati 48 (o 80, a seconda dei casi). Qui, direbbe il mio amico Benedetto De Vivo, c'entra il tipico malcostume italico delle consorterie, e quindi ci sarebbe poco da fare..... Trovare una soluzione non è facile, perchè tutte le cose che mi sono venute in mente (e che proposi anni fa al Comitato dei garanti) aumenterebbero enormemente la complessità del processo, e quindi allungherebbero i già biblici tempi di revisione dei progetti. Le soluzioni praticabili potrebbero essere: aumentare sensibilmente il ricorso a referees stranieri; verificare la qualificazione dei valutatori, almeno in termini di prestigio scientifico (sembra che la mia Università voglia introdurre questo criterio), anche se ciò non garanrisce sulla correttezza....; chiedere ai coordinatori di segnalare una lista (magari lunga....) di potenziali revisori (preferibilmente stranieri....), come fanno diverse riviste, anche prestigiose. Naturalmente non so se queste soluzioni siano praticabili per tutte le aree, per quelle scientifiche molto probabilmente migliorerebbero la qualità del processo. Qualcuno ha idee migliori? Piero Lattanzi _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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__________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
MI associo volentieri a Rino Esposito, che cito:
Togliere alla politica per dare alla ricerca
Martino Bolognesi
------------------------------- Prof. Martino Bolognesi Department of Biomolecular Sciences and Biotechnology University of Milano Via Celoria, 26 20133 Milano (Italy) Tel. +39 02 50314893 Fax. +39 02 50314895 e-mail: martino.bolognesi@unimi.it URL: http://users.unimi.it/biolstru/Home.html
-----Original Message----- From: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] On Behalf Of Rino Esposito Sent: giovedì 2 febbraio 2012 10:20 To: "Forum "Università e Ricerca"" Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] PRIN
Caro Lattanzi, ho molto apprezzato le tue riflessioni. Tuttavia, amaramente, bisogna riconoscere che trovare una soluzione soddisfacente per tutti (penso anche ai punti sollevati da Dimitri e da altri) è praticamente impossibile. Mi pare che ci avvitiamo tutti attorno ad un problema, sforzandoci di risolverlo, quando il fatto fondamentale sono le condizioni al contorno.
In effetti l'impossibilità di trovare una soluzione soddisfacente al finanziamento della ricerca in Italia è solo legata all'esiguità dei finanziamenti. Il nodo centrale da aggredire è quello e basta. Non si può continuare a far finta che 172 milioni di Euro possano bastare per 3 anni a tutta la ricerca universitaria italiana! E' semplicemente una cifra incongrua.
Lo so, si rischia di scadere nel facile populismo, ma un appello all'onestà intellettuale per sopprimere istituzionalmente i privilegi della politica e piuttosto finanziare la formazione superiore con un introito strutturale (non una tantum cioè) non si potrebbe organizzare? Siamo peraltro nella circostanza dell'emersione di due (altri) scandali. Quello, in particolare, del mezzo miliardo circa di Euro ai partiti fantasma, che fa il paio con la riduzione 'barzelletta' del costo dei parlamentari, ecco questi due potrebbero essere le 'fonti di risorse' per istituire un capitolo di spesa stabile e duraturo, strutturale appunto, per il finanziamento della ricerca nell'Università. Perché non tentare? Il messaggio semplice può essere: Togliere alla politica per dare alla ricerca.
Un saluto a tutti Rino Esposito
On 02/02/2012 9.42, Piero Lattanzi wrote:
Cari colleghi, per quel che serve e per quel che può interessare, vi sottopongo alcune riflessioni sui PRIN Nella mia Università e a quanto mi
dicono anche in altre ci si sta orientando ad un processo di valutazione dei PRIN del tutto analogo a quello ministeriale, ossia blind review da parte di due revisori anonimi presi dalla banca dati Cineca, selezionati con i sistemi di incrocio di parole chiave e SSD. Se questo indirizzo verrà applicato in tutte le sedi, si eliminerebbe, o comunque sarebbe ridotto, il rischio paventato da molti, anche in questa lista, dell'applicazionee di procedure anomale "addomesticate" per favorire le cordate più ammanicate con i poteri accademici.
Resta del tutto in piedi, però, quello che a mio avviso è stato, da sempre
(io ne scrissi già anni fa all'allora Presidente del Comitato dei garanti), il problema, appunto, del sistema di referaggio ministeriale. Tutti sappiamo che il sistema di peer review funziona (quasi) bene quando c'è un supervisore (editor) competente, che seleziona attentamente referees competenti e imparziali (personalmente nelle mie attività editoriali il maggior tempo l'ho sempre speso a scegliere i referees), e che sopratutto media il giudzio dei referees con la posizione dell'autore, che ha sempre diritto di replica (salvo i casi estremi in cui l'editor decide per l'accettazione senza modifiche, o (più spesso) per la rejection tout court). Nel caso dei PRIN, i referees sono scelti da persone non necessariamente competenti del merito specifico del progetto (in anni passati, alcune aree non erano nemmeno rappresentate nel Comitato dei garanti, per cui ad esempio la selezione dei referees per i progetti di Scienze della Terra era affidata a un chimico....), e che sopratutto accettano at face value i giudizi dei referees (nel migliore dei casi, richiedendo un terzo giudizio se i due sono molto difformi). Il processo presenta una serie di pecche. Nel migliore dei casi, cioè ammettendo che il revisore operi in buona fede, il meccanismo delle parole chiave e dei SSD NON garantisce la competenza specifica: a me sono capitati più volte in valutazione progetti di cui sapevo ben poco, e che quindi non ho accettato; se fossi stato un po' più presuntuoso o superficiale, magari li avrei accettati e valutati erroneamente (in positivo e in negativo). Il problema, come spesso succede, sono gli ignoranti, che spesso coniugano incompetenza e presunzione - questi verrebbero difficilmente chiamati ad esprimere un giudizio su un lavoro sottoposto ad una rivista di qualità, ma possono tranquillamente figurare come "esperti" nella banca dati CINECA (non mi risulta ci sia nessuna selezione per accedere all'Albo dei revisori). C'è poi il problema della normalizzazione, ossia della corrispondenza tra giudizio di valore e punteggio (è solo quest'ultimo che fa la differenza); ad esempio, io sono notoriamente tirchio nei punteggi (lo sanno bene i miei studenti....), per cui ben raramente do valutazioni vicine al massimo; altri colleghi sono molto più di manica larga, e ritengono di poter dare il massimo punteggio a progetti indubbiamente buoni, ma non necessariamente straordinari. Tutto questo sarebbe ancora accettabile, se ormai non fosse divenuta prassi comune la valutazione "drogata" da parte dei revisori italiani, per cui si distribuiscono punteggi stratosferici ai progetti che si vogliono favorire, e più bassi (non importa nemmeno tanto bassi....l'anno scorso nell'Area 04 non si era finanziati con punteggi inferiori a 58/60) a quelli che sono "nemici" o comunque non abbastanza amici - mi dicono che in certe aree c'è proprio una cupola nazionale che decide a priori quali progetti passeranno, e verranno valutati 60 (quest'anno 100), e quelli che (nella migliore delle ipotesi) dovranno aspettare l'anno dopo, e verranno valutati 48 (o 80, a seconda dei casi). Qui, direbbe il mio amico Benedetto De Vivo, c'entra il tipico malcostume italico delle consorterie, e quindi ci sarebbe poco da fare.....
Trovare una soluzione non è facile, perchè tutte le cose che mi sono
venute in mente (e che proposi anni fa al Comitato dei garanti) aumenterebbero enormemente la complessità del processo, e quindi allungherebbero i già biblici tempi di revisione dei progetti. Le soluzioni praticabili potrebbero essere: aumentare sensibilmente il ricorso a referees stranieri; verificare la qualificazione dei valutatori, almeno in termini di prestigio scientifico (sembra che la mia Università voglia introdurre questo criterio), anche se ciò non garanrisce sulla correttezza....; chiedere ai coordinatori di segnalare una lista (magari lunga....) di potenziali revisori (preferibilmente stranieri....), come fanno diverse riviste, anche prestigiose. Naturalmente non so se queste soluzioni siano praticabili per tutte le aree, per quelle scientifiche molto probabilmente migliorerebbero la qualità del processo. Qualcuno ha idee migliori?
Piero Lattanzi _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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impostazioni:
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On Thu, Feb 2, 2012 at 10:19 AM, Rino Esposito rino.esposito@uniud.it wrote:
In effetti l'impossibilità di trovare una soluzione soddisfacente al finanziamento della ricerca in Italia è solo legata all'esiguità dei finanziamenti. Il nodo centrale da aggredire è quello e basta. Non si può
Non sono per niente d'accordo. In Italia ci sono due problemi diversi e complementari, uno e' l'esiguita' dei finanziamenti alla ricerca disponibili con procedura competitiva, un altro e' l'inefficienza / distorsione dell'allocazione dei fondi, la cattiva, carente, non trasparente, non realmente meritocratica valutazione sia preventiva sia consuntiva dei progetti.
Spero di non offendere nessuno ma secondo il mio modestissimo parere di ricercatore la posizione che il solo e unico problema sia la carenza di fondi e' demagogica e non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani.
Cordialmente,
Caro Alberto:
in buona fede, credimi, mi permetto di dissentire.
Che ci sia stata una gestione talvolta allegra dei fondi può anche essere vero.
Ma immaginare di poter avere una gestione anche solo vagamente sensata delle risorse messe a disposizione quando esse sono ridicolmente basse è davvero impossibile.
Quando le risorse NON sono sufficiente a coprire tutti i progetti eccellenti, come puoi pensare di selezionare i pochissimi fra gli eccellenti che avranno i finanziamenti? sulla base del colore degli occhi del coordinatore?
Quando le risorse NON sono sufficienti a garantire l'attività di ricerca dei gruppi che otterranno i finanziamenti (per i PRIN si parla ora di avere circa 30.000-40.000 euro l'anno per Udr con gruppi di 3-5 ricercatori più dottorandi etc), come puoi anche solo pensare di fare una valutazione ex-post?
Quando le risorse messe a disposizione ai più NON sono sufficienti a garantire neanche per le normali attività di base (con che soldi dovrei comprare i solventi per il mio laboratorio oppure potrei pagare una missione per un dottorando?), come puoi anche solo pensare di fare una valutazione di eccellenze ex ante?
Qui la meritocrazia si fa col metodo cosiddetto di San Matteo (a chi ha verrà dato, a chi non ha verrà tolto anche quello che ha). Chi ha (perchè veniva da gruppi forti, perchè fa ricerca nei pochissimi settori di moda ed è abile o spregiudicato abbastanza da seguire le mode) viene sempre premiato. Gli altri, si arrangino.
saluti anna
2012/2/2 Alberto Lusiani alberto.lusiani@pi.infn.it
On Thu, Feb 2, 2012 at 10:19 AM, Rino Esposito rino.esposito@uniud.it wrote:
In effetti l'impossibilità di trovare una soluzione soddisfacente al finanziamento della ricerca in Italia è solo legata all'esiguità dei finanziamenti. Il nodo centrale da aggredire è quello e basta. Non si può
Non sono per niente d'accordo. In Italia ci sono due problemi diversi e complementari, uno e' l'esiguita' dei finanziamenti alla ricerca disponibili con procedura competitiva, un altro e' l'inefficienza / distorsione dell'allocazione dei fondi, la cattiva, carente, non trasparente, non realmente meritocratica valutazione sia preventiva sia consuntiva dei progetti.
Spero di non offendere nessuno ma secondo il mio modestissimo parere di ricercatore la posizione che il solo e unico problema sia la carenza di fondi e' demagogica e non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani.
Cordialmente,
Alberto Lusiani _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Qui non si tratta di fare populismo... questo è un articolo su Il Fatto di oggi. Se si passasse al regime tedesco, i partiti potrebbero essere un po' più sani, e se solo parte di questi soldi venissero dati alla ricerca sarebbero certo sprecati un po' meno.. o no ?
Adesso, a meno di non agganciarsi a qualche ricerca europea, non ci sono neppure i soldi per comprarsi uno strumento "normale". 10-15 anni fa non era così.
Alberto Girlando
=============================================================== I tedeschi sono quelli che lo fanno meglio, che piaccia o no. In materia di finanziamento pubblico alla politica, sono i più parsimoniosi e severi in Europa. Da noi, ai partiti vanno 4 euro per ogni iscritto nelle liste elettorali (e per cinque anni di legislatura), da loro appena 85 centesimi per ogni voto valido. È lo spread impietoso sulla Casta, tra noi e loro. In Germania, i contributi non possono andare oltre il tetto dei 133 milioni di euro annui. Rigidamente suddivisi: una parte proporzionale ai voti avuti e l’altra legata all’autofinanziamento. In pratica per ogni euro donato da iscritti e simpatizzanti si ricevono 38 centesimi. Quest’ultima norma è per incentivare la militanza politica, mentre da noi è praticamente scomparsa. Non solo. In Italia, dopo il referendum che abolì il finanziamento ai partiti (legge introdotta nel 1974), fu fatto un tentativo per mantenere i partiti con la contribuzione volontaria. Ma fallì miseramente e venne fuori così la scandalosa legge sui rimborsi elettorali, che ha consentito ai partiti di accumulare tesoretti di milioni di euro. Giusto per fare un paragone rispetto ai teutonici: alle elezioni del 2006 i partiti italiani hanno speso 123 milioni di euro. In cambio hanno ottenuto 499 milioni 645 mila 745 euro, come spiegano Elio Veltri e Francesco Paola nel loro I soldi dei partiti. Una differenza percentuale, tra soldi spesi e incassati, del 406,63 per cento. Un altro spread senza vergogna. In Germania, poi, il sistema dei controlli è rigidissimo, non lacunoso. I bilanci devono un triplice timbro, non formale: presidenti dei partiti, vertice del Bundestag, Corte federale dei conti. Per chi sgarra, per i von Lusen della Margheriten, c’è il carcere da tre a cinque anni. In Francia, i partiti prendono i soldi sia come contributo annuale sia sotto forma di rimborsi elettorali. Ma le spese sono più contenute: 116 milioni di euro per il 2007 a fronte di 79 milioni impegnati in campagna elettorale. Anche i francesi cercano un equilibrio tra finanziamento pubblico e privato. Da noi, invece, rispetto a Francia e Germania, i bilanci dei partiti sono costituiti soprattutto da soldi pubblici: nel 2005 l’80% per FI, Ds, An, Comunisti italiani e addirittura il 99% per Margherita e Italia dei valori. Nel Regno Unito, il rapporto è addirittura inverso: per la campagna elettorale del 2010 ci sono state donazioni private per 26,3 milioni di sterline e finanziamenti pubblici per soli sei milioni. La realtà è che in Inghilterra prevale la logica dei servizi, non dei soldi. Ai partiti vengono dati spazi tv e radiofonici, servizi postali, spazi pubblici per riunioni e incontri elettorali. In Spagna, infine, prevale il regime dei rimborsi elettorali, ma il finanziamento complessivo neanche qui raggiunge le cifre astronomiche dell’Italia: nell’ultimo decennio è passato da 57 a 82 milioni di euro all’anno. Non c’è dubbio: i partiti italiani sono i più ricchi.
io concordo con Anna, nel 2006 ebbi la sfortuna di essere nel comitato che doveva assegnare i PRIN, cercai di finanziare anche qualche gruppo piccolo con il risultato di scontentare tutti finanziare in modo ridicolo progetti importanti e cosi via.
Questo ovviamente non vuol dire che, specie in tempi di vacche magre come sono per tutti questi presenti, non si debba fare un ulteriore sforzo affinche nessun euro sia sprecato.
Claudio
p.s non sono del tutto convinto dallo slogan
Togliere alla politica per dare alla ricerca.
magari è giusto ma suona molto demagogico, vediamo se mai quali percentuali del bilancio dello stato vanno per la politica e per la ricerca nei paesi a noi simili e ragioniamo su quelle basi.
On 02/feb/12, at 12:12, anna painelli wrote:
Caro Alberto:
in buona fede, credimi, mi permetto di dissentire.
Che ci sia stata una gestione talvolta allegra dei fondi può anche essere vero.
Ma immaginare di poter avere una gestione anche solo vagamente sensata delle risorse messe a disposizione quando esse sono ridicolmente basse è davvero impossibile.
Quando le risorse NON sono sufficiente a coprire tutti i progetti eccellenti, come puoi pensare di selezionare i pochissimi fra gli eccellenti che avranno i finanziamenti? sulla base del colore degli occhi del coordinatore?
Quando le risorse NON sono sufficienti a garantire l'attività di ricerca dei gruppi che otterranno i finanziamenti (per i PRIN si parla ora di avere circa 30.000-40.000 euro l'anno per Udr con gruppi di 3-5 ricercatori più dottorandi etc), come puoi anche solo pensare di fare una valutazione ex-post?
Quando le risorse messe a disposizione ai più NON sono sufficienti a garantire neanche per le normali attività di base (con che soldi dovrei comprare i solventi per il mio laboratorio oppure potrei pagare una missione per un dottorando?), come puoi anche solo pensare di fare una valutazione di eccellenze ex ante?
Qui la meritocrazia si fa col metodo cosiddetto di San Matteo (a chi ha verrà dato, a chi non ha verrà tolto anche quello che ha). Chi ha (perchè veniva da gruppi forti, perchè fa ricerca nei pochissimi settori di moda ed è abile o spregiudicato abbastanza da seguire le mode) viene sempre premiato. Gli altri, si arrangino.
saluti anna
2012/2/2 Alberto Lusiani alberto.lusiani@pi.infn.it
On Thu, Feb 2, 2012 at 10:19 AM, Rino Esposito <rino.esposito@uniud.it
wrote:
In effetti l'impossibilità di trovare una soluzione soddisfacente al finanziamento della ricerca in Italia è solo legata all'esiguità dei finanziamenti. Il nodo centrale da aggredire è quello e basta. Non si può
Non sono per niente d'accordo. In Italia ci sono due problemi diversi e complementari, uno e' l'esiguita' dei finanziamenti alla ricerca disponibili con procedura competitiva, un altro e' l'inefficienza / distorsione dell'allocazione dei fondi, la cattiva, carente, non trasparente, non realmente meritocratica valutazione sia preventiva sia consuntiva dei progetti.
Spero di non offendere nessuno ma secondo il mio modestissimo parere di ricercatore la posizione che il solo e unico problema sia la carenza di fondi e' demagogica e non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani.
Cordialmente,
Alberto Lusiani _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
-- Anna Painelli Dip. Chimica GIAF Parma University tel 0521-905461 fax 0521-905556 _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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Claudio Procesi, Dipartimento di Matematica, G. Castelnuovo Universita` di Roma La Sapienza, piazzale A. Moro 00185, Roma, Italia
tel. 0039-06-49913212, fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/
Caro Luisiani,
non credo che il solo ed unico problema sia la carenza di fondi. Credo però che questa carenza sia il problema dei problemi quando andiamo a parlare dei PRIN e delle peripezie che descriveva Lattanzi o delle anomalie che ricordavano Dimitri ed altri. Sicuramente la distribuzione dei fondi è perfettibile, ma sono del tutto convinto che nell'Università italiana i gruppi che meritano di essere riconosciuti e finanziati siano molti di più di quelli che effettivamente possono ricevere un finanziamento (comunque esiguo) anche operando nella maniera più corretta possibile.
Non so a chi ti riferisci specificamente quanto a inefficienza, ma personalmente ho in mente innanzitutto la situazione mia e di tanti altri come me. Lavoro con uno spettrometro NMR vecchio di 23 anni che è ancora in grado di dare ottimi risultati nel nostro campo di interesse, solo grazie alla cura puntuale che da anni con i colleghi mettiamo su questo strumento . Tuttavia, al di là dei nostri sforzi, 23 anni non sono passati invano e per quanto ci adoperiamo e riusciamo a mantenere alto il livello del nostro laboratorio, purtroppo gli analoghi laboratori stranieri (ma ce n'è anche qualcuno in Italia) hanno almeno un ordine di grandezza di vantaggio, semplicemente perché usano macchine moderne. Bene, noi, come tanti altri colleghi, non sprechiamo, anzi valorizziamo quello che ci è stato affidato che è un bene pubblico,ma da anni non c'è e non vi sarà mai un PRIN o un FIRB o un'altra iniziativa che potrà allocare una richiesta di un miliardo di Euro per una strumentazione aggiornata. Archiviato definitivamente il discorso grandi strumentazioni, la carenza di fondi riguarda però la sussistenza di tutti i giorni. Non ci sono più soldi per la manutenzione, per l'acquisto di materiale, per gli assegni di ricerca. E tutto questo mentre attorno gli sprechi, il malcostume, le ruberie, ecc. sono all'ordine del giorno.
Con queste premesse che credo dovresti conoscere, sentirsi dire che togliere alla politica per dare alla ricerca è una affermazione demagogica che "non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani" mi pare un po' pesante. Sono convinto che tu non volessi offendermi come in effetti hai fatto. Purtroppo anche qualcun altro, nel notare che la mia affermazione si presta alla demagogia, non tiene conto che uno slogan non sempre riesce a rendere la complessità di una posizione.
Ci sono purtroppo non pochi universitari che non onorano la categoria, ma credo che questo non sia altro che il frutto della statistica. In un Paese mezzo marcio, i professori universitari non possono essere un'eccezione. Esiste, tuttavia, una buona fetta, credo sicuramente maggioritaria, di universitari seri che meritano considerazione, per i quali l'attuale livello di sottofinanziamento è assolutamente ingiusto.
Abbiamo ragione da vendere, smettiamo di aver paura di gridare la nostra dignità!
Altrettanto cordialmente Rino Esposito
On 02/02/2012 11.13, Alberto Lusiani wrote:
Non sono per niente d'accordo. In Italia ci sono due problemi diversi e complementari, uno e' l'esiguita' dei finanziamenti alla ricerca disponibili con procedura competitiva, un altro e' l'inefficienza / distorsione dell'allocazione dei fondi, la cattiva, carente, non trasparente, non realmente meritocratica valutazione sia preventiva sia consuntiva dei progetti.
Spero di non offendere nessuno ma secondo il mio modestissimo parere di ricercatore la posizione che il solo e unico problema sia la carenza di fondi e' demagogica e non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani.
Cordialmente,
La parte sulla strumentazione avrei potuta scriverla io per il mio gruppo. Eravamo un gruppo di riferimento per la diffusione a basso angolo (SAXS), ora abbiamo uno strumento tenuto su con lo sputo e nel frattempo questa strumentazione ha fatto un salto tecnico incredibile, ma ha un costo che non possiamo permetterci (minimo 500mila euro). Abbiamo uno/due (a seconda di quando si guastano) diffrattometri da polveri messi leggermente meglio, ma comunque vecchi. Abbiamo un TEM più recente (11 anni) che richiede 25.000 euro di contratto di manutenzione all'anno, che non comprende gli eventuali costosissimi pezzi di ricambio e un SEM per il quale abbiamo deciso di non pagare il contratto di manutenzione e che è stato quindi fermo 6 mesi perché abbiamo cercato di aggiustarcelo in casa per risparmiare 8.000 euro. Ci si da da fare per procacciare finanziamenti, ma si riesce solo a sopravvivere. Di aggiornamenti e sviluppo non se ne parla.
Non so se ha senso prendersela solo con i soldi della politica, ma perché le banche e le aziende vanno salvate e la ricerca no? Lo stato salvi pure le banche e le aziende, ma una volta ripartite si faccia dare i soldi indietro per finanziare sanità, stato sociale, istruzione e ricerca. E si tirino fuori le tasse dei grandi evasori, che quella sì è una vergogna.
Stefano Polizzi
Il giorno 02/feb/2012, alle ore 19.20, Rino Esposito ha scritto:
Caro Luisiani,
non credo che il solo ed unico problema sia la carenza di fondi. Credo però che questa carenza sia il problema dei problemi quando andiamo a parlare dei PRIN e delle peripezie che descriveva Lattanzi o delle anomalie che ricordavano Dimitri ed altri. Sicuramente la distribuzione dei fondi è perfettibile, ma sono del tutto convinto che nell'Università italiana i gruppi che meritano di essere riconosciuti e finanziati siano molti di più di quelli che effettivamente possono ricevere un finanziamento (comunque esiguo) anche operando nella maniera più corretta possibile.
Non so a chi ti riferisci specificamente quanto a inefficienza, ma personalmente ho in mente innanzitutto la situazione mia e di tanti altri come me. Lavoro con uno spettrometro NMR vecchio di 23 anni che è ancora in grado di dare ottimi risultati nel nostro campo di interesse, solo grazie alla cura puntuale che da anni con i colleghi mettiamo su questo strumento . Tuttavia, al di là dei nostri sforzi, 23 anni non sono passati invano e per quanto ci adoperiamo e riusciamo a mantenere alto il livello del nostro laboratorio, purtroppo gli analoghi laboratori stranieri (ma ce n'è anche qualcuno in Italia) hanno almeno un ordine di grandezza di vantaggio, semplicemente perché usano macchine moderne. Bene, noi, come tanti altri colleghi, non sprechiamo, anzi valorizziamo quello che ci è stato affidato che è un bene pubblico,ma da anni non c'è e non vi sarà mai un PRIN o un FIRB o un'altra iniziativa che potrà allocare una richiesta di un miliardo di Euro per una strumentazione aggiornata. Archiviato definitivamente il discorso grandi strumentazioni, la carenza di fondi riguarda però la sussistenza di tutti i giorni. Non ci sono più soldi per la manutenzione, per l'acquisto di materiale, per gli assegni di ricerca. E tutto questo mentre attorno gli sprechi, il malcostume, le ruberie, ecc. sono all'ordine del giorno.
Con queste premesse che credo dovresti conoscere, sentirsi dire che togliere alla politica per dare alla ricerca è una affermazione demagogica che "non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani" mi pare un po' pesante. Sono convinto che tu non volessi offendermi come in effetti hai fatto. Purtroppo anche qualcun altro, nel notare che la mia affermazione si presta alla demagogia, non tiene conto che uno slogan non sempre riesce a rendere la complessità di una posizione.
Ci sono purtroppo non pochi universitari che non onorano la categoria, ma credo che questo non sia altro che il frutto della statistica. In un Paese mezzo marcio, i professori universitari non possono essere un'eccezione. Esiste, tuttavia, una buona fetta, credo sicuramente maggioritaria, di universitari seri che meritano considerazione, per i quali l'attuale livello di sottofinanziamento è assolutamente ingiusto.
Abbiamo ragione da vendere, smettiamo di aver paura di gridare la nostra dignità!
Altrettanto cordialmente Rino Esposito
On 02/02/2012 11.13, Alberto Lusiani wrote:
Non sono per niente d'accordo. In Italia ci sono due problemi diversi e complementari, uno e' l'esiguita' dei finanziamenti alla ricerca disponibili con procedura competitiva, un altro e' l'inefficienza / distorsione dell'allocazione dei fondi, la cattiva, carente, non trasparente, non realmente meritocratica valutazione sia preventiva sia consuntiva dei progetti.
Spero di non offendere nessuno ma secondo il mio modestissimo parere di ricercatore la posizione che il solo e unico problema sia la carenza di fondi e' demagogica e non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani.
Cordialmente,
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Caro Rino,
On Thu, Feb 2, 2012 at 7:20 PM, Rino Esposito rino.esposito@uniud.it wrote:
Caro Luisiani,
non credo che il solo ed unico problema sia la carenza di fondi. Credo però che questa carenza sia il problema dei problemi quando andiamo a parlare dei PRIN e delle peripezie che descriveva Lattanzi o delle anomalie che ricordavano Dimitri ed altri.
Mi arrendo alla maggioranza che cosi' la pensa. Forse sbaglio ma credo che le risorse pubbliche per universita' e ricerca non siano 1/10 di quelle dei Paesi piu' avanzati, ma probabilmente intorno al 70%. Se fossero tutte assegnate con efficienza e valutazione di merito non si dovrebbero verificare i disastri descritti. La mia impressione e' che gran parte di queste risorse siano assegnate male, molto male, sia in base a valutazioni discrezionali specie dei politici, sia in base alla spesa storica mai confrontata coi risultati.
Sicuramente la distribuzione dei fondi è perfettibile, ma sono del tutto convinto che nell'Università italiana i gruppi che meritano di essere riconosciuti e finanziati siano molti di più di quelli che effettivamente possono ricevere un finanziamento (comunque esiguo) anche operando nella maniera più corretta possibile.
Concordo se parliamo di fondi PRIN. Sono meno d'accordo se consideriamo il totale di spesa pubblica in universita' e ricerca.
Con queste premesse che credo dovresti conoscere, sentirsi dire che togliere alla politica per dare alla ricerca è una affermazione demagogica che "non dovrebbe essere fatta propria da persone nettamente piu' istruite e competenti della media degli elettori italiani" mi pare un po' pesante.
No no no questo non l'ho mai scritto, e' un discorso che e' venuto dopo la mia replica.
Ripeto: considero demagogico affermare che il solo e unico problema nella ricerca e' la scarsita' di risorse. Nel dettaglio, lo considero demagogico perche' e' un discorso su cui tutti ma proprio tutti tendono ad essere d'accordo oltre che sul merito anche banalmente per interesse personale, perche' scarica da ogni responsabilita' e cosi' via. Anche chi ha avuto fondi che non meritava ma per relazioni con politici ha convenienza a sottoscrivere un discorso del genere, meno grane coi colleghi che avranno qualcosa in piu'. Ed e' un discorso che ognuna delle mille corporazioni in Italia puo' sottoscrivere, applicandolo a se' stessa.
Riguardo la politica, sono completamente cosciente, da molti anni, che il costo della politica italiana e' fuori da ogni paragone col mondo civile. Il costo dei politici potrebbe essere ridotto di un fattore quattro senza alcun danno alla democrazia, anzi rimuovendo moltissimi incentivi perversi. Visto che la ricerca scientifica e' sottofinanziata in Italia, sono anche d'accordo che nel redistribuire il dividendo da livellamento dei costi della politica una quota opportuna dovrebbe andare sulla ricerca. Ma e' inutile farsi illusioni, lasciando tutto come e' ora in come viene ripartita la spesa pubblica per universita' e ricerca i fondi PRIN aumenterebbero del 10-20% forse. Non credo che questo possa risolvere i problemi denunciati.
Cordialmente,
universitas_in_trasformazione@lists.dm.unipi.it