cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita', con uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
1) la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari, sta sostanzialmente alla finestra a guardare
2) la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e' ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
Caro Marco In un mondo che funziona cosi male ognuno si chiude nel suo piccolo cosmo, si deprime ma ha paura di fare un passo, anche perche' e' convinto che non serva a nulla. In fondo anch'io non sono molto diversa: sto tentando di fare qualcosa ma intanto mi chiedo come sopravvivere individualmente in una societa' che ha perso ogni senso di giustizia. Abbiamo un bisogno enorme di qualche notizia positiva che ci ridia la carica verso la societa' e ci faccia uscire dal nostro piccolo mondo. CHiedo agli altri: sbaglio con questa analisi? Perdiamo prima di aver provato a reagire?
Laura
2010/10/9 Marco Vianello marcov@math.unipd.it
cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita', con uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
- la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari,
sta sostanzialmente alla finestra a guardare
- la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e'
ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
Scusate, ma a me non sembra che 60 dimissioni siano poche. Tutto sta a trovare il modo per andare sui media nel modo opportuno. Qui sta il problema. Anzi occorre trovare a tutti i costi il modo altrimenti i 60 coraggiosi che hanno dato una forte testimonianza avranno solo perso il loro tempo. Al giorno d'oggi, infatti, cio' che non è reso noto, non esiste.
Roberto Battiston
On 09/10/10 20:53, "Laura Sacerdote" laura.sacerdote@gmail.com wrote:
Caro Marco In un mondo che funziona cosi male ognuno si chiude nel suo piccolo cosmo, si deprime ma ha paura di fare un passo, anche perche' e' convinto che non serva a nulla. In fondo anch'io non sono molto diversa: sto tentando di fare qualcosa ma intanto mi chiedo come sopravvivere individualmente in una societa' che ha perso ogni senso di giustizia. Abbiamo un bisogno enorme di qualche notizia positiva che ci ridia la carica verso la societa' e ci faccia uscire dal nostro piccolo mondo. CHiedo agli altri: sbaglio con questa analisi? Perdiamo prima di aver provato a reagire?
Laura
2010/10/9 Marco Vianello marcov@math.unipd.it
cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita', con uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
- la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari,
sta sostanzialmente alla finestra a guardare
- la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e'
ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
In realta' qualcosa sui media e' andato (Repubblica di Torino e La Stampa hanno riportato le dimissioni di direttore e presidenti a matematica), Repubblica (edizione locale) ha titolato: 3 dimissioni eccellenti, un breve trafiletto sulle dimissioni. Pero' 70 sono troppo poche per aver un effetto, tra l'altro molte sono simboliche: da commissioni di minore importanza. Un caso invece di peso e' dato dalle dimissioni di Simonetta Ronchi della Rocca da Preside di Scienze Strategiche (credo sia l'unico preside nell'elenco) Detto questo resto dell'idea che con questi numeri non se ne puo' fare nulla. Laura Sacerdote
2010/10/9 Roberto Battiston roberto_battiston@alice.it
Scusate, ma a me non sembra che 60 dimissioni siano poche. Tutto sta a trovare il modo per andare sui media nel modo opportuno. Qui sta il problema. Anzi occorre trovare a tutti i costi il modo altrimenti i 60 coraggiosi che hanno dato una forte testimonianza avranno solo perso il loro tempo. Al giorno d'oggi, infatti, cio' che non è reso noto, non esiste.
Roberto Battiston
On 09/10/10 20:53, "Laura Sacerdote" laura.sacerdote@gmail.com wrote:
Caro Marco In un mondo che funziona cosi male ognuno si chiude nel suo piccolo
cosmo,
si deprime ma ha paura di fare un passo, anche perche' e' convinto che
non
serva a nulla. In fondo anch'io non sono molto diversa: sto tentando di
fare
qualcosa ma intanto mi chiedo come sopravvivere individualmente in una societa' che ha perso ogni senso di giustizia. Abbiamo un bisogno enorme di qualche notizia positiva che ci ridia la
carica
verso la societa' e ci faccia uscire dal nostro piccolo mondo. CHiedo
agli
altri: sbaglio con questa analisi? Perdiamo prima di aver provato a
reagire?
Laura
2010/10/9 Marco Vianello marcov@math.unipd.it
cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita',
con
uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
- la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari,
sta sostanzialmente alla finestra a guardare
- la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e'
ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
trovo particolarmente sagge e cogenti le parole di roberto battiston.
Buona domenica a tutti! EA
--------------------------------------------------------------------
Scusate, ma a me non sembra che 60 dimissioni siano poche. Tutto sta a trovare il modo per andare sui media nel modo opportuno. Qui sta il problema. Anzi occorre trovare a tutti i costi il modo altrimenti i 60 coraggiosi che hanno dato una forte testimonianza avranno solo perso il loro tempo. Al giorno d'oggi, infatti, cio' che non è reso noto, non esiste.
Roberto Battiston
On 09/10/10 20:53, "Laura Sacerdote" laura.sacerdote@gmail.com wrote:
Caro Marco In un mondo che funziona cosi male ognuno si chiude nel suo piccolo cosmo, si deprime ma ha paura di fare un passo, anche perche' e' convinto che non serva a nulla. In fondo anch'io non sono molto diversa: sto tentando di fare qualcosa ma intanto mi chiedo come sopravvivere individualmente in una societa' che ha perso ogni senso di giustizia. Abbiamo un bisogno enorme di qualche notizia positiva che ci ridia la carica verso la societa' e ci faccia uscire dal nostro piccolo mondo. CHiedo agli altri: sbaglio con questa analisi? Perdiamo prima di aver provato a reagire?
Laura
2010/10/9 Marco Vianello marcov@math.unipd.it
cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita', con uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
- la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari,
sta sostanzialmente alla finestra a guardare
- la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e'
ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
-- ---------------------
Dr. Enrico Alleva Director, Section of Behavioural Neurosciences Dipartimento di Biologia cellulare e Neuroscienze Istituto Superiore di Sanità Viale Regina Elena, 299 I-00161 Rome, Italy (block 19, floor 3, room 2)
President, Italian Society for the Study of Animal Behaviour (Società Italiana di Etologia) http://w3.uniroma1.it/sie/
Tel.: +39-06-4990-2352/3179 Fax: +39-06-4957821 e-mail: alleva@iss.it
visit our new "applied ethology" site!! (in Italian & English) http://www.iss.it/neco/
=================================================================================== L'Istituto Superiore di Sanità (ISS) è tra i beneficiari dei proventi del 5 per mille dell'IRPEF. Nella scheda allegata alla dichiarazione dei redditi è sufficiente apporre la propria firma nel riquadro "Finanziamento della Ricerca Sanitaria" e indicare il Codice Fiscale dell'ISS, che è 80211730587, per destinare tali fondi a sostegno dell'impegno scientifico dell'ISS a difesa della salute di tutti. ===================================================================================
Cara Laura, caro Marco, le vostre osservazioni sulle 60 dimissioni mi sembrano molto giuste. Però, come pensionato ormai ottantenne credo di poter giudicare la situazione "dal di fuori", e penso che 60 oppure 600 sia la stessa cosa. Voglio dire, che per me è un fatto molto importante che ci siano persone attive nell'Università, che assumono una posizione di dissenso e protesta, in una forma civile ma ferma. Il numero, secondo me, non è essenziale: teniamo presente che le idee forti sono state sempre generate da piccole minoranze. Così è stato quando negli anni '30 alcuni, pochi, professori universitari hanno rifiutato di aderire al fascismo: erano una decina o poco più, ma è stato un esempio forte. Nei processi biologici, poche cellule di lieviti possono avviare la trasformazione di tutto il sistema. Io mi sento molto grato ai 60 colleghi. Da loro viene una prova che anche nell'Università esistono anticorpi. Cerchiamo invece di pensare, se anche gli universitari in pensione possano fare qualcosa.
Sandro Pignatti emerito di ecologia Roma - Sapienza
Il giorno 09 ottobre 2010 20:29, Marco Vianello marcov@math.unipd.it ha scritto:
cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita', con uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
- la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari,
sta sostanzialmente alla finestra a guardare
- la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e'
ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
cari colleghi, il problema di fondo è che in generale queste iniziative le fanno le organizzazioni sindacali.
Credo che ad esempio la Magistratura, che è fortemente sindacalizzata, si sia mossa subito per proteggere i propri interessi.
Noi professori universitari, per una lunga storia e tradizione, abbiamo sempre avuto la idea di essere degli individui totalmente autonomi che ci gestiamo il nostro tempo, i nostri corsi, i nostri esami un po come ci pare, con tutte le storture che questo comporta.
In compenso quindi non esistiamo come categorie politiche se non come piccoli o grossi gruppi di potere accademico.
Un tempo questo era compensato da una forte presenza di professori universitari in parlamento.
Non è un caso che la cosa che preoccupa di piu molti colleghi è un consiglio di amministrazione che possa in qualche modo controllarci.
Nella nostra iniziativa avevamo cercato di individuare anche alcune di queste storture corporative ma la realtà è che è difficile che una corporazione si autoriformi e quindi saremo riformati dall'esterno.
Questo con tutti i difetti che una tale operazione potrà comportare.
Ora a me sembra che il ddl Gelimini non sia questa grande rivoluzione, razionalizza alcune cose e ne complica delle altre. Il vero punto interrogativo è sulle risorse e quindi sulla dinamica futura delle carriere, del passaggio dei ricercatori ad associati, dei nuovi posti, del diritto allo studio insomma della quota del PIL dedicata alla Università e ricerca.
Quindi è proprio sulle strategie a medio e lungo termine che si gioca la partita, su quali risorse metterà in campo il governo su quale debba essere la situazione a regime etc.. Temo però che, ad una classe politica che vive alla giornata fra risse e dossier o tutta presa a fare cassa, sia difficile chiedere una visione di lungo termine.
Purtroppo qui si vede tutta la inadeguatezza del mondo accademico, a cominciare dai rettori e dai presidi che si accontentano di un piatto di lenticchie pur di far funzionare la baracca senza porsi il problema del domani.
Il quale domani potrebbe essere molto traumatico se resteranno migliaia di ricercatori bloccati in una classe ad esaurimento e moltissimi giovani altamente qualificati senza alcuna prospettiva e se si blocca l'ascensore sociale come sta drammaticamente succedendo.
claudio
Cari colleghi,
mi associo all'indignazione di Claudio Procesi per gli esiti (ormai agli sgoccioli) di questa tormentata riforma. Nel 2004-2005, sono stato personalmente in prima linea insieme a tantissimi colleghi contro il tentativo della Moratti di introdurre forme di assunzione con contratti di diritto privato (3+3) prima dell'immissione in ruolo da associato o da ordinario. Era un attentato chiaro alle regole elementari della tenure track, della academic freedom, e così via.
Ora ci risiamo con la Gelmini. Anche questa volta la strategia è ancora una volta giustificata dalla logica del libero mercato introdotta anche nell'higher education, a tale riguardo vi invito caldamente a leggervi l'articolo Academic Bankruptcy sul New York Times http://www.nytimes.com/2010/08/15/opinion/15taylor.html. Quindi, su definanzia l'università pubblica, si liberano risorse per destinarle a centri di ricerca, università pseudo-private gestite dall'alto. Questo è già accaduto e sta accadendo sotto i nostri occhi. Guardate come si distribuiscono i fondi IIT all'esterno. E' un valzer di amicizie, occorre farsi accreditare da circoli di colleghi che is autodefiniscono l'eccellenza dell'accademia. Si sono per caso affidati a dei processi di peer review seri come accade per i progetti US NSF? Questi ultimi li conosco personalmente perchè ne sono coinvolto e vi giuro che, per ottenere finanziamenti anche cospicui, non ho chiesto il favore di amici!
Guardate cosa hanno combinato con il PRIN 2008. Gli esiti sono arrivati nel 2010, il progetto è stato nominalmente aperto a livello MIUR a marzo 2010 con chiusura a marzo 2012. La lattera di assegnazione del cofinanziamento è arrivata alla mia Università a giugno 2010 mentre il mio dipartimento ha ricevuto una lettera ufficiale qualche settimana fa dall'ufficio ricerca della Sapienza. I fondi tuttavia non sono stati ancora accreditati! E' serio tutto questo, è seria questa gestiione da parte del caro Ministero che vuole la meritocrazia, le università "virtuose" e che ha una burocrazia mastodontica per sovraintendere a queste cose? E che dire delle commissioni ministeriali che litigano per spartirsi le briciole passate dal MIUR e portano alle caldende greche le conclusioni delle valutazioni dei progetti di vario genere? L'ennesimo caso è relativo al programma rientro dei cervelli, per il quale le valutazioni erano previste a maggio-giugno. Ancora nulla, la partita non si concluderà facilmente perchè è scontro tra settori disciplinari e ad altissimi livelli.
Scusate la lunga digressione. Per tornare al tema centrale, si può pensare che un sistema possa funzionare in modo razionale prevedendo una immissione massiccia di persone in un ruolo (9000 posti da associato), e bloccando di fatto le progressioni di tutti gli altri per anni?
Come aveva detto Claudio Procesi qualche tempo fa, si inaugureranno lotte intestine, o si inaspriranno conflittualità già esistenti, dividendo i settori, le persone, facendo in ultima analisi perdere il senso di marcia. Lo sappiamo tutti che invece occorrerebbe uno scatto d'orgoglio collettivo della categoria dei professori e ricercatori per uscire da questo tunnel, la ricerca scienitfica richiede molta serietà, rigore, serenità interiore, ed un sano clima di competizione intellettuale. Cosa sarà di tutto questo?
Continuo ad evere fiducia nel fatto che preverrà il buon senso di tutti per porre dei rimedi alla deriva del sistema universitario pubblico, lucidamante programmata, come è accaduto in altri momenti storici.
Noi continueremo comunque le nostre mobilitazioni ad Ingegneria che si protrarranno per tutta la settimana entrante.
Walter Lacarbonara
Il giorno Oct 10, 2010, alle ore 10:27 AM, claudio procesi ha scritto:
cari colleghi, il problema di fondo è che in generale queste iniziative le fanno le organizzazioni sindacali.
Credo che ad esempio la Magistratura, che è fortemente sindacalizzata, si sia mossa subito per proteggere i propri interessi.
Noi professori universitari, per una lunga storia e tradizione, abbiamo sempre avuto la idea di essere degli individui totalmente autonomi che ci gestiamo il nostro tempo, i nostri corsi, i nostri esami un po come ci pare, con tutte le storture che questo comporta.
In compenso quindi non esistiamo come categorie politiche se non come piccoli o grossi gruppi di potere accademico.
Un tempo questo era compensato da una forte presenza di professori universitari in parlamento.
Non è un caso che la cosa che preoccupa di piu molti colleghi è un consiglio di amministrazione che possa in qualche modo controllarci.
Nella nostra iniziativa avevamo cercato di individuare anche alcune di queste storture corporative ma la realtà è che è difficile che una corporazione si autoriformi e quindi saremo riformati dall'esterno.
Questo con tutti i difetti che una tale operazione potrà comportare.
Ora a me sembra che il ddl Gelimini non sia questa grande rivoluzione, razionalizza alcune cose e ne complica delle altre. Il vero punto interrogativo è sulle risorse e quindi sulla dinamica futura delle carriere, del passaggio dei ricercatori ad associati, dei nuovi posti, del diritto allo studio insomma della quota del PIL dedicata alla Università e ricerca.
Quindi è proprio sulle strategie a medio e lungo termine che si gioca la partita, su quali risorse metterà in campo il governo su quale debba essere la situazione a regime etc.. Temo però che, ad una classe politica che vive alla giornata fra risse e dossier o tutta presa a fare cassa, sia difficile chiedere una visione di lungo termine.
Purtroppo qui si vede tutta la inadeguatezza del mondo accademico, a cominciare dai rettori e dai presidi che si accontentano di un piatto di lenticchie pur di far funzionare la baracca senza porsi il problema del domani.
Il quale domani potrebbe essere molto traumatico se resteranno migliaia di ricercatori bloccati in una classe ad esaurimento e moltissimi giovani altamente qualificati senza alcuna prospettiva e se si blocca l'ascensore sociale come sta drammaticamente succedendo.
claudio
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
__________________________________________________ DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
Cari amici,
fatemi dire prima di tutto che quando alcuni colleghi mi hanno segnalato a suo tempo questa iniziativa, ho esitato un po' ad aderire, soprattutto per l'impegno a dimettersi dalle cariche accademiche, convincendomi poi a farlo lo stesso solo perché in questo periodo non rivesto alcuna carica da cui dimettermi... La mia perplessità, corroborata ora dalle ultime discussioni che si sono sviluppate in questo forum, derivava soprattutto dall'esperienza fatta due anni fa, come presidente del Consiglio di area didattica di Fisica, quando la precedente agitazione dei ricercatori aveva messo in forse lo svolgimento dell'anno accademico con forme di lotta molto simili a quelle attuali. TUTTI i presidenti in carica dei consigli di area didattica della Facoltà di Scienze della Sapienza, me compreso, si erano dimessi per protesta contro lo stato dell'Università pubblica. Il preside accolse oralmente le nostre dimissioni scritte, ricordandoci peraltro che eravamo tenuti a portare avanti tutti gli atti di ordinaria gestione dei consigli (ossia tutto, perché non è che nei consigli si faccia molto altro oltre a gestire l'ordinaria amministrazione). Nessun altro seguito ebbe la nostra iniziativa, ed io ho completato l'anno dopo il mio mandato alla sua scadenza naturale, avvicendandomi con un collega, senza che nessuno si sia preso la briga di prendere atto in qualche modo della nostra protesta.
A questo punto, tuttavia, più che le modalità della attuale protesta, sono sempre più perplesso dalla apparente confusione sugli obiettivi: credo che se non sono chiari gli obiettivi di una lotta, le possibilità di portarla avanti con qualche speranza di successo siano praticamente pari a zero.
L'eco, peraltro non molto sonoro, che giunge all'opinione pubblica e agli studenti, sembra indicare che l'obiettivo della protesta del mondo universitario sia il ddl Gelmini sull'Università. Ora non c'è dubbio che il traino della protesta sia costituito da alcune organizzazioni dei ricercatori, e che le loro rivendicazioni, che io giudico assolutamente legittime ma al tempo stesso piuttosto corporative, abbiano come obiettivo il ddl Gelmini ed in particolare il trattamento in esso riservato agli attuali ricercatori a tempo indeterminato.
Ma il resto dell'Università? dovremo forse pensare che se cade il ddl Gelmini (come per qualche momento è sembrato possibile nei giorni scorsi con la sua calendarizzazione) abbiamo vinto la nostra battaglia e possiamo tornare contenti alle nostre solite occupazioni?
Io condivido pienamente quanto dice Procesi, "il ddl Gelmini non è questa grande rivoluzione" ma, aggiungo, non è neanche questo gran danno, e forse a questo punto sarebbe ancora più dannoso il suo affossamento. "Il vero punto è sulle risorse... insomma della quota del PIL dedicata alla Università e ricerca" Io credo che dovremmo avere il coraggio di dire che qualunque ministro o governo che accettasse di mettere sul piatto un sostanziale aumento di queste risorse rispetto al passato (non già una parziale riduzione dei tagli, il "piatto di lenticchie" che chiedono i rettori ed altri soggetti in questi giorni) potrebbe avere carta bianca su governance, carriere, stato giuridico e obblighi per i docenti. Perché il vero obiettivo dei nemici dell'Università pubblica, mascherato dietro l'efficientismo aziendalistico, la meritocrazia, la competizione, ecc., è quello di strangolare il sistema dell'istruzione e della ricerca pubblica attraverso la continua riduzione dei fondi. E questo obbiettivo a me pare sempre più pericolosamente vicino!
E allora, si può fare qualcosa? All'inizio dell'estate io avevo avanzato una proposta alla mia facoltà, con la speranza che potesse essere fatta propria almeno da tutte le facoltà di Scienze: da una parte dichiarare che tutti i corsi della facoltà sarebbero partiti in regola con tutto il corpo docente impegnato a farsi carico al completo della nostra variegata offerta didattica, dall'altra compilare la tabelle informatiche che il ministero utilizza per l'accreditamento dei corsi basandosi esclusivamente sugli obblighi minimi di legge (un solo corso per associati ed ordinari, nessuno per i ricercatori) In questo modo nessun corso della nostra Facoltà avrebbe soddisfatto i requisiti minimi, e a questo punto stava al ministro la responsabilità di dichiarare non validi alcuni dei più prestigiosi corsi della nostra disastrata ma non ancora smantellata Università, o, in alternativa riconoscere che l'insieme delle normative (tutte di responsabilità politica, purtroppo di vario colore) che regolano i corsi unversitari e gli obblighi dei docenti costituisce ormai una maionese impazzita. La mia proposta, a parte la scontata opposizione dei ricercatori organizzati, è caduta nel vuoto ed il risultato è che attualmente tutti i corsi della Facoltà di Scienze della Sapienza sono stati rimandati di tre settimane, nella speranza che dal primo al 18 ottobre qualche miracolo (che nessuno però è in grado nemmeno di profetare) permetta di far partire l'anno accademico con un minimo di regolarità.
Ora si prospetta però un'altra occasione: il ministro (forse approfittando dello stato di confusione generale in cui versa il mondo universitario) ha pensato bene di emanare il DM 17, che rende operativa la famigerata circolare 160. Questo decreto, introducendo una nuova serie di cervellotici requisiti sulla struttura dei corsi di laurea, concepito come tutti i precedenti nel chiuso delle stanze del ministero, senza consultare (o peggio ignorando i pareri espressi, vedi sotto) le parti interessate, costringe a mettere mano ancora una volta agli ordinamenti, che in alcuni casi sarebbero stravolti, e cosituirebbe probabilmente il colpo di grazia ad un sistema ormai alle corde.
Una volta tanto il CUN ha reagito con prontezza e durezza, vedi http://www.cun.it/media/105926/mo_2010_10_06.pdf ribadendo il parere estremamente negativo già espresso sulla circolare 160.
Potremo cogliere l'occasione per opporci con forza a questa ulteriore vessazione, chiedendo a tutti i colleghi investiti di qualche responsabilità, dai rettori ai presidi ai presidenti dei consigli didattici, dimissionari o meno ;-), di rifutarsi pubblicamente di applicare il nuovo DM. Anche in questo caso, si tratterebbe di rilanciare al ministro la responsabilità di negare, in maniera indiscriminata, l'accreditamento a centinaia di corsi di laurea o risolversi una buona volta a mettersi all'ascolto di tutti gli stakeholders, tra i quali spero metterà anche noi docenti e non solo l'ufficio-studi di Confindustria (non lo farà, ma attenzione, nel caso dovremmo prepararci a dire "sì, sì, no, no, che il di più viene dal maligno")
Scusandomi per questa lunga esternazione, saluto tutti caramente.
Egidio Longo ____________________________________
Dipartimento di Fisica - Sapienza Università di Roma P.le A. Moro 2, 00185 Roma (Italy) Tel. +39 06 49914084
cari amici io concordo con le analisi di Longo ma al momento la mia analisi e` la seguente. Noi non contiamo nulla se trattiamo direttamente con i politici, per loro valgono puri rapporti di forza e noi di forza ne abbiamo zero.
Per questo di fronte alla mobilitazione dei ricercatori sono disposti a fare qualche concessione (peraltro al momento mi paiono solo vaghe promesse).
Forse un minimo di contrattazione con i nostri rettori la potremmo avere se agissimo in modo unitario.
Io ho perso la bussola e non ho piu` seguito il ddl nei suoi vari passi anche perche' il veleno spesso e` nei dettagli o nelle parti che vengono lasciate a future circolari. Certo che trovo folle mettere ad esaurimento i ricercatori e poi iniziare uno stillicidio di idoneita` che creeranno una lotta intestina fra gruppi, fra ricercatori e precari associati etc..
Comunque quando ho visto Berlusconi al Cepu ho capito che per noi e` la fine.
claudio
On Oct 10, 2010, at 7:18 PM, Egidio Longo wrote:
Cari amici,
fatemi dire prima di tutto che quando alcuni colleghi mi hanno segnalato a suo tempo questa iniziativa, ho esitato un po' ad aderire, soprattutto per l'impegno a dimettersi dalle cariche accademiche, convincendomi poi a farlo lo stesso solo perché in questo periodo non rivesto alcuna carica da cui dimettermi... La mia perplessità, corroborata ora dalle ultime discussioni che si sono sviluppate in questo forum, derivava soprattutto dall'esperienza fatta due anni fa, come presidente del Consiglio di area didattica di Fisica, quando la precedente agitazione dei ricercatori aveva messo in forse lo svolgimento dell'anno accademico con forme di lotta molto simili a quelle attuali. TUTTI i presidenti in carica dei consigli di area didattica della Facoltà di Scienze della Sapienza, me compreso, si erano dimessi per protesta contro lo stato dell'Università pubblica. Il preside accolse oralmente le nostre dimissioni scritte, ricordandoci peraltro che eravamo tenuti a portare avanti tutti gli atti di ordinaria gestione dei consigli (ossia tutto, perché non è che nei consigli si faccia molto altro oltre a gestire l'ordinaria amministrazione). Nessun altro seguito ebbe la nostra iniziativa, ed io ho completato l'anno dopo il mio mandato alla sua scadenza naturale, avvicendandomi con un collega, senza che nessuno si sia preso la briga di prendere atto in qualche modo della nostra protesta.
A questo punto, tuttavia, più che le modalità della attuale protesta, sono sempre più perplesso dalla apparente confusione sugli obiettivi: credo che se non sono chiari gli obiettivi di una lotta, le possibilità di portarla avanti con qualche speranza di successo siano praticamente pari a zero.
L'eco, peraltro non molto sonoro, che giunge all'opinione pubblica e agli studenti, sembra indicare che l'obiettivo della protesta del mondo universitario sia il ddl Gelmini sull'Università. Ora non c'è dubbio che il traino della protesta sia costituito da alcune organizzazioni dei ricercatori, e che le loro rivendicazioni, che io giudico assolutamente legittime ma al tempo stesso piuttosto corporative, abbiano come obiettivo il ddl Gelmini ed in particolare il trattamento in esso riservato agli attuali ricercatori a tempo indeterminato.
Ma il resto dell'Università? dovremo forse pensare che se cade il ddl Gelmini (come per qualche momento è sembrato possibile nei giorni scorsi con la sua calendarizzazione) abbiamo vinto la nostra battaglia e possiamo tornare contenti alle nostre solite occupazioni?
Io condivido pienamente quanto dice Procesi, "il ddl Gelmini non è questa grande rivoluzione" ma, aggiungo, non è neanche questo gran danno, e forse a questo punto sarebbe ancora più dannoso il suo affossamento. "Il vero punto è sulle risorse... insomma della quota del PIL dedicata alla Università e ricerca" Io credo che dovremmo avere il coraggio di dire che qualunque ministro o governo che accettasse di mettere sul piatto un sostanziale aumento di queste risorse rispetto al passato (non già una parziale riduzione dei tagli, il "piatto di lenticchie" che chiedono i rettori ed altri soggetti in questi giorni) potrebbe avere carta bianca su governance, carriere, stato giuridico e obblighi per i docenti. Perché il vero obiettivo dei nemici dell'Università pubblica, mascherato dietro l'efficientismo aziendalistico, la meritocrazia, la competizione, ecc., è quello di strangolare il sistema dell'istruzione e della ricerca pubblica attraverso la continua riduzione dei fondi. E questo obbiettivo a me pare sempre più pericolosamente vicino!
E allora, si può fare qualcosa? All'inizio dell'estate io avevo avanzato una proposta alla mia facoltà, con la speranza che potesse essere fatta propria almeno da tutte le facoltà di Scienze: da una parte dichiarare che tutti i corsi della facoltà sarebbero partiti in regola con tutto il corpo docente impegnato a farsi carico al completo della nostra variegata offerta didattica, dall'altra compilare la tabelle informatiche che il ministero utilizza per l'accreditamento dei corsi basandosi esclusivamente sugli obblighi minimi di legge (un solo corso per associati ed ordinari, nessuno per i ricercatori) In questo modo nessun corso della nostra Facoltà avrebbe soddisfatto i requisiti minimi, e a questo punto stava al ministro la responsabilità di dichiarare non validi alcuni dei più prestigiosi corsi della nostra disastrata ma non ancora smantellata Università, o, in alternativa riconoscere che l'insieme delle normative (tutte di responsabilità politica, purtroppo di vario colore) che regolano i corsi unversitari e gli obblighi dei docenti costituisce ormai una maionese impazzita. La mia proposta, a parte la scontata opposizione dei ricercatori organizzati, è caduta nel vuoto ed il risultato è che attualmente tutti i corsi della Facoltà di Scienze della Sapienza sono stati rimandati di tre settimane, nella speranza che dal primo al 18 ottobre qualche miracolo (che nessuno però è in grado nemmeno di profetare) permetta di far partire l'anno accademico con un minimo di regolarità.
Ora si prospetta però un'altra occasione: il ministro (forse approfittando dello stato di confusione generale in cui versa il mondo universitario) ha pensato bene di emanare il DM 17, che rende operativa la famigerata circolare 160. Questo decreto, introducendo una nuova serie di cervellotici requisiti sulla struttura dei corsi di laurea, concepito come tutti i precedenti nel chiuso delle stanze del ministero, senza consultare (o peggio ignorando i pareri espressi, vedi sotto) le parti interessate, costringe a mettere mano ancora una volta agli ordinamenti, che in alcuni casi sarebbero stravolti, e cosituirebbe probabilmente il colpo di grazia ad un sistema ormai alle corde.
Una volta tanto il CUN ha reagito con prontezza e durezza, vedi http://www.cun.it/media/105926/mo_2010_10_06.pdf ribadendo il parere estremamente negativo già espresso sulla circolare 160.
Potremo cogliere l'occasione per opporci con forza a questa ulteriore vessazione, chiedendo a tutti i colleghi investiti di qualche responsabilità, dai rettori ai presidi ai presidenti dei consigli didattici, dimissionari o meno ;-), di rifutarsi pubblicamente di applicare il nuovo DM. Anche in questo caso, si tratterebbe di rilanciare al ministro la responsabilità di negare, in maniera indiscriminata, l'accreditamento a centinaia di corsi di laurea o risolversi una buona volta a mettersi all'ascolto di tutti gli stakeholders, tra i quali spero metterà anche noi docenti e non solo l'ufficio-studi di Confindustria (non lo farà, ma attenzione, nel caso dovremmo prepararci a dire "sì, sì, no, no, che il di più viene dal maligno")
Scusandomi per questa lunga esternazione, saluto tutti caramente.
Egidio Longo ____________________________________
Dipartimento di Fisica - Sapienza Università di Roma P.le A. Moro 2, 00185 Roma (Italy) Tel. +39 06 49914084
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Claudio Procesi, Dipartimento di Matematica, G. Castelnuovo Università di Roma La Sapienza, piazzale A. Moro 00185, Roma, Italia
tel. 0039-06-49913212, fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/
2010/10/10 claudio procesi procesi@mat.uniroma1.it
cari amici io concordo con le analisi di Longo ma al momento la mia analisi e` la seguente. Noi non contiamo nulla se trattiamo direttamente con i politici, per loro valgono puri rapporti di forza e noi di forza ne abbiamo zero.
Per questo di fronte alla mobilitazione dei ricercatori sono disposti a fare qualche concessione (peraltro al momento mi paiono solo vaghe promesse).
Forse un minimo di contrattazione con i nostri rettori la potremmo avere se agissimo in modo unitario.
Io ho perso la bussola e non ho piu` seguito il ddl nei suoi vari passi anche perche' il veleno spesso e` nei dettagli o nelle parti che vengono lasciate a future circolari. Certo che trovo folle mettere ad esaurimento i ricercatori e poi iniziare uno stillicidio di idoneita` che creeranno una lotta intestina fra gruppi, fra ricercatori e precari associati etc..
Comunque quando ho visto Berlusconi al Cepu ho capito che per noi e` la fine.
claudio
On Oct 10, 2010, at 7:18 PM, Egidio Longo wrote:
Cari amici,
fatemi dire prima di tutto che quando alcuni colleghi mi hanno segnalato
a suo tempo
questa iniziativa, ho esitato un po' ad aderire, soprattutto per
l'impegno a dimettersi
dalle cariche accademiche, convincendomi poi a farlo lo stesso solo
perché in questo
periodo non rivesto alcuna carica da cui dimettermi... La mia perplessità, corroborata ora dalle ultime discussioni che si sono
sviluppate
in questo forum, derivava soprattutto dall'esperienza fatta due anni fa,
come presidente
del Consiglio di area didattica di Fisica, quando la precedente
agitazione dei ricercatori aveva
messo in forse lo svolgimento dell'anno accademico con forme di lotta
molto simili a quelle attuali.
TUTTI i presidenti in carica dei consigli di area didattica della Facoltà
di Scienze della Sapienza,
me compreso, si erano dimessi per protesta contro lo stato
dell'Università pubblica.
Il preside accolse oralmente le nostre dimissioni scritte, ricordandoci
peraltro che eravamo tenuti
a portare avanti tutti gli atti di ordinaria gestione dei consigli (ossia
tutto, perché non è che nei
consigli si faccia molto altro oltre a gestire l'ordinaria
amministrazione).
Nessun altro seguito ebbe la nostra iniziativa, ed io ho completato
l'anno dopo il mio mandato
alla sua scadenza naturale, avvicendandomi con un collega, senza che
nessuno si sia preso
la briga di prendere atto in qualche modo della nostra protesta.
A questo punto, tuttavia, più che le modalità della attuale protesta,
sono sempre più perplesso
dalla apparente confusione sugli obiettivi: credo che se non sono chiari
gli obiettivi di una lotta,
le possibilità di portarla avanti con qualche speranza di successo siano
praticamente pari a zero.
L'eco, peraltro non molto sonoro, che giunge all'opinione pubblica e agli
studenti, sembra indicare
che l'obiettivo della protesta del mondo universitario sia il ddl Gelmini
sull'Università.
Ora non c'è dubbio che il traino della protesta sia costituito da alcune
organizzazioni dei ricercatori,
e che le loro rivendicazioni, che io giudico assolutamente legittime ma
al tempo stesso piuttosto
corporative, abbiano come obiettivo il ddl Gelmini ed in particolare il
trattamento in esso riservato
agli attuali ricercatori a tempo indeterminato.
Ma il resto dell'Università? dovremo forse pensare che se cade il ddl
Gelmini
(come per qualche momento è sembrato possibile nei giorni scorsi con la
sua calendarizzazione)
abbiamo vinto la nostra battaglia e possiamo tornare contenti alle nostre
solite occupazioni?
Io condivido pienamente quanto dice Procesi, "il ddl Gelmini non è questa
grande rivoluzione"
ma, aggiungo, non è neanche questo gran danno, e forse a questo punto
sarebbe ancora
più dannoso il suo affossamento. "Il vero punto è sulle risorse... insomma della quota del PIL dedicata
alla Università e ricerca"
Io credo che dovremmo avere il coraggio di dire che qualunque ministro o
governo che
accettasse di mettere sul piatto un sostanziale aumento di queste risorse
rispetto al passato
(non già una parziale riduzione dei tagli, il "piatto di lenticchie" che
chiedono i rettori ed altri soggetti
in questi giorni) potrebbe avere carta bianca su governance, carriere,
stato giuridico e obblighi
per i docenti. Perché il vero obiettivo dei nemici dell'Università
pubblica, mascherato
dietro l'efficientismo aziendalistico, la meritocrazia, la competizione,
ecc., è quello di strangolare
il sistema dell'istruzione e della ricerca pubblica attraverso la
continua riduzione dei fondi.
E questo obbiettivo a me pare sempre più pericolosamente vicino!
E allora, si può fare qualcosa? All'inizio dell'estate io avevo avanzato una proposta alla mia facoltà,
con la speranza che potesse
essere fatta propria almeno da tutte le facoltà di Scienze: da una parte
dichiarare che tutti i corsi
della facoltà sarebbero partiti in regola con tutto il corpo docente
impegnato a farsi carico
al completo della nostra variegata offerta didattica, dall'altra
compilare la tabelle
informatiche che il ministero utilizza per l'accreditamento dei corsi
basandosi esclusivamente
sugli obblighi minimi di legge (un solo corso per associati ed ordinari,
nessuno per i ricercatori)
In questo modo nessun corso della nostra Facoltà avrebbe soddisfatto i
requisiti minimi,
e a questo punto stava al ministro la responsabilità di dichiarare non
validi alcuni dei più
prestigiosi corsi della nostra disastrata ma non ancora smantellata
Università, o, in alternativa
riconoscere che l'insieme delle normative (tutte di responsabilità
politica, purtroppo di vario colore)
che regolano i corsi unversitari e gli obblighi dei docenti costituisce
ormai una maionese impazzita.
La mia proposta, a parte la scontata opposizione dei ricercatori
organizzati, è caduta nel vuoto
ed il risultato è che attualmente tutti i corsi della Facoltà di Scienze
della Sapienza sono stati
rimandati di tre settimane, nella speranza che dal primo al 18 ottobre
qualche miracolo
(che nessuno però è in grado nemmeno di profetare) permetta di far
partire l'anno accademico
con un minimo di regolarità.
Ora si prospetta però un'altra occasione: il ministro (forse
approfittando dello stato di confusione
generale in cui versa il mondo universitario) ha pensato bene di emanare
il DM 17, che rende operativa
la famigerata circolare 160. Questo decreto, introducendo una nuova serie di cervellotici requisiti
sulla struttura dei corsi di laurea,
concepito come tutti i precedenti nel chiuso delle stanze del ministero,
senza consultare
(o peggio ignorando i pareri espressi, vedi sotto) le parti interessate, costringe a mettere mano ancora una volta agli ordinamenti, che in alcuni
casi sarebbero stravolti,
e cosituirebbe probabilmente il colpo di grazia ad un sistema ormai alle
corde.
Una volta tanto il CUN ha reagito con prontezza e durezza, vedi http://www.cun.it/media/105926/mo_2010_10_06.pdf ribadendo il parere estremamente negativo già espresso sulla circolare
Potremo cogliere l'occasione per opporci con forza a questa ulteriore
vessazione,
chiedendo a tutti i colleghi investiti di qualche responsabilità, dai
rettori ai presidi
ai presidenti dei consigli didattici, dimissionari o meno ;-), di
rifutarsi pubblicamente di
applicare il nuovo DM. Anche in questo caso, si tratterebbe di rilanciare al ministro la
responsabilità di negare,
in maniera indiscriminata, l'accreditamento a centinaia di corsi di
laurea o risolversi una buona volta
a mettersi all'ascolto di tutti gli stakeholders, tra i quali spero
metterà anche noi docenti
e non solo l'ufficio-studi di Confindustria (non lo farà, ma attenzione, nel caso dovremmo prepararci a dire "sì, sì,
no, no, che il di più viene dal maligno")
Scusandomi per questa lunga esternazione, saluto tutti caramente.
Egidio Longo ____________________________________
Dipartimento di Fisica - Sapienza Università di Roma P.le A. Moro 2, 00185 Roma (Italy) Tel. +39 06 49914084
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie
impostazioni:
https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas
Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Claudio Procesi, Dipartimento di Matematica, G. Castelnuovo Università di Roma La Sapienza, piazzale A. Moro 00185, Roma, Italia
tel. 0039-06-49913212, fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/http://www.mat.uniroma1.it/%7Eprocesi/
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Ho letto un po' di messaggi in sequenza (ero rimasta indietro) e sono sempre più depressa.
Concordo che le risorse sono forse la cosa più importante/urgente: stiamo per morire strangolati, se non allentano il cappio non c'è nulla da fare.
Però vorrei segnalare che il ddl gelmini è letale, decisamente letale. A parte altre questioni (importanti ma che tralascio): 500 norme e codicilli soffocheranno l'università di burovcrazia: passeremo ANNI a stendere regolamenti & Co, non resterà tempo per nient'altro anche perchè saremo a ranghi ridottissimi. Inoltre c'è un rischio enorme: la legge è piena di deleghe al governo: Se la legge passa e il governo cade (ma forse anche se non cade, visti i tempi del ministero, vedi vicenda PRIN2008) ci troveremo in una situazione di vuoto normativo assolutamente paralizzante. Non è una riforma epocale è semplicemente una riforma distruttiva.
Mi riempie di orgoglio essere paragonata ai 12 che durante il regime fascista hanno detto di no al giuramento di fedeltà al regime. Però devo ammettere che ho solo rassegnato le dimissioni da coordinatrice di dottorato, mentre i 12 hanno perso il posto di lavoro. Da questo punto di vista forse mi sarei aspettata che il numero di docenti disposti a rassegnare le dimissioni fosse un po' più alto. Comunque: venir fuori sarebbe molto importante perchè la protesta non resti la protesta dei ricercatori, ma occorre trovare la forma opportuna. Forse si potrebbe tentare un lancio sulla stampa in cui esplicitamente si chiedono altre adesioni.
L'osservazione di Walter Lacarbonara:
Quindi, su definanzia l'università pubblica, si liberano risorse per destinarle a centri di ricerca, università pseudo-private gestite dall'alto.
è drammaticamente corretta. e risuona (nella mia mente almeno) con il richiamo ai 12 del regime fascista. Il regime infatti definanziò l'allora giovane ed efficiente CNR, che, fondato da Vito Volterra, non era sufficientemente allineato nè tantomeno controllabile e dirottò i fondi sull'accademia d'Italia, controllata direttamente. Tutto si tiene.
Nei prossimi giorni si gioca la partita finale, bisogna cercare in tutti i modi di fare pressione/rumore. Quindi anche 70 prof che si dimettono da varie cariche accademiche sarà una briciola ma farà un poco di rumore. Spero che altri si uniscano o facciano rumore in altri modi (siamo un po' anarchici per natura) e spero che gli studenti facciano tanto chiasso.
saluti anna
Concordo pienamente con quanto scrive Egidio Longo sottolineando il parere del CUN sulle circolari ministeriali che sembrano scritte per rendere impossibile il funzionamento del sistema universitario
tutto ciò in contemporanea alle pesanti riduzioni delle risorse
I prossimi avvicendamenti nelle dirigenze MIUR porteranno qualche briciola di sensatezza nella redazione delle circolari?
Giovanni V. Pallottino Dept. of Physics, University La Sapienza, Rome, Italy
anche alla luce dell'esperienza recente, cercare di indirizzare il comportamento degli Atenei soltanto stabilendo vincoli numerici ha spesso prodotto un rispetto puramente formale delle regole e ha causato effetti distorsivi, opposti a quelli che i provvedimenti si proponevano, con grave danno per gli studenti e per il sistema." (Parere del 5 novembre 2009 n. 52).
----- Original Message ----- From: "Egidio Longo" egidio.longo@roma1.infn.it To: "Forum "Università e Ricerca"" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Cc: "carlo mariani" carlo.mariani@uniroma1.it; "Paolo ROSSI" paolo.rossi@df.unipi.it; "Fernando Ferroni" ferroni@roma1.infn.it; "paolo mataloni" Paolo.Mataloni@uniroma1.it; "Giancarlo Ruocco" giancarlo.ruocco@roma1.infn.it Sent: Sunday, October 10, 2010 7:18 PM Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] un mondo alla rovescia
Cari amici,
fatemi dire prima di tutto che quando alcuni colleghi mi hanno segnalato a suo tempo questa iniziativa, ho esitato un po' ad aderire, soprattutto per l'impegno a dimettersi dalle cariche accademiche, convincendomi poi a farlo lo stesso solo perché in questo periodo non rivesto alcuna carica da cui dimettermi... La mia perplessità, corroborata ora dalle ultime discussioni che si sono sviluppate in questo forum, derivava soprattutto dall'esperienza fatta due anni fa, come presidente del Consiglio di area didattica di Fisica, quando la precedente agitazione dei ricercatori aveva messo in forse lo svolgimento dell'anno accademico con forme di lotta molto simili a quelle attuali. TUTTI i presidenti in carica dei consigli di area didattica della Facoltà di Scienze della Sapienza, me compreso, si erano dimessi per protesta contro lo stato dell'Università pubblica. Il preside accolse oralmente le nostre dimissioni scritte, ricordandoci peraltro che eravamo tenuti a portare avanti tutti gli atti di ordinaria gestione dei consigli (ossia tutto, perché non è che nei consigli si faccia molto altro oltre a gestire l'ordinaria amministrazione). Nessun altro seguito ebbe la nostra iniziativa, ed io ho completato l'anno dopo il mio mandato alla sua scadenza naturale, avvicendandomi con un collega, senza che nessuno si sia preso la briga di prendere atto in qualche modo della nostra protesta.
A questo punto, tuttavia, più che le modalità della attuale protesta, sono sempre più perplesso dalla apparente confusione sugli obiettivi: credo che se non sono chiari gli obiettivi di una lotta, le possibilità di portarla avanti con qualche speranza di successo siano praticamente pari a zero.
L'eco, peraltro non molto sonoro, che giunge all'opinione pubblica e agli studenti, sembra indicare che l'obiettivo della protesta del mondo universitario sia il ddl Gelmini sull'Università. Ora non c'è dubbio che il traino della protesta sia costituito da alcune organizzazioni dei ricercatori, e che le loro rivendicazioni, che io giudico assolutamente legittime ma al tempo stesso piuttosto corporative, abbiano come obiettivo il ddl Gelmini ed in particolare il trattamento in esso riservato agli attuali ricercatori a tempo indeterminato.
Ma il resto dell'Università? dovremo forse pensare che se cade il ddl Gelmini (come per qualche momento è sembrato possibile nei giorni scorsi con la sua calendarizzazione) abbiamo vinto la nostra battaglia e possiamo tornare contenti alle nostre solite occupazioni?
Io condivido pienamente quanto dice Procesi, "il ddl Gelmini non è questa grande rivoluzione" ma, aggiungo, non è neanche questo gran danno, e forse a questo punto sarebbe ancora più dannoso il suo affossamento. "Il vero punto è sulle risorse... insomma della quota del PIL dedicata alla Università e ricerca" Io credo che dovremmo avere il coraggio di dire che qualunque ministro o governo che accettasse di mettere sul piatto un sostanziale aumento di queste risorse rispetto al passato (non già una parziale riduzione dei tagli, il "piatto di lenticchie" che chiedono i rettori ed altri soggetti in questi giorni) potrebbe avere carta bianca su governance, carriere, stato giuridico e obblighi per i docenti. Perché il vero obiettivo dei nemici dell'Università pubblica, mascherato dietro l'efficientismo aziendalistico, la meritocrazia, la competizione, ecc., è quello di strangolare il sistema dell'istruzione e della ricerca pubblica attraverso la continua riduzione dei fondi. E questo obbiettivo a me pare sempre più pericolosamente vicino!
E allora, si può fare qualcosa? All'inizio dell'estate io avevo avanzato una proposta alla mia facoltà, con la speranza che potesse essere fatta propria almeno da tutte le facoltà di Scienze: da una parte dichiarare che tutti i corsi della facoltà sarebbero partiti in regola con tutto il corpo docente impegnato a farsi carico al completo della nostra variegata offerta didattica, dall'altra compilare la tabelle informatiche che il ministero utilizza per l'accreditamento dei corsi basandosi esclusivamente sugli obblighi minimi di legge (un solo corso per associati ed ordinari, nessuno per i ricercatori) In questo modo nessun corso della nostra Facoltà avrebbe soddisfatto i requisiti minimi, e a questo punto stava al ministro la responsabilità di dichiarare non validi alcuni dei più prestigiosi corsi della nostra disastrata ma non ancora smantellata Università, o, in alternativa riconoscere che l'insieme delle normative (tutte di responsabilità politica, purtroppo di vario colore) che regolano i corsi unversitari e gli obblighi dei docenti costituisce ormai una maionese impazzita. La mia proposta, a parte la scontata opposizione dei ricercatori organizzati, è caduta nel vuoto ed il risultato è che attualmente tutti i corsi della Facoltà di Scienze della Sapienza sono stati rimandati di tre settimane, nella speranza che dal primo al 18 ottobre qualche miracolo (che nessuno però è in grado nemmeno di profetare) permetta di far partire l'anno accademico con un minimo di regolarità.
Ora si prospetta però un'altra occasione: il ministro (forse approfittando dello stato di confusione generale in cui versa il mondo universitario) ha pensato bene di emanare il DM 17, che rende operativa la famigerata circolare 160. Questo decreto, introducendo una nuova serie di cervellotici requisiti sulla struttura dei corsi di laurea, concepito come tutti i precedenti nel chiuso delle stanze del ministero, senza consultare (o peggio ignorando i pareri espressi, vedi sotto) le parti interessate, costringe a mettere mano ancora una volta agli ordinamenti, che in alcuni casi sarebbero stravolti, e cosituirebbe probabilmente il colpo di grazia ad un sistema ormai alle corde.
Una volta tanto il CUN ha reagito con prontezza e durezza, vedi http://www.cun.it/media/105926/mo_2010_10_06.pdf ribadendo il parere estremamente negativo già espresso sulla circolare 160.
Potremo cogliere l'occasione per opporci con forza a questa ulteriore vessazione, chiedendo a tutti i colleghi investiti di qualche responsabilità, dai rettori ai presidi ai presidenti dei consigli didattici, dimissionari o meno ;-), di rifutarsi pubblicamente di applicare il nuovo DM. Anche in questo caso, si tratterebbe di rilanciare al ministro la responsabilità di negare, in maniera indiscriminata, l'accreditamento a centinaia di corsi di laurea o risolversi una buona volta a mettersi all'ascolto di tutti gli stakeholders, tra i quali spero metterà anche noi docenti e non solo l'ufficio-studi di Confindustria (non lo farà, ma attenzione, nel caso dovremmo prepararci a dire "sì, sì, no, no, che il di più viene dal maligno")
Scusandomi per questa lunga esternazione, saluto tutti caramente.
Egidio Longo ____________________________________
Dipartimento di Fisica - Sapienza Università di Roma P.le A. Moro 2, 00185 Roma (Italy) Tel. +39 06 49914084
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Caro Pignatti, anch'io sono onorata dal paragone ma non credo siano cose comparabili. Il coraggio di chi non firmo' fedelta' al fascismo fu di ben altra dimensione e con ben prevedibili conseguenze personali. Cio' che mi scuote e' come oggi non si abbia voglia (non ci vuole certo coraggio) di compiere un gesto che a noi costa ben poco. Quanto agli anticorpi: beh, i 14 antifascisti furono degli eroi ma non mi sembra che i loro anticorpi siano serviti all'universita' nel 31. Possiamo immaginare come il gesto, di ben minore levatura, di 70 professori possa incidere sul futuro? Ci abbiamo provato e non ha funzionato, questo e' tutto.
Sulla tua domanda cosa possiamo fare? Informare, informare, informare. Fuori dal mondo universitario nessuno ha capito niente. Viene spacciata per una riforma fatta. In realta', non e' neanche una riforma, e' una diminuzione di risorse a livello di docenza, accompagnata da un tentativo di politicizzazione degli organi universitari. Diciamo chiaro che il problema principale sono i fondi: un precerio in un ambiente con molti fondi avra' il posto rinnovato, se vale. Senza fondi non rinnoveremmo il contratto neanche a Vito Volterra (tanto per citare un matemtico che non firmo' l'adesione al fascismo).
Cosa puo' fara un pensionato: la stessa cosa che fa ciascuno di noi: raccontare la verita'. Dire che il finanziamento delle ricerche relative agli anni 2008-09, e' stato reso noto a fine 2009 (tagliando la maggior parte delle domande), che i progetti sono ufficialmente partiti (secondo il ministero) nel marzo 2010 e che ad oggi i dipartimenti non hanno ricevuto un soldo. Naturalmente non si e' ancora potuta spendere una lira. Spiegare che senza materiale di consumo un biologo e un chimico possono restare a casa, non potendo lavorare mentre un matematico percera' tutti i suoi contatti internazionali.
Dobbiamo informare...raccontare al portinaio, al meccanico alla pettinatrice che un paese senza conoscenza e' un paese condannato alla poverta', forse non otterramo nulla ora ma gettiamo un semino, magari servira' alle elezioni.
Cos'altro dobbiamo fare: cercare di spingere l'interno all'autoriforma. Credo di essermi fatta molti nemici ma ogni volta che dobbiamo assumere qualcuno mi chiedo, e chiedo ai colleghi, stiamo spendendo bene i soldi pubblici? La persona che avremo qui per i prossimi 20-30 anni fara' quello che serve per il futuro dell'universita'? Sembrano ovvieta' ma, come vi dicevo, facendolo ci si fa molti nemici. Quanti di noi sono disposti a mettere in discussione scelte consolidate, tipo non si puo' dire di no a un collega che e' risultato idoneo, il tale settore non ah alcun bisogno di crescere e quest'altro (che non e' magari il mio) deve assolutamente crescere perche' la matematica senza questo non puo' svilupparsi? Se prendiamo coraggio, qui si ci vuole perche' si mettono in discussione le amicizie e i poteri consolidati, forse potremo autoriformarci. Qualunque sara' la riforma calata dall'alto, senza un'auto riforma condanniamo l'universita' al degrado..
Laura Sacerdote
2010/10/10 Sandro Pignatti sandro.pignatti@gmail.com
Cara Laura, caro Marco, le vostre osservazioni sulle 60 dimissioni mi sembrano molto giuste. Però, come pensionato ormai ottantenne credo di poter giudicare la situazione "dal di fuori", e penso che 60 oppure 600 sia la stessa cosa. Voglio dire, che per me è un fatto molto importante che ci siano persone attive nell'Università, che assumono una posizione di dissenso e protesta, in una forma civile ma ferma. Il numero, secondo me, non è essenziale: teniamo presente che le idee forti sono state sempre generate da piccole minoranze. Così è stato quando negli anni '30 alcuni, pochi, professori universitari hanno rifiutato di aderire al fascismo: erano una decina o poco più, ma è stato un esempio forte. Nei processi biologici, poche cellule di lieviti possono avviare la trasformazione di tutto il sistema. Io mi sento molto grato ai 60 colleghi. Da loro viene una prova che anche nell'Università esistono anticorpi. Cerchiamo invece di pensare, se anche gli universitari in pensione possano fare qualcosa.
Sandro Pignatti emerito di ecologia Roma - Sapienza
Il giorno 09 ottobre 2010 20:29, Marco Vianello marcov@math.unipd.it ha scritto:
cara Laura,
sono d'accordo, 60 dimissioni sono pochissime, fossero 600 si potrebbe cominciare a discutere ...
di fronte a tutto quello che sta accadendo, una delle cui conseguenze, non l'unica ma probabilmente la peggiore, sara' che verra' bruciata e lasciata senza prospettive un'intera generazione di ricercatori precari, formati fra l'altro a spese della colletivita', con uno lungo e distruttivo stallo nel ricambio generazionale,
qualcuno in questa lista che e' pittosto ampia e variegata sa darmi una possibile spiegazione, un'interpretazione, del perche':
- la maggioranza dei professori, in particolare degli ordinari,
sta sostanzialmente alla finestra a guardare
- la (stragrande) maggioranza dei rettori e dei presidi, non solo e'
ignava, ma addirittura si comporta come se fosse consenziente
in particolare, quando si parla di dimissioni non ci sente quasi nessuno
forse e' la situazione locale che mi rende pessimista, ma per me questo e' un mondo alla rovescia, un mondo che non capisco piu'
dov'e' finita l'Universitas? esiste ancora, in Italia, l'Universitas?
Marco Vianello associato di analisi numerica Universita' di Padova
Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
-- Prof. Sandro Pignatti Dipartimento di Biologia Vegetale Università di Roma "La Sapienza" Città Universitaria 00165 ROMA Tel. 06-49917130 (uff.) 06-5812398 (ab.) _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
On Mon, 2010-10-11 at 09:34 +0200, Laura Sacerdote wrote:
Caro Pignatti, anch'io sono onorata dal paragone ma non credo siano cose comparabili. Il coraggio di chi non firmo' fedelta' al fascismo fu di ben altra dimensione e con ben prevedibili conseguenze personali. Cio' che mi scuote e' come oggi non si abbia voglia (non ci vuole certo coraggio) di compiere un gesto che a noi costa ben poco. Quanto agli anticorpi: beh, i 14 antifascisti furono degli eroi ma non mi sembra che i loro anticorpi siano serviti all'universita' nel 31. Possiamo immaginare come il gesto, di ben minore levatura, di 70 professori possa incidere sul futuro? Ci abbiamo provato e non ha funzionato, questo e' tutto
L'impegno alle dimissioni era un impegno forte, forse troppo. Aveva senso e successo (soprattutto nei confronti dei Rettori) se fossero state compatte. 70 su 2000 sono poche, anche considerando che molti di quelli che hanno firmato, in particolare i PA, non avevano magari nulla di importante da cui dimettersi, o se lo avevano, temono di perdere anche quello, soprattutto in periodo di chiamate, come è questo qui. Quelle che hanno avuto un impatto mediatico (TO, FI) lo hanno avute perché compatte per un certo settore. La propaganda per 70 su su 40000 in effetti non credo possa avere nessun successo, almeno a livello mediatico. Siamo in percentuale meno di quanto erano i famosi 12 (mi pare, non 15 !) che non avevano firmato la fedeltà al fascismo. Quindi io lo prendo solo come testimonianza, per quello che può voler dire.
Sulla tua domanda cosa possiamo fare? Informare, informare, informare. Fuori dal mondo universitario nessuno ha capito niente. Viene spacciata per una riforma fatta. In realta', non e' neanche una riforma, e' una diminuzione di risorse a livello di docenza, accompagnata da un tentativo di politicizzazione degli organi universitari. Diciamo chiaro che il problema principale sono i fondi: un precerio in un ambiente con molti fondi avra' il posto rinnovato, se vale. Senza fondi non rinnoveremmo il contratto neanche a Vito Volterra (tanto per citare un matemtico che non firmo' l'adesione al fascismo).
Cosa puo' fara un pensionato: la stessa cosa che fa ciascuno di noi: raccontare la verita'. Dire che il finanziamento delle ricerche relative agli anni 2008-09, e' stato reso noto a fine 2009 (tagliando la maggior parte delle domande), che i progetti sono ufficialmente partiti (secondo il ministero) nel marzo 2010 e che ad oggi i dipartimenti non hanno ricevuto un soldo. Naturalmente non si e' ancora potuta spendere una lira. Spiegare che senza materiale di consumo un biologo e un chimico possono restare a casa, non potendo lavorare mentre un matematico percera' tutti i suoi contatti internazionali.
Dobbiamo informare...raccontare al portinaio, al meccanico alla pettinatrice che un paese senza conoscenza e' un paese condannato alla poverta', forse non otterramo nulla ora ma gettiamo un semino, magari servira' alle elezioni.
...Anche perché i giornali, quasi tutti, si occupano d'altro. Per esempio la Società Chimica Italiana ha mandato un documento alla Gelmini (l'ho postato su Uniti per la Ricerca) ed ai giornali, ma mi pare che nessuno lo abbia ripreso...La Società ha circa 5000 soci, non un numero tanto piccolo nella comunità scientifica (e non sono solo all'Università).
Cos'altro dobbiamo fare: cercare di spingere l'interno all'autoriforma. Credo di essermi fatta molti nemici ma ogni volta che dobbiamo assumere qualcuno mi chiedo, e chiedo ai colleghi, stiamo spendendo bene i soldi pubblici? La persona che avremo qui per i prossimi 20-30 anni fara' quello che serve per il futuro dell'universita'? Sembrano ovvieta' ma, come vi dicevo, facendolo ci si fa molti nemici. Quanti di noi sono disposti a mettere in discussione scelte consolidate, tipo non si puo' dire di no a un collega che e' risultato idoneo, il tale settore non ah alcun bisogno di crescere e quest'altro (che non e' magari il mio) deve assolutamente crescere perche' la matematica senza questo non puo' svilupparsi? Se prendiamo coraggio, qui si ci vuole perche' si mettono in discussione le amicizie e i poteri consolidati, forse potremo autoriformarci. Qualunque sara' la riforma calata dall'alto, senza un'auto riforma condanniamo l'universita' al degrado..
Nell'attuale contesto non puoi fare altro. Quello che occorre è pensare in maniera diversa, e battersi per una riforma più radicale. Per esempio la proposta che viene dalla rete 29 aprile (ma anche da ltra parti) circa il RUOLO UNICO della docenza, mettendo ad esaurimento sia PO che PA (oltre ai ricercatori che non volessero passare al ruolo unico), dovrebbe essere uno dei passi prinicpali. Quindi niente concorsi, a parte il primo stadio per la ammissione in ruolo (c'è comunque un articolo della Costituzione che lo richiede), ma avanzamenti di carriera basati sul merito.
In forndo è più meno così che funziona in tutti gli altri Paesi
Alberto
universitas_in_trasformazione@lists.dm.unipi.it