Sono d'accordo: primo, con chi ricorda che non si può sparare a priori su una persona solo perché parente di...., secondo che è difficile eliminare un modus vivendi di gran parte della nazione (certo che se ci si provasse) Ma su un fatto non transigo e non ammetto che ci si passi sopra. Martone. Può darsi che sia un eccellente studioso degno di diventare ricercatore/associato/ordinario in poche primavere e con due pubblicazioni, ma una cosa va ricordata: al suo concorso, con due idoneità da dare, c'erano 8 candidati; 6 candidati si sono ritirati. Questo indica che su quei sei è stata fatta un'azione mafioso-clientelare di intimidazione perché si togliessero di torno. E' l'equivalente del "consiglio" dato alle ditte serie a ritirarsi dalle gare d'appalto, alla telefonata a quel candidato a sindaco del palermitano a cui si ricordava quanto era pericoloso il traffico di Palermo, e che si ritirò dalla competizione elettorale. Io non sono prevenuto, sono post-venuto, Martone è in cattedra grazie ad una intimidazione mafiosa, questo fatto non posso accettarlo, non dovrebbe accettarlo nessuno di noi, ed, essendone venuto a conoscenza non dovrebbe accettarlo neanche il Presidente del Consiglio. Per questo io, noi tutti, dovremmo chiedere le dimissioni di Martone da sottosegretario, e mi aspetterei che a lezione, se mai la farà, non si presentasse nessuno studente. carlo cosmelli .................................. Ciò che mi spaventa non è la violenza dei potenti, ma il silenzio degli onesti. Martin Luther King .................................. Prof. Carlo Cosmelli Dipartimento di Fisica Sapienza, Università di Roma P. A. Moro 5 00185 Roma, Italy tel. (+39) 06-4991-4216 fax. (+39) 06-4957- 697 http://www.roma1.infn.it/exp/webmqc/cosmelli.html
come vedete poi come nel gioco dell'Oca si finisce a tornare sempre al punto di partenza, quello che manca e` una sana competizione, fra persone, fra dipartimenti universita` etc.. Quello che non ho mai apprezzato è di pensare che le regole burocratiche siano la via per risolvere il problema, io credo che invece siano parte del problema, perche' alla fine coprono le responsabilità individuali. Voi prendete un concorso, se la forma è perfetta il concorso è perfetto anche se ad una analisi scientifica è un cumulo di puttanate.
Non mi pare che i certificati antimafia abbiano impedito alla ndrangheta di penetrare a fondo nella economia del paese.
Per il caso Martone io non mi pronuncio dato che non lo conosco, prima di ogni iniziativa sarebbe utile avere un dossier completo su questa storia per poterla valutare oggettivamente.
In generale sarebbe interessante vedere come si comportano i vari gruppi scientifici nei concorsi, a Matematica e credo a Scienze in generale è raro che in un concorso ci siano solo tanti candidati quanti sono i posti, questo non assicura a priori la sana competizione ma ne è certo una premessa, sarebbe utile fare un po di analisi statistica. Si dice che a Medicina non sia proprio cosi!!
claudio
On Jan 30, 2012, at 9:01 AM, Carlo Cosmelli wrote:
Sono d'accordo: primo, con chi ricorda che non si può sparare a priori su una persona solo perché parente di...., secondo che è difficile eliminare un modus vivendi di gran parte della nazione (certo che se ci si provasse) Ma su un fatto non transigo e non ammetto che ci si passi sopra. Martone. Può darsi che sia un eccellente studioso degno di diventare ricercatore/associato/ordinario in poche primavere e con due pubblicazioni, ma una cosa va ricordata: al suo concorso, con due idoneità da dare, c'erano 8 candidati; 6 candidati si sono ritirati. Questo indica che su quei sei è stata fatta un'azione mafioso-clientelare di intimidazione perché si togliessero di torno. E' l'equivalente del "consiglio" dato alle ditte serie a ritirarsi dalle gare d'appalto, alla telefonata a quel candidato a sindaco del palermitano a cui si ricordava quanto era pericoloso il traffico di Palermo, e che si ritirò dalla competizione elettorale. Io non sono prevenuto, sono post-venuto, Martone è in cattedra grazie ad una intimidazione mafiosa, questo fatto non posso accettarlo, non dovrebbe accettarlo nessuno di noi, ed, essendone venuto a conoscenza non dovrebbe accettarlo neanche il Presidente del Consiglio. Per questo io, noi tutti, dovremmo chiedere le dimissioni di Martone da sottosegretario, e mi aspetterei che a lezione, se mai la farà, non si presentasse nessuno studente. carlo cosmelli .................................. Ciò che mi spaventa non è la violenza dei potenti, ma il silenzio degli onesti. Martin Luther King .................................. Prof. Carlo Cosmelli Dipartimento di Fisica Sapienza, Università di Roma P. A. Moro 5 00185 Roma, Italy tel. (+39) 06-4991-4216 fax. (+39) 06-4957- 697 http://www.roma1.infn.it/exp/webmqc/cosmelli.html _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Prof. Claudio Procesi, Dipartimento di Matematica, G. Castelnuovo Università di Roma La Sapienza, piazzale A. Moro 00185, Roma, Italia
tel. 0039-06-49913212, fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al “Mercato”. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà – docenti, studenti, personale amministrativo – è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto “processo di Bologna” abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo – certamente mediato, ma serio, non propagandistico – del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dell’esperienza maturata nell’attività didattica, nell’attività gestionale, e nell’organizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere all’interno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo d’Orsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
Seguono firme di molti docenti __________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
Francamente che le "nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni." mi sembra davvero una opinione strampalata...
On 01/30/2012 11:04 AM, Walter Lacarbonara wrote:
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al “Mercato”. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà – docenti, studenti, personale amministrativo – è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto “processo di Bologna” abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo – certamente mediato, ma serio, non propagandistico – del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dell’esperienza maturata nell’attività didattica, nell’attività gestionale, e nell’organizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere all’interno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo d’Orsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
Seguono firme di molti docenti __________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
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se guardi bene, il soggetto della frase sono gli USA, e non le tecnoscienze.... cmq trovo anch'io che il documento dei colleghi, accanto ad affermazioni pienamente e totalmente condivisibili, ne contenga altre che mi lasciano perplesso esempio: nella mia personale esperienza il fallimento dell'ordinamento 3+2 è in buona parte dovuto all'incapacità dei docenti (me compreso) di adeguarsi, rinnovando modi e contenuti della didattica PL
-------------------------------------------------- From: "Alessio Papini" alessio.papini@unifi.it Sent: Monday, January 30, 2012 1:21 PM To: ""Forum "Università e Ricerca""" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Digest di Universitas_in_trasformazione, Volume 37, Numero 24
Francamente che le "nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni." mi sembra davvero una opinione strampalata...
On 01/30/2012 11:04 AM, Walter Lacarbonara wrote:
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al “Mercato”. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà – docenti, studenti, personale amministrativo – è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto “processo di Bologna” abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo – certamente mediato, ma serio, non propagandistico – del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dell’esperienza maturata nell’attività didattica, nell’attività gestionale, e nell’organizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere all’interno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo d’Orsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
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Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Ho notato che il soggetto erano gli USA, ma credo che i colleghi abbiano comunque voluto attribuire colpe a ambiti tecnico-culturali ben precisi (scientifici, in sostanza), come ben si capisce dal resto della lettera. Mentre, a quanto pare, una nuova età dell'oro sarebbe possibile se ci basassimo di più sulle scienze umanistiche, la produttività delle quali sarebbe inverificabile. Pur con il massimo rispetto verso le scienze umanistiche ho qualche difficoltà a seguire questa linea di opinione. Se poi proprio vogliamo polemizzare, le attuali politiche di disciplina del mercato, il controllo della finanza pubblica, la gestione delle relazioni internazionali non mi pare proprio abbiano nulla a che vedere con informatica, genetica (o fisica, chimica, matematica ecc.) in modo diretto, ma semmai proprio con filosofie politiche nate in ambiti strettamente umanistici. Del resto molte di queste politiche si basano ormai proprio sulle conoscenze scientifiche, quindi a rischio di autosmentirmi, temo non sia possibile dividere in buoni e cattivi a seconda dell'ambito disciplinare. E neppure in valutabili e invalutabili. Saluti Alessio Papini
On 01/30/2012 01:51 PM, Piero Lattanzi wrote:
se guardi bene, il soggetto della frase sono gli USA, e non le tecnoscienze.... cmq trovo anch'io che il documento dei colleghi, accanto ad affermazioni pienamente e totalmente condivisibili, ne contenga altre che mi lasciano perplesso esempio: nella mia personale esperienza il fallimento dell'ordinamento 3+2 è in buona parte dovuto all'incapacità dei docenti (me compreso) di adeguarsi, rinnovando modi e contenuti della didattica PL
From: "Alessio Papini" alessio.papini@unifi.it Sent: Monday, January 30, 2012 1:21 PM To: ""Forum "Università e Ricerca""" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Digest di Universitas_in_trasformazione, Volume 37, Numero 24
Francamente che le "nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni." mi sembra davvero una opinione strampalata...
On 01/30/2012 11:04 AM, Walter Lacarbonara wrote:
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al “Mercato”. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà – docenti, studenti, personale amministrativo – è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto “processo di Bologna” abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo – certamente mediato, ma serio, non propagandistico – del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dell’esperienza maturata nell’attività didattica, nell’attività gestionale, e nell’organizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere all’interno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo d’Orsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
Seguono firme di molti docenti __________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
Concordo pienamente con Alessio. Non a caso il mio messaggio con la lattera aveva un incipt sarcastico. Questi colleghi stanno aggiungendo entropia con idee che vogliono riportare l'università indietro nel tempo.
Sono idee contagiose perchè di fronte al degrado generale è più facile guardarsi indietro piuttosto che avere il coraggio di affrontare il nuovo. Scusate la ripetizione: l'immagine del degrado a tutto campo che va dalle finte regole concorsuali ai fondi di ricerca disturba quanti hanno a cuore l'università, certamente non quelli che continuano ad usarla come strumento di affermazione personale e di potere, questi ultimi hanno un pelo coriaceo sullo stomaco e sono ai vertici.
Walter Lacarbonara
Il giorno 30/gen/12, alle ore 16:31, Alessio Papini ha scritto:
Ho notato che il soggetto erano gli USA, ma credo che i colleghi abbiano comunque voluto attribuire colpe a ambiti tecnico-culturali ben precisi (scientifici, in sostanza), come ben si capisce dal resto della lettera. Mentre, a quanto pare, una nuova età dell'oro sarebbe possibile se ci basassimo di più sulle scienze umanistiche, la produttività delle quali sarebbe inverificabile. Pur con il massimo rispetto verso le scienze umanistiche ho qualche difficoltà a seguire questa linea di opinione. Se poi proprio vogliamo polemizzare, le attuali politiche di disciplina del mercato, il controllo della finanza pubblica, la gestione delle relazioni internazionali non mi pare proprio abbiano nulla a che vedere con informatica, genetica (o fisica, chimica, matematica ecc.) in modo diretto, ma semmai proprio con filosofie politiche nate in ambiti strettamente umanistici. Del resto molte di queste politiche si basano ormai proprio sulle conoscenze scientifiche, quindi a rischio di autosmentirmi, temo non sia possibile dividere in buoni e cattivi a seconda dell'ambito disciplinare. E neppure in valutabili e invalutabili. Saluti Alessio Papini
On 01/30/2012 01:51 PM, Piero Lattanzi wrote:
se guardi bene, il soggetto della frase sono gli USA, e non le tecnoscienze.... cmq trovo anch'io che il documento dei colleghi, accanto ad affermazioni pienamente e totalmente condivisibili, ne contenga altre che mi lasciano perplesso esempio: nella mia personale esperienza il fallimento dell'ordinamento 3+2 è in buona parte dovuto all'incapacità dei docenti (me compreso) di adeguarsi, rinnovando modi e contenuti della didattica PL
From: "Alessio Papini" alessio.papini@unifi.it Sent: Monday, January 30, 2012 1:21 PM To: ""Forum "Università e Ricerca""" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Digest di Universitas_in_trasformazione, Volume 37, Numero 24
Francamente che le "nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico- finanziaria degli ultimi 80 anni." mi sembra davvero una opinione strampalata...
On 01/30/2012 11:04 AM, Walter Lacarbonara wrote:
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al “Mercato”. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà – docenti, studenti, personale amministrativo – è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto “processo di Bologna” abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo – certamente mediato, ma serio, non propagandistico – del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dell’esperienza maturata nell’attività didattica, nell’attività gestionale, e nell’organizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere all’interno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo d’Orsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
Seguono firme di molti docenti __________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
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Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
__________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
Scusate un'informazione. Vi risulta che in qualche paese occidentale sia possibile rimanere fuori-corso a lungo come in Italia?
Saccomandi
se guardi bene, il soggetto della frase sono gli USA, e non le tecnoscienze.... cmq trovo anch'io che il documento dei colleghi, accanto ad affermazioni pienamente e totalmente condivisibili, ne contenga altre che mi lasciano perplesso esempio: nella mia personale esperienza il fallimento dell'ordinamento 3+2 è in buona parte dovuto all'incapacità dei docenti (me compreso) di adeguarsi, rinnovando modi e contenuti della didattica PL
From: "Alessio Papini" alessio.papini@unifi.it Sent: Monday, January 30, 2012 1:21 PM To: ""Forum "Università e Ricerca""" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Digest di Universitas_in_trasformazione, Volume 37, Numero 24
Francamente che le "nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni." mi sembra davvero una opinione strampalata...
On 01/30/2012 11:04 AM, Walter Lacarbonara wrote:
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al Mercato. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei criteri di valutazione, al fine di misurare la produttività scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà docenti, studenti, personale amministrativo è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto processo di Bologna abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo certamente mediato, ma serio, non propagandistico del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. Lorgano di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nellUniversità lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dellesperienza maturata nellattività didattica, nellattività gestionale, e nellorganizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere allinterno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo dOrsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
Seguono firme di molti docenti __________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
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Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
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Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al Mercato. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei criteri di valutazione, al fine di misurare la produttività scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà docenti, studenti, personale amministrativo è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto processo di Bologna abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo certamente mediato, ma serio, non propagandistico del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. Lorgano di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nellUniversità lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dellesperienza maturata nellattività didattica, nellattività gestionale, e nellorganizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere allinterno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo dOrsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
Seguono firme di molti docenti __________________________________________________ Walter Lacarbonara
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA SAPIENZA Università di Roma via Eudossiana 18 - 00184 Rome Italy office: +39 (06) 44585-293 - fax: +39 (06) 4884852 e-mail: walter.lacarbonara@uniroma1.it webpage: w3.disg.uniroma1.it/lacarbonara
carissimi, ho letto l'appello un po rapidamente, mi pare pieno di luoghi comuni e fughe in avanti, non è in questo modo che si può incidere, ammesso che ci sia spazio per farlo, nel futuro del paese claudio On Jan 30, 2012, at 11:05 AM, Walter Lacarbonara wrote:
Carissimi tutti,
per aumentare l'entropia del momento, leggete cosa scrivono i colleghi della materie umanistiche nella lettera-appello sottostante.
Sulle questioni concorsi e dintorni, mi limito a ridurre il mio punto di vista in una battuta: il nostro rimane nelle sue corde un paese irrimediabilmente piccolo, dinastico e familistico.
Il gruppo di accademici di Universitas Futura rimane una voce fuori dal coro e per questo anche poco incisiva. Se non si è impastati con il sistema, è difficile influirne le scelte. Molti colleghi "INFLUENTI" ci guardano con sorniona benevolenza (mentre noi ci battevamo per l'ANVUR e per la riforma più progressista possibile, gli stessi senza sprecarsi in alcuna iniziativa meritoria oggi si ritrovano a farne parte perchè garantisti... del sistema).
Buona lettura Walter Lacarbonara
L'Università che vogliamo
Un appello di docenti e ricercatori universitari al ministro Profumo e al Governo Monti
L'Università italiana sopravvive, difficoltosamente, in una condizione di disagio e di crescente emarginazione che ha pochi termini di confronto nella storia recente. Essa ha visto fortemente ridotte le risorse economiche per il suo funzionamento, molto prima che si manifestasse la crisi mondiale e malgrado le modeste dotazioni di partenza rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tutti i saperi umanistici e buona parte delle scienze sociali sono da tempo sfavoriti, a beneficio di discipline che si immaginano più direttamente utili alla crescita economica, o genericamente al “Mercato”. Si tratta di una tendenza in atto da anni che ci accomuna all'Europa e a larga parte del mondo. A tutti gli insegnamenti viene richiesto di fornire un sapere utile, trasformabile in valore di mercato, altrimenti sono ritenuti economicamente non sostenibili. Perciò oggi si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo, le Università europee sono sotto l'assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà – docenti, studenti, personale amministrativo – è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici. Noi crediamo che questo modello di Università europea, avviato con il cosiddetto “processo di Bologna” abbia rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l'autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società. Tutto ciò riguarda non solo il nesso saperi/mercato, ma anche il modello sociale, come è evidente alla luce dell'innalzamento delle tasse d'iscrizione, delle politiche di numero chiuso e della scelta di segmentare, alla luce di politiche classiste, il sistema universitario nazionale facendosi schermo del mito dell'eccellenza. Al fondo di questo fallimento c'è una esperienza storica recente che illumina sinistramente l'intero quadro europeo. È quello che possiamo chiamare il grandioso scacco americano. Gli USA, elaboratori del modello che l'UE ha voluto tardivamente imitare, sono il Paese che in assoluto ha investito di più nella formazione universitaria e nella ricerca, finalizzate ad accrescere la potenza economica. Ma a dispetto dell'immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. Per concludere con una apoteosi: gli USA, che hanno visto trionfare negli ultimi decenni nuove tecnoscienze come l'informatica e la genetica, hanno trascinato il mondo nella più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi 80 anni. Questa lezione storica ci dice che il sapere tecnoscientifico, da sé, interamente finalizzato alla crescita economica e senza un progetto equo e solidale di società, privo della luce della cultura critica, è destinato a fallire. Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l'erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto. Per tale ragione, i firmatari del presente Manifesto indicano i punti programmatici cui dovrebbe ispirarsi un progetto di università che avvii la fuoriuscita dal modello liberistico di un'Europa ormai sull'orlo del collasso. Occorre al più presto abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall'organizzazione degli studi e ripristinare i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli. Occorre abolire i crediti (i famigerati CFU) come criteri di valutazione degli esami. Il fatto che essi siano utilizzati anche nel resto d'Europa è una buona ragione per incominciare a scardinare il misero economicismo che è stato iniettato anche negli atenei del Vecchio Continente. Occorre ripensare i criteri di valutazione che riguardano i saperi umanistici. Noi crediamo giusto che l'Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. Una condizione che implica anche un controllo – certamente mediato, ma serio, non propagandistico – del buon uso delle risorse provenienti dal contributo fiscale di tutti i cittadini. Ma tale controllo deve riguardare soprattutto i Consigli di Amministrazione degli Atenei, che devono diventare assolutamente trasparenti, con adeguata pubblicità, nelle loro scelte e nei loro bilanci. L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano. Occorre ripristinare la figura del ricercatore a tempo indeterminato abolita dalla legge Gelmini. Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori, con liste nazionali di idoneità, che tengano conto della produzione scientifica, dell’esperienza maturata nell’attività didattica, nell’attività gestionale, e nell’organizzazione culturale: le Facoltà dovranno poter scegliere all’interno di quelle liste e chiamare liberamente gli idonei. Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d'Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà. Oggi si piangono ipocrite lacrime sulla disoccupazione della gioventù. Ma quale migliore occasione per il governo in carica di fornire risorse ai ricercatori senza lavoro, ai tanti giovani che passano dai dottorati ai master senza mai trovare un approdo, una istituzione in cui continuare studi e ricerche? È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università. La complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società ci impone un diverso modo di studiare, ci chiede un dialogo tra le discipline, una organizzazione degli studi che non esalti la solitaria eccellenza individuale, ma la cooperazione fra campi diversi della conoscenza, così come la società ci chiede la cura collettiva dei beni comuni. 15 gennaio 2012 Piero Bevilacqua (Storia contemporanea, Sapienza, Roma) Angelo d’Orsi (Storia del pensiero politico, Università di Torino) Per aderire inviare una e-mail a: universitachevogliamo@gmail.com specificando disciplina e sede lavorativa
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tel. 0039-06-49913212, fax 0039-06-44701007 http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/
Concordo con Carlo Cosmelli
Def. Quota Carlo Cosmelli carlo.cosmelli@roma1.infn.it:
Sono d'accordo: primo, con chi ricorda che non si può sparare a priori su una persona solo perché parente di...., secondo che è difficile eliminare un modus vivendi di gran parte della nazione (certo che se ci si provasse) Ma su un fatto non transigo e non ammetto che ci si passi sopra. Martone. Può darsi che sia un eccellente studioso degno di diventare ricercatore/associato/ordinario in poche primavere e con due pubblicazioni, ma una cosa va ricordata: al suo concorso, con due idoneità da dare, c'erano 8 candidati; 6 candidati si sono ritirati. Questo indica che su quei sei è stata fatta un'azione mafioso-clientelare di intimidazione perché si togliessero di torno. E' l'equivalente del "consiglio" dato alle ditte serie a ritirarsi dalle gare d'appalto, alla telefonata a quel candidato a sindaco del palermitano a cui si ricordava quanto era pericoloso il traffico di Palermo, e che si ritirò dalla competizione elettorale. Io non sono prevenuto, sono post-venuto, Martone è in cattedra grazie ad una intimidazione mafiosa, questo fatto non posso accettarlo, non dovrebbe accettarlo nessuno di noi, ed, essendone venuto a conoscenza non dovrebbe accettarlo neanche il Presidente del Consiglio. Per questo io, noi tutti, dovremmo chiedere le dimissioni di Martone da sottosegretario, e mi aspetterei che a lezione, se mai la farà, non si presentasse nessuno studente. carlo cosmelli .................................. Ciò che mi spaventa non è la violenza dei potenti, ma il silenzio degli onesti. Martin Luther King .................................. Prof. Carlo Cosmelli Dipartimento di Fisica Sapienza, Università di Roma P. A. Moro 5 00185 Roma, Italy tel. (+39) 06-4991-4216 fax. (+39) 06-4957- 697 http://www.roma1.infn.it/exp/webmqc/cosmelli.html _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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**** Riservatezza / Confidentiality **** In ottemperanza al D.Lgs. n. 196 del 30/6/2003 in materia di protezione dei dati personali, le informazioni contenute in questo messaggio sono strettamente riservate ed esclusivamente indirizzate al destinatario indicato (oppure alla persona responsabile di rimetterlo al destinatario). Vogliate tener presente che qualsiasi uso, riproduzione o divulgazione di questo messaggio e' vietato. Nel caso in cui aveste ricevuto questo messaggio per errore, vogliate cortesemente avvertire il mittente e distruggere il presente messaggio.
Se le cose stanno come le racconta Cosmelli, Martone ,non solo dovrebbe dimettersi ma anche andarsi a nascondere e un minimo d'inchiesta sul Concorso la dovrebbe svolgere il Miur... ma credo che, passata la buriana, non accadrà nulla. Carmelo Petronio@uniroma1.it
Il giorno 01 febbraio 2012 08:42, gnistico@unical.it ha scritto:
Concordo con Carlo Cosmelli
Def. Quota Carlo Cosmelli carlo.cosmelli@roma1.infn.it:
Sono d'accordo: primo, con chi ricorda che non si può sparare a priori su una persona solo perché parente di...., secondo che è difficile eliminare un modus vivendi di gran parte della nazione (certo che se ci si provasse) Ma su un fatto non transigo e non ammetto che ci si passi sopra. Martone. Può darsi che sia un eccellente studioso degno di diventare ricercatore/associato/ordinario in poche primavere e con due
pubblicazioni,
ma una cosa va ricordata: al suo concorso, con due idoneità da dare, c'erano 8 candidati; 6 candidati si sono ritirati. Questo indica che su quei sei è stata fatta un'azione mafioso-clientelare di intimidazione perché si togliessero di torno. E' l'equivalente del "consiglio" dato alle ditte serie a ritirarsi dalle gare d'appalto, alla telefonata a quel candidato a sindaco del
palermitano
a cui si ricordava quanto era pericoloso il traffico di Palermo, e che si ritirò dalla competizione elettorale. Io non sono prevenuto, sono post-venuto, Martone è in cattedra grazie ad una intimidazione mafiosa, questo fatto non posso accettarlo, non dovrebbe accettarlo nessuno di noi, ed, essendone venuto a conoscenza
non
dovrebbe accettarlo neanche il Presidente del Consiglio. Per questo io,
noi
tutti, dovremmo chiedere le dimissioni di Martone da sottosegretario, e mi aspetterei che a lezione, se mai la farà, non si presentasse nessuno studente. carlo cosmelli .................................. Ciò che mi spaventa non è la violenza dei potenti, ma il silenzio degli onesti. Martin Luther King .................................. Prof. Carlo Cosmelli Dipartimento di Fisica Sapienza, Università di Roma P. A. Moro 5 00185 Roma, Italy tel. (+39) 06-4991-4216 fax. (+39) 06-4957- 697 http://www.roma1.infn.it/exp/webmqc/cosmelli.html _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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Come non concordare con Cosmelli? I fatti si commentano da soli.. avrei forse capito una promozione diretta da Post-Doc ad Ordinario, se ci si trova di fronte ad un piccolo genio sarebbe un Atto dovuto. Ma che in 2-3 anni si risulti vincitore di concorsi a Ricercatore/Associato/Ordinario, con rinuncia di una serie di candidati è veramente enorme. Ovviamente come dice Petronio non succederà un bel nulla. Benedetto De Vivo
Benedetto De Vivo Prof. Ordinario di Geochimica Ambientale Università di Napoli Federico II Dipartimento di Scienze della Terra Via Mezzocannone 8, 80134 Napoli, Italy Tel. +39-081.2535065; Fax +39-081.2535061 email: bdevivo@unina.it; Web: www.fluidenv.unina.it
Adjunct Prof. Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA Chief Editor of Journal of Geochemical Exploration www.elsevier.com/locate/gexplo http://www.sciencedirect.com/science/journal/03756742
Associate Editor of Mineralogy and Petrology Southern Europe Councillor of the Association of Applied Geochemists
-----Messaggio originale----- Da: universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it [mailto:universitas_in_trasformazione-bounces@mail.dm.unipi.it] Per conto di Carmelo Petronio Inviato: Wednesday, February 01, 2012 9:28 AM A: Forum "Università e Ricerca" Cc: Carlo Cosmelli Oggetto: Re: [Universitas_in_trasformazione] Digest di Universitas_in_trasformazione, Volume 37, Numero 24
Se le cose stanno come le racconta Cosmelli, Martone ,non solo dovrebbe dimettersi ma anche andarsi a nascondere e un minimo d'inchiesta sul Concorso la dovrebbe svolgere il Miur... ma credo che, passata la buriana, non accadrà nulla. Carmelo Petronio@uniroma1.it
Il giorno 01 febbraio 2012 08:42, gnistico@unical.it ha scritto:
Concordo con Carlo Cosmelli
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Sono d'accordo: primo, con chi ricorda che non si può sparare a priori
su
una persona solo perché parente di...., secondo che è difficile eliminare un modus vivendi di gran parte della nazione (certo che se ci si provasse) Ma su un fatto non transigo e non ammetto che ci si passi sopra. Martone. Può darsi che sia un eccellente studioso degno di diventare ricercatore/associato/ordinario in poche primavere e con due
pubblicazioni,
ma una cosa va ricordata: al suo concorso, con due idoneità da dare, c'erano 8 candidati; 6 candidati si sono ritirati. Questo indica che su quei sei è stata fatta un'azione
mafioso-clientelare
di intimidazione perché si togliessero di torno. E' l'equivalente del "consiglio" dato alle ditte serie a ritirarsi
dalle
gare d'appalto, alla telefonata a quel candidato a sindaco del
palermitano
a cui si ricordava quanto era pericoloso il traffico di Palermo, e che
si
ritirò dalla competizione elettorale. Io non sono prevenuto, sono post-venuto, Martone è in cattedra grazie ad una intimidazione mafiosa, questo fatto non posso accettarlo, non dovrebbe accettarlo nessuno di noi, ed, essendone venuto a conoscenza
non
dovrebbe accettarlo neanche il Presidente del Consiglio. Per questo io,
noi
tutti, dovremmo chiedere le dimissioni di Martone da sottosegretario, e mi aspetterei che a lezione, se mai la farà, non si presentasse nessuno studente. carlo cosmelli .................................. Ciò che mi spaventa non è la violenza dei potenti, ma il silenzio degli onesti. Martin Luther King .................................. Prof. Carlo Cosmelli Dipartimento di Fisica Sapienza, Università di Roma P. A. Moro 5 00185 Roma, Italy tel. (+39) 06-4991-4216 fax. (+39) 06-4957- 697 http://www.roma1.infn.it/exp/webmqc/cosmelli.html _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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caro Walter, non tutti gli umanistici hanno firmato il documento che hai messo a disposizione di tutti. Credo anche io che esprima tendenze conservatrici. Ma l'anvur ha un bravo coordinatore per l'area umanistica e quindi nutro qualche speranza
2012/2/1 gnistico@unical.it
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ma una cosa va ricordata: al suo concorso, con due idoneità da dare, c'erano 8 candidati; 6 candidati si sono ritirati. Questo indica che su quei sei è stata fatta un'azione mafioso-clientelare di intimidazione perché si togliessero di torno. E' l'equivalente del "consiglio" dato alle ditte serie a ritirarsi dalle gare d'appalto, alla telefonata a quel candidato a sindaco del
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a cui si ricordava quanto era pericoloso il traffico di Palermo, e che si ritirò dalla competizione elettorale. Io non sono prevenuto, sono post-venuto, Martone è in cattedra grazie ad una intimidazione mafiosa, questo fatto non posso accettarlo, non dovrebbe accettarlo nessuno di noi, ed, essendone venuto a conoscenza
non
dovrebbe accettarlo neanche il Presidente del Consiglio. Per questo io,
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