per opportuna informazione, vi giro un documento approvato dal Consiglio di Presidenza della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (SIMP) saluti Piero Lattanzi
Il Bando PRIN 2008, per Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (relativo a ricerche che si sarebbero dovute svolgere nel biennio 2008-2009) è stato aperto con oltre un anno e mezzo di ritardo (DM 4-12-2008 n. 1407), ed è ora stato espletato ad oltre due anni dalla data prevista. A questo grave ritardo si e' aggiunto un pesante taglio delle risorse, che inizialmente erano state individuate (dal Ministro Mussi) nell'ordine di 180 milioni di euro. L’entità delle richieste finanziarie dei progetti, da presentare entro un termine abbastanza ristretto (9 febbraio 2009), ammontava ad un valore complessivo di parecchie centinaia di milioni, essendo state ripresentate molte delle domande che in bandi precedenti (2006 e 2007), pur essendo state valutate positivamente e con punteggi molto elevati, non erano state finanziate a causa delle limitate risorse messe a disposizione gia' in quei bandi.
E’ opportuno avere ben presente il significato espresso dal titolo del Bando: Progetti di Rilevante Interesse Nazionale. A questi progetti, relativi a tutte le discipline scientifiche, tecnologiche ed umanistiche che fanno capo alle 14 grandi Aree della Ricerca in Italia, sono stati destinati 95 milioni di euro per due anni (47,5 milioni l’anno per il biennio 2008-2009). Ad ogni progetto, di norma, fanno capo più gruppi di ricerca (Unità Operative) di diverse Istituzioni Italiane per un numero medio stimabile in circa 15 ricercatori per ogni progetto. I progetti finanziati sono stati 986, per un totale di 3.588 UO, corrispondenti a un numero totale di ricercatori che si può pensare sia intorno a 15.000.
Per quanto riguarda l’Area di nostra competenza (Area 04 – Scienze della Terra), sono stati finanziati 36 progetti per un importo complessivo di poco meno di 2.9 milioni di Euro. Questo si traduce, grosso modo, in una media di 5 mila euro a ricercatore (2.500 euro/anno per ricercatore). Questo importo non può essere ritenuto sufficiente nemmeno a coprire le spese di produzione di un solo lavoro sperimentale con dignità di pubblicazione su una rivista internazionale. Si deve tuttavia notare che i progetti sono stati presentati da ricercatori che hanno inserito, a supporto della domanda, un numero medio di tali pubblicazioni di 4-5 all'anno, evidente miracolo dell'intelligenza Italiana che, è facile prevedere, andrà presto ad esaurimento. La situazione è altrettanto penosa, in proporzione, per tutte le altre 13 Aree.
Il confronto con quanto succede negli altri Paesi Europei è piuttosto sconcertante: si guardi ad esempio alla Francia, anche senza sperare di emulare i paesi Scandinavi dove, in risposta alla crisi, sono stati aumentati i finanziamenti alla ricerca e all’educazione superiore. Si tratta di un divario di almeno un ordine di grandezza che, a fronte della necessità dei nostri ricercatori di mantenere il passo con le altre Nazioni sviluppate, assegna risorse assolutamente insufficienti per mantenere il "Sistema Paese" al passo coi tempi.
Un quadro significativo di questa situazione può essere estratto dal documento sulla Valutazione Quinquennale della Ricerca 2004-2008 (VQR 2004-2008) recentemente presentato al CUN: si evince chiaramente che la spesa italiana per ricerca e sviluppo è a livelli medio-bassi rispetto a quella dei partner europei, e che il numero degli addetti è ben inferiore alla media europea; naturalmente i risultati non possono che risentirne in termini di qualità della ricerca, e infatti l’Italia si colloca al 7° posti su 13 paesi nel benchmarking internazionale, che ha come riferimento la finestra temporale 2000-2008, dietro a Francia, Germania, Canada, UK e ovviamente USA. In questo quadro sconsolante, l’Italia raggiunge la sua miglior performance (5° posto su 13) nell’analisi qualitativa della produzione scientifica (basata sul numero di articoli con numero di citazioni ≥ all’US H-Index), nella categoria “Earth and Planetary Sciences”. Questo nonostante il fatto che l’Area 04 (Scienze della Terra) sia l’unica Area che, nel periodo 1998-2009, ha avuto un organico universitario (PO+PA+Ric) praticamente immutato, con una variazione del +0,8 % rispetto a variazioni che vanno dal +8,4 al +50,6% in tutte le altre 13 Aree, con una variazione media complessiva delle 14 Aree del +25,5% (dati tratti dalla tabella A5.1 in Appendice 1 al capitolo 5 del Decimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario del CNVSU).
Ecco dunque quanto appare rilevante la ricerca di interesse nazionale in Italia. A conti fatti siamo messi molto peggio di come eravamo nei lontanissimi anni ’80, quando alla Commissione Ministeriale per quello che era chiamato il 40% dei finanziamenti per la ricerca, destinato a progetti di interesse nazionale, venivano assegnati, per la nostra Area, circa 4 miliardi di lire. Tradotto in moneta odierna, considerando cioè gli attuali livelli dei costi di strumentazioni scientifiche, personale, libri, ecc. questo significherebbe circa 16 milioni di Euro. Se a questo si aggiunge che di fatto sono venuti a mancare sia i finanziamenti al CNR, sia il 60% distribuito direttamente dalle Università e considerando che, con l’accesso degli Enti di Ricerca a questa fonte di finanziamento, la nostra comunità si è allargata di un buon 20%, il PRIN potrà raggiungere si e no 1/6 del valore disponibile per la ricerca in questa Area ben 30 anni fa! Si consideri inoltre che allora esisteva anche un fondo speciale per le grandi strumentazioni, e che i fondi assegnati non richiedevano un co-finanziamento come avviene ora.Un’ulteriore riduzione delle risorse effettivamente disponibili per la ricerca, rispetto ai finanziamenti di un tempo, è determinata dalla necessità di coprire con questi fondi anche spese per personale (borse di studio, dottorato e assegni di ricerca) che di fatto le Università non possono più sostenere se non in misura molto ridotta. Si potrebbe obiettare che esistono anche altre fonti di finanziamento che allora non c'erano; verissimo. Ma se si escludono pochi, forti gruppi di ricerca con collegamenti a progetti UE o con ricadute applicative ed in campi specifici (es.: biotecnologico, biomedico, elettronico, ecc.), la massima parte di coloro che ancora potrebbero condurre in porto ricerche di base più che dignitose ed al passo con quello che succede nel resto del mondo (ed in molti casi riescono miracolosamente ancora a farlo) non possono che sentire questo modo di agire della nostra principale Agenzia di finanziamento della ricerca come un insulto alla loro dignità e professionalità, oltre che come una politica miope nei confronti delle nuove generazioni chiamate a garantire il futuro dell’innovazione e della ricerca scientifica in Italia.
L’idea che si debba finanziare solamente la ricerca finalizzata al raggiungimento di obiettivi tecnologici è di una cecità preoccupante, foriera di danni che per il sistema paese potrebbero essere irreversibili. L'avanzamento scientifico e tecnologico è infatti possibile solamente in presenza di un forte impulso alla ricerca di base, quella che il mondo anglofono definisce "curiosity driven", ovvero la ricerca spinta dal desiderio di conoscenza. Per contro, se da una parte le risorse per la ricerca di base sembra stiano andando ad esaurimento, vi sono state e vi sono non poche elargizioni a vari Enti e Università per varie attività di ricerca e culturali secondo criteri e valutazioni non sempre chiari e trasparenti, per non parlare di altre forme di utilizzo delle risorse economiche disponibili.
A questo punto le domande che sorgono spontanee sono: la ricerca di base in generale rientra nelle strategie del nostro paese, o meglio delle classi politiche che, nel tempo e senza distinzione di colore, lo governano e lo hanno governato? le Scienze della Terra in particolare, che nelle varie discipline vengono evocate quando si manifestano eventi calamitosi naturali e non (e non è un buon segno che spesso di questi eventi nei media discutano soprattutto esperti di altri ambiti), sono considerate strategiche per lo sviluppo e la sicurezza del territorio? Le risposte purtroppo sembrano ovvie, e le conseguenze di queste scelte si stanno già manifestando, anche con una perdita di competitività internazionale in campo scientifico-tecnologico.
A questo punto è assolutamente necessario che chi di dovere prenda coscienza di questa situazione e dia immediato corso al dovuto ravvedimento, col ripristino di finanziamenti per la ricerca di base adeguati alle potenzialità del sistema e con l’obiettivo di giungere, al più presto, ad un livello comparabile con quello dei partner europei.
Il Consiglio di Presidenza SIMP
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