Non sono d'accordo col ragionamento di Guido Rossi: io penso che sia essenziale incentivare la mobilita' nei primi anni dopo la laurea, e per far cio' ci sono molti modi (un trattamento economico piu' adeguato, per cominciare).
In caso contrario non ci si schioda dalla situazione attuale, situazione -e' utile ricordarlo- non certo idilliaca: a fianco di alcuni strutturati (stanziali e ben garantiti) ci sono un sacco di precari, totalmente privi di alcuna garanzia, che spesso rimangono in questa situazione anche oltre i loro 30 anni.
Penso che lo sforzo economico necessario a rendere praticabile la mobilita' nei primi anni di carriera non sia eccessivo, e sarebbe comunque ampiamente compensato dai vantaggi che ne deriverebbero.
Saluti, Carlo Carminati
----Messaggio originale---- Da: guirossi@unina.it Data: 03/06/2009 19.07 A: "Forum "Università e Ricerca""universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Ogg: [Universitas_in_trasformazione] Fw: Petizione "Per una riforma piu' seria"
Ho sottoscritto la petizione ma concordo pienamente con le osservazioni di Maurizio Tirassa sulla "transumanza" dei giovani ricercatori. Nella realtà economica e sociale italiana è assolutamente impensabile che un giovane ricercatore o una giovane ricercatrice, se sposati, possano andare a vivere in un'altra città con il lauto stipendio che passa loro lo stato italiano. Oggi una famiglia sopravvive solo se entrambi i coniugi lavorano e quindi o faranno i ricercatori solo i "singles" , oppure la famiglia andrà a rotoli. Immaginate, ad esempio, una coppia in cui entrambi aspirino a diventare ricercatori (caso non infrequente) e si ritrovino uno aTorino e l'altro a Catania... Non mi sembra una prospettiva entusiasmante ... Guido Rossi Università di Napoli Federico II
At 21:50 -0700 31.05.2009, Walter Lacarbonara wrote:
... Vi prego di farci pervenire commenti o punti che ritenete importanti e che non sono stati toccati dal documento
(1) Trovo pessima l'idea di obbligare un inizio di carriera in altro ateneo, per tre ragioni:
a. E' assai difficile per un giovane farsi desiderare così tanto da un ateneo diverso da quello nel quale è cresciuto. O si aprirebbe un dispendioso (anche economicamente) peregrinare da un ateneo all'altro nel tentativo di trovarne uno nel quale si sia apprezzati al punto di creare un posto di ruolo, oppure si verrebbe sic et simpliciter raccomandati dal proprio "maestro" ai suoi "amici". Nessuna delle due soluzioni mi pare desiderabile o comunque migliore dell'attuale, nella quale ci si muove in una direzione o nell'altra, oppure non ci si muove affatto, o non nelle prime fasi di carriera, a seconda delle situazioni reali che si hanno disponibili.
b. La norma avrebbe un impatto grave sulla creazione di gruppi di ricerca stabili. Questo punto riflette forse la differenza tra aree nelle quali è normale lavorare da soli e aree nelle quali è normale lavorare in team: le seconde lavorano essenzialmente con un modello a bottega, che non necessariamente ha le caratteristiche di una famiglia di mafia e che dovrebbe essere preservato con cura.
c. Mi sembra il modo che aveva un tempo lo Stato di trattare i propri militari: trasferimenti ogni pochi anni e nessun permesso matrimoniale, per evitare che si creassero legami e clientele. Con il risultato che legami e clientele si creavano nel primo semestre successivo alla stabilizzazione, e non mi pare che l'esercito desse comunque grandi prove di sé. Legami e clientele si evitano con un uso sensato di valutazione e incentivazione, non con la transumanza di giovani scienziati da un ateneo all'altro.
(2) Manca il tema dei settori scientifico-disciplinari. Non mi metto a ridiscuterlo perché se n'è già discusso altre volte, e anche il recente documento di Paola Potestio lo affronta. Rimango convinto che la situazione attuale sia non solo una follia, ma una follia che crea un mare di problemi reali. Problemi che rimarranno anche dopo queste o altre riforme, pregiudicandone fortemente l'efficacia.
(3) La parte sulla governance è troppo vaga. Anche di questo abbiamo già parlato tante volte: lo so che nessuno di noi ha competenze reali in quest'area, ma il documento strutturato in questo modo ne risulta un po' debole.
Tutto questo non certo per criticare il lavoro degli estensori, che anzi ringrazio infinitamente sia per lo sforzo fatto sia per la qualità del risultato. Tuttavia, questi aspetti mi parrebbero ancora da migliorare.
- Maurizio Tirassa
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Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni, e per firmare la petizione, sito di Universitas Futura: http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php
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oma1.it/unira/index.php
Non per fare l'esegesi del pensiero altrui, ma credo che Guido Rossi partisse dalla situazione così com'è e come si prospetta, non come vorremmo che fosse.
Io non credo che sia in arrivo un trattamento economico più adeguato. Non se n'è mai discusso né ve n'è traccia in alcun documento governativo, filogovernativo o paragovernativo; anzi, il Corriere della Sera (non Libero o il Giornale: il Corriere) qualche tempo fa lamentava che agli accademici non fosse stato tagliato lo stipendio, vista la crisi e visto che tanto nulla siamo, nulla facciamo e nulla valiamo. Ed era una proposta serissima, non una provocazione alla Swift o una boutade.
In secondo luogo, ritorno sul punto che "incentivare" la mobilità è cosa assai diversa dal "renderla obbligatoria".
Stando le cose della nazione come stanno, l'effetto più probabile del trend che tu e altri, e il documento stesso del quale stiamo discutendo, sembrate vedere come positivo sarà che avremo la mobilità obbligatoria in assenza di miglioramenti economici.
Buona giornata,
- Maurizio Tirassa
At 08:37 +0200 04.06.2009, carlo.carminati@fastwebnet.it wrote:
Non sono d'accordo col ragionamento di Guido Rossi: io penso che sia essenziale incentivare la mobilita' nei primi anni dopo la laurea, e per far cio' ci sono molti modi (un trattamento economico piu' adeguato, per cominciare).
In caso contrario non ci si schioda dalla situazione attuale, situazione -e' utile ricordarlo- non certo idilliaca: a fianco di alcuni strutturati (stanziali e ben garantiti) ci sono un sacco di precari, totalmente privi di alcuna garanzia, che spesso rimangono in questa situazione anche oltre i loro 30 anni.
Penso che lo sforzo economico necessario a rendere praticabile la mobilita' nei primi anni di carriera non sia eccessivo, e sarebbe comunque ampiamente compensato dai vantaggi che ne deriverebbero.
Saluti, Carlo Carminati
----Messaggio originale---- Da: guirossi@unina.it Data: 03/06/2009 19.07 A: "Forum "Università e Ricerca""universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Ogg: [Universitas_in_trasformazione] Fw: Petizione "Per una riforma piu' seria"
Ho sottoscritto la petizione ma concordo pienamente con le osservazioni di Maurizio Tirassa sulla "transumanza" dei giovani ricercatori. Nella realtà economica e sociale italiana è assolutamente impensabile che un giovane ricercatore o una giovane ricercatrice, se sposati, possano andare a vivere in un'altra città con il lauto stipendio che passa loro lo stato italiano. Oggi una famiglia sopravvive solo se entrambi i coniugi lavorano e quindi o faranno i ricercatori solo i "singles" , oppure la famiglia andrà a rotoli. Immaginate, ad esempio, una coppia in cui entrambi aspirino a diventare ricercatori (caso non infrequente) e si ritrovino uno aTorino e l'altro a Catania... Non mi sembra una prospettiva entusiasmante ... Guido Rossi Università di Napoli Federico II
At 21:50 -0700 31.05.2009, Walter Lacarbonara wrote:
... Vi prego di farci pervenire commenti o punti che ritenete importanti e che non sono stati toccati dal documento
(1) Trovo pessima l'idea di obbligare un inizio di carriera in altro ateneo, per tre ragioni:
a. E' assai difficile per un giovane farsi desiderare così tanto da un ateneo diverso da quello nel quale è cresciuto. O si aprirebbe un dispendioso (anche economicamente) peregrinare da un ateneo all'altro nel tentativo di trovarne uno nel quale si sia apprezzati al punto di creare un posto di ruolo, oppure si verrebbe sic et simpliciter raccomandati dal proprio "maestro" ai suoi "amici". Nessuna delle due soluzioni mi pare desiderabile o comunque migliore dell'attuale, nella quale ci si muove in una direzione o nell'altra, oppure non ci si muove affatto, o non nelle prime fasi di carriera, a seconda delle situazioni reali che si hanno disponibili.
b. La norma avrebbe un impatto grave sulla creazione di gruppi di ricerca stabili. Questo punto riflette forse la differenza tra aree nelle quali è normale lavorare da soli e aree nelle quali è normale lavorare in team: le seconde lavorano essenzialmente con un modello a bottega, che non necessariamente ha le caratteristiche di una famiglia di mafia e che dovrebbe essere preservato con cura.
c. Mi sembra il modo che aveva un tempo lo Stato di trattare i propri militari: trasferimenti ogni pochi anni e nessun permesso matrimoniale, per evitare che si creassero legami e clientele. Con il risultato che legami e clientele si creavano nel primo semestre successivo alla stabilizzazione, e non mi pare che l'esercito desse comunque grandi prove di sé. Legami e clientele si evitano con un uso sensato di valutazione e incentivazione, non con la transumanza di giovani scienziati da un ateneo all'altro.
(2) Manca il tema dei settori scientifico-disciplinari. Non mi metto a ridiscuterlo perché se n'è già discusso altre volte, e anche il recente documento di Paola Potestio lo affronta. Rimango convinto che la situazione attuale sia non solo una follia, ma una follia che crea un mare di problemi reali. Problemi che rimarranno anche dopo queste o altre riforme, pregiudicandone fortemente l'efficacia.
(3) La parte sulla governance è troppo vaga. Anche di questo abbiamo già parlato tante volte: lo so che nessuno di noi ha competenze reali in quest'area, ma il documento strutturato in questo modo ne risulta un po' debole.
Tutto questo non certo per criticare il lavoro degli estensori, che anzi ringrazio infinitamente sia per lo sforzo fatto sia per la qualità del risultato. Tuttavia, questi aspetti mi parrebbero ancora da migliorare.
- Maurizio Tirassa
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E' proprio così: parlare nella situazione attuale di trasferimenti di giovani ricercatori significa voler metter il carro avanti ai buoi. Pensiamo prima a far tirare la carretta e poi mandiamola dove vogliamo...Per conto mio, l'unico livello al quale ritengo possible parlare di mobilità obbligatoria sia il passaggio da associato ad ordinario, poichè lo stipendio di ordinario, pur non essendo paragonabile a quello di tanti colleghi europei, permette comunque una decente sopravvivenza in qualsiasi città italiana. Scusatemi se parlo di argomenti un po' terra terra, ma prima di parlare dei massimi sistemi bisogna far funzionare quelli minimi... Guido Rossi
----- Original Message ----- From: "Maurizio Tirassa" maurizio.tirassa@tele2.it To: carlo.carminati@fastwebnet.it; "Forum "Università e Ricerca"" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Sent: Thursday, June 04, 2009 9:29 AM Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] R: Fw: Petizione "Per una riforma piu' seria"
Non per fare l'esegesi del pensiero altrui, ma credo che Guido Rossi partisse dalla situazione così com'è e come si prospetta, non come vorremmo che fosse.
Io non credo che sia in arrivo un trattamento economico più adeguato. Non se n'è mai discusso né ve n'è traccia in alcun documento governativo, filogovernativo o paragovernativo; anzi, il Corriere della Sera (non Libero o il Giornale: il Corriere) qualche tempo fa lamentava che agli accademici non fosse stato tagliato lo stipendio, vista la crisi e visto che tanto nulla siamo, nulla facciamo e nulla valiamo. Ed era una proposta serissima, non una provocazione alla Swift o una boutade.
In secondo luogo, ritorno sul punto che "incentivare" la mobilità è cosa assai diversa dal "renderla obbligatoria".
Stando le cose della nazione come stanno, l'effetto più probabile del trend che tu e altri, e il documento stesso del quale stiamo discutendo, sembrate vedere come positivo sarà che avremo la mobilità obbligatoria in assenza di miglioramenti economici.
Buona giornata,
- Maurizio Tirassa
At 08:37 +0200 04.06.2009, carlo.carminati@fastwebnet.it wrote:
Non sono d'accordo col ragionamento di Guido Rossi: io penso che sia essenziale incentivare la mobilita' nei primi anni dopo la laurea, e per far cio' ci sono molti modi (un trattamento economico piu' adeguato, per cominciare).
In caso contrario non ci si schioda dalla situazione attuale, situazione -e' utile ricordarlo- non certo idilliaca: a fianco di alcuni strutturati (stanziali e ben garantiti) ci sono un sacco di precari, totalmente privi di alcuna garanzia, che spesso rimangono in questa situazione anche oltre i loro 30 anni.
Penso che lo sforzo economico necessario a rendere praticabile la mobilita' nei primi anni di carriera non sia eccessivo, e sarebbe comunque ampiamente compensato dai vantaggi che ne deriverebbero.
Saluti, Carlo Carminati
----Messaggio originale---- Da: guirossi@unina.it Data: 03/06/2009 19.07 A: "Forum "Università e Ricerca""universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Ogg: [Universitas_in_trasformazione] Fw: Petizione "Per una riforma piu' seria"
Ho sottoscritto la petizione ma concordo pienamente con le osservazioni di Maurizio Tirassa sulla "transumanza" dei giovani ricercatori. Nella realtà economica e sociale italiana è assolutamente impensabile che un giovane ricercatore o una giovane ricercatrice, se sposati, possano andare a vivere in un'altra città con il lauto stipendio che passa loro lo stato italiano. Oggi una famiglia sopravvive solo se entrambi i coniugi lavorano e quindi o faranno i ricercatori solo i "singles" , oppure la famiglia andrà a rotoli. Immaginate, ad esempio, una coppia in cui entrambi aspirino a diventare ricercatori (caso non infrequente) e si ritrovino uno aTorino e l'altro a Catania... Non mi sembra una prospettiva entusiasmante ... Guido Rossi Università di Napoli Federico II
At 21:50 -0700 31.05.2009, Walter Lacarbonara wrote:
... Vi prego di farci pervenire commenti o punti che ritenete importanti e che non sono stati toccati dal documento
(1) Trovo pessima l'idea di obbligare un inizio di carriera in altro ateneo, per tre ragioni:
a. E' assai difficile per un giovane farsi desiderare così tanto da un ateneo diverso da quello nel quale è cresciuto. O si aprirebbe un dispendioso (anche economicamente) peregrinare da un ateneo all'altro nel tentativo di trovarne uno nel quale si sia apprezzati al punto di creare un posto di ruolo, oppure si verrebbe sic et simpliciter raccomandati dal proprio "maestro" ai suoi "amici". Nessuna delle due soluzioni mi pare desiderabile o comunque migliore dell'attuale, nella quale ci si muove in una direzione o nell'altra, oppure non ci si muove affatto, o non nelle prime fasi di carriera, a seconda delle situazioni reali che si hanno disponibili.
b. La norma avrebbe un impatto grave sulla creazione di gruppi di ricerca stabili. Questo punto riflette forse la differenza tra aree nelle quali è normale lavorare da soli e aree nelle quali è normale lavorare in team: le seconde lavorano essenzialmente con un modello a bottega, che non necessariamente ha le caratteristiche di una famiglia di mafia e che dovrebbe essere preservato con cura.
c. Mi sembra il modo che aveva un tempo lo Stato di trattare i propri militari: trasferimenti ogni pochi anni e nessun permesso matrimoniale, per evitare che si creassero legami e clientele. Con il risultato che legami e clientele si creavano nel primo semestre successivo alla stabilizzazione, e non mi pare che l'esercito desse comunque grandi prove di sé. Legami e clientele si evitano con un uso sensato di valutazione e incentivazione, non con la transumanza di giovani scienziati da un ateneo all'altro.
(2) Manca il tema dei settori scientifico-disciplinari. Non mi metto a ridiscuterlo perché se n'è già discusso altre volte, e anche il recente documento di Paola Potestio lo affronta. Rimango convinto che la situazione attuale sia non solo una follia, ma una follia che crea un mare di problemi reali. Problemi che rimarranno anche dopo queste o altre riforme, pregiudicandone fortemente l'efficacia.
(3) La parte sulla governance è troppo vaga. Anche di questo abbiamo già parlato tante volte: lo so che nessuno di noi ha competenze reali in quest'area, ma il documento strutturato in questo modo ne risulta un po' debole.
Tutto questo non certo per criticare il lavoro degli estensori, che anzi ringrazio infinitamente sia per lo sforzo fatto sia per la qualità del risultato. Tuttavia, questi aspetti mi parrebbero ancora da migliorare.
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2009/6/4 carlo.carminati@fastwebnet.it:
[...]
Penso che lo sforzo economico necessario a rendere praticabile la mobilita' nei primi anni di carriera non sia eccessivo, e sarebbe comunque ampiamente compensato dai vantaggi che ne deriverebbero.
L'impegno economico per rendere possibile la mobilita' post-laurea potrebbe benissimo essere zero, sarebbe sufficiente rimodulare la progressione stipendiale di anzianita' a parita' di compenso reale medio lungo la carriera media, dando stipendi decenti ai giovani.
Ripetendo cose gia' scritte, in Italia esiste una progressione di anzianita' di entita' abnorme che, come documentato in passato, prevede costi totali e stipendi netti ridicoli per i giovani a partire dal dottorato, e allo stesso tempo costi totali corrispondenti a redditi lordi per ordinari con massima anzianita' ai vertici mondiali. Tutto ovviamente indipendente da ogni misura di produttivita'.
Gli effetti della progressione di anzianita' esistente sono esiziali: i migliori giovani italiani se ne vanno all'estero, i migliori giovani stranieri se entrano per caso in Italia cercano di fuggirne, allo stesso tempo l'Italia attrae professori universitari esteri a fine carriera con condizioni favorevoli su redditi lordi, carichi di lavoro ed eta' di pensionamento, con un bilancio costi-benefici semplicemente ridicolo.
I danni ulteriori provocati dal sistema di progressione di anzianita' esistente sono 1) bassi stipendi iniziali ostacolano la mobilita' ad inizio carriera. 2) esattamente come nelle imprese private italiane, conviene assumere giovani (perche' costano meno specie se con contratti a termine, a parita' di lavoro) e conviene non assumere o prepensionare gli anziani (perche' il loro costo e' cresciuto troppo rispetto al lavoro svolto). Il massimo dell'"efficienza" si ottiene con contratti a tempo determinato non rinnovabili oltre un certo numero di anni.
Purtroppo i vari elementi del sistema si tengono a vicenda, come ci si puo' aspettare per un sistema che complessivamente ha raggiunto un equilibrio, sia pure drammaticamente sub-ottimale.
Cordialmente,
cari collleghi la discussione sulla mobilita` mi sembra un po confusa ed anche un po avulsa dalla realta`.
Di fatto, che lo vogliano o meno, oggi i giovani che aspirano ad un posto di ricercatore, a meno che non siano ferreamente inquadrati in un forte gruppo di potere, vanno in giro per l'Italia a fare concorsi sperando di azzeccarne uno prima o poi. Quelli piu avventurosi se ne vanno direttamente all'estero dove per altro e` piu` facile per una coppia di trovare una sistemazione nella stessa citta` o lo stesso istituto.
Mia figlia ne avra` fatti una decina da nord a sud prima di vincerne uno a Napoli che certamente non era la sua prima scelta.
Diverso e` il discorso del post-doc. Personalmente ho sempre scelto di mandare i miei giovani dottorati altrove, possibilmente all'estero per due motivazioni:
1. Credo sia utile ad un giovane ricercatore fare una esperienza fuori dal proprio gruppo di riferimento per vedere come funziano le cose in un altro dipartimento, per avere nuovi stimoli.
2. Credo che sia negativo per un docente diventare completamente responsabile della carriera futura di un allievo che cosi' diventa un cliente. Io credo di avere esaurito il mio dovere nel momento in cui ho fatto conseguire un dottorato ad un giovane e lo ho aiutato a muovere i primi passi della sua carriera. Non voglio farmi carico della sua vita.
La maggior parte dei giovani dottorati non hanno ancora famiglia o figli che gli impediscono la mobilita` e comunque quando si e` giovani non e` poi un dramma spostarsi per un periodo arrangiandosi. Io sono partito per l'america a 22 anni, quando il mondo era assai diverso, su una vecchia nave studentesca e poi un treno New York-- Chicago. L'arrivo in america non era molto diverso dai tempi di Ellis island, dovevamo portare le radiografie che mostravano che non avevamo la tubercolosi, scrivevo lunghe lettere che arrivavano dopo una settimana ed ho telefonato a casa solo dopo sei mesi. Quindi non esageriamo con il mammismo.
==============================================
Detto questo, ben diverso e` il problema della progressione di carriera. Qui bisognerebbe avere le idee chiare sul modello a lungo termine, quello che usualmente manca certamente ai nostri politici ma mi pare anche a molti di noi.
Grosso modo esistono due modelli totalmente opposti, nel sistema americano la quasi totalita` dei docenti si aspetta di diventare "full professor" entro i 40 anni. Naturalmente non necessariamente full professor ad Harvard o Princeton ma magari a Northeastern, Temple e via discendendo.
Non ho le statistiche ma credo che, benche' la loro societa` sia molto piu mobile della nostra, la maggior parte poi restano nella Universita` in cui hanno ottenuto la "tenure". Poi la dinamica della loro carriera e` molto diversa dalla nostra non essendo basata sulla anzianita`.
All' opposto sta il vecchio modello europeo che ho l'impressione sia cambiato spesso in modo casuale e non del tutto meditato, creando la confusione attuale.
Non so quanto ancora resiste del vecchio modello, forse in Inghilterra, ma in questo modello un numero ristretto o ristrettissimo di luminari o presunti tali diventa full professor e gli altri restano a livelli inferiori. Quindi in questo modello la logica direbbe che la carriera si esaurisce prima del full professor e questo dovrebbe essere lo standard senza generare necessariamente particolari frustrazioni. Nella magistratura non tutti diventeranno giudici costituzionali o alti gradi della gerarchia; nella chiesa non tutti diventano cardinali o papa. Ma di fatto non e` cosi.
Io non ho una soluzione da proporre ma solo ritengo che il ruolo dei ricercatori sia un nonsenso, noi abbiamo bisogno di docenti, l'idea che ho visto di assegnare compiti didattici ai ricercatori dandogli temporanemaente la qualifica di professore aggregato e` sciagurata e probabilmente fatta da chi non ha la esperienza di una situazione analoga, quella degli incarichi di insegnamento di trenta anni fa che ha prodotto infinite guerre intestine, facolta` bloccate, turpi scambi di favori etc. etc.. Non auguro a nessuno di ripetere quelle esperienze. ===================
Quando alcuni anni fa vennero introdotte le tre idoneita` io vidi subito gli aspetti perversi di questo sistema che non stanno nel fatto di permettere un avanzamento di carriera ad un collega ma in altre dinamiche che vorrei ricordare.
La prima mi e` stata del tutto evidente subito, un avanzamento di carriera costruito in modo arbitrario, senza tener conto dei bilanci delle Universita` o di una programmazione generale sarebbe diventato rapidamente un bonus attribuito ad una generazione, finche' duravano i soldi per poi chiudersi alla successiva. Di fatto queste mie ovvie considerazioni si sono puntualmente avverate.
La seconda sta nella irrazionalita` del sistema, un Dipartimento si vede trasformato di categoria un suo docente in modo del tutto eterodiretto. Senza considerare i meriti o demeriti del soggetto anche in relazione di altri colleghi. Uno ha vinto la sua lotteria in barba a tutti gli altri.
La terza, ho subito capito che l'idea di selezionare fra gli idonei quelli da far progredire bloccandone altri era una mera follia dovuta alla stupidita` del legislatore. I dipartimenti che hanno tentato di farlo e che io conosco si sono dilaniati in lotte intestine, la gia` precaria coesistenza fra colleghi ne e` uscita a pezzi con rancori profondi. Non si gestiscono cosi` i luoghi in cui un rispetto reciproco ed una collaborazione sono altrettanto preziosi di una competenza scientifica.
Nel documento che ho preparato su Universitas Futura mettevo in evidenza la necessita` di considerare la progressione di carriera in modo disgiunto dalle chiamate esterne. Quale debba essere la progressione standard e` evidentemente una scelta politica che dipende da molte altre scelte, mi sembra al momento una materia inestricabile ed in ogni caso dubito che i burocrati del ministero siano in grado di capirla. ======================================
Una ulteriore considerazione sul familismo, qui vi e` anche molta ipocrisia. Come ho gia` avuto modo di scrivere nel sistema USA e` del tutto comune quello che, mutuando il linguaggio dalla astronomia, viene chiamato il "two body problem".
Di fatto un po in tutto il mondo per motivi probabilmente antropologici e` abbastanza comune accoppiarsi fra colleghi e ovviamente si cerca di lavorare nella stessa citta`.
E` del tutto normale nelle universita` americane fare offerte congiunte a marito e moglie, non pero` ai figli che ovviamente dovrebeero costruire la propria vita in modo indipendente.
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