Gentile Enrico, i giovani lavorano gratis o quasi, perchè questo è l'unico modo per entrare in università, almeno all'inizio (mi riferisco alle Facoltà umanistiche e non conosco le situazioni di altri settori). Il che non comporta che siano mantenuti, ma che abbiano un doppio o triplo lavoro! L'assegno di ricerca, di cui sono attualmente titolare dopo sei anni di contratini con retribuzione irrisoria, mi apporta 1300 euro netti al mese, a cambio dei quali devo: fare didattica, seguire tesi, ricevere, partecipare alle riunioni, fare ricerca, scrivere libri miei e non solo (senza fondi per pubblicarli), pagandomi da sola viaggi, testi rari, antichi e introvabili, oltre a spese di ogni genere per la ricerca. Se al netto togliessi le spese per inchistro, carta, acquisto testi e viaggio (che i docenti coprono con i fondi), mi rimarrebbero all'incirca 700 euro al mese. Per sopravvivere bisogna lavorare in più università e integrare con le scuole! Faccio ricerca la notte e didattica di giorno. Ma se voglio rimanera in ambito accademico è così, come mi hanno ribadito entrambe le sedi con cui collaboro (contratti co.co.co o occasionali, dipende non si capisce benen da cosa).
Gentili tutti, al fine di risolvere la situazione esposta sopra, aggiugno la mia
PROPOSTA: ripristiamo la figura dell'assistente assunto, per favore! Almeno ci sarebbero i contributi pagati e uno stipendio! Includiamo i giovani precari nella distribuzione dei fondi, sottoponendoli a valutazione periodica (lo stesso per i docenti), certo. Stabiliamo un minimo stipendiale, fissando un limite di ore di didattica ricomprese in quella cifra e stabilendo a priori quali compiti rientrino. Infine, ristabiliamo anche quali sono i compiti delle segreteria e del personale tecnico amministrativo, in modo da restituirli a loro, sgravando i giovani precari di compiti che non dovrebbero certo toccare a loro!
Message: 5 Date: Fri, 5 Dec 2008 10:54:06 -0600 (CST) From: Enrico Valdinoci enrico@math.utexas.edu Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Concorsi To: Forum "Università e Ricerca" universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Message-ID: alpine.DEB.1.00.0812051045220.29379@lab50.ma.utexas.edu Content-Type: text/plain; charset="iso-8859-1"
Concordo con Mirella, ma sono piu' radicale: i giovani devono piantarla di lavorare gratis!
Se lavorano gratis, rovinano il mercato a chi non puo' permettersi di fare altrettanto.
Non ne posso piu' di questi precari per scelta che prima decidono di lavorare gratis (chi li mantiene?) nella speranza che qualcuno regali loro un posto e poi protestano contro un precariato che loro stessi hanno scelto e favorito.
Uno puo' pure decidere di lavorare gratis per "amore della scienza" o semplicemente per "andare in paradiso": ma nel qual caso non puo' chiedere a viva voce che si tarocchi un concorso per farlo vincere per forza...
Scusate se son troppo diretto. Bye, E.
On Fri, 5 Dec 2008, Mirella Sari Gorla wrote:
Con questo messaggio vorrei soltanto esprimere il mio sconcerto per un aspetto che compare in modo ricorrente nei messaggi che ho ricevuto: viene considerato normale, seppure non auspicabile, il fatto che giovani vengano impiegati nel lavoro di ricerca senza alcuna retribuzione. Nel dipartimento in cui opero (ma penso sia così in genere nella Facoltà di Scienze dell?Università di Milano) un comportamento del genere non esiste! Nessuno lavora gratis: i giovani (dottorandi o post-doc) vengono pagati sui fondi di ricerca del gruppo in cui operano, con borse di studio (se hanno meno di 29 anni), con COCOCO o con assegni di ricerca. Questi non costituiscono certo una retribuzione favolosa, ma 18600 euro all?anno non possono essere considerati un?elemosina, soprattutto quando si vive in una città diversa da Milano, dove questa retribuzione è molto modesta, considerando che qui il costo della vita è alto. In conclusione, considero il comportamento sopra menzionato gravemente scorretto e ribadisco il mio stupore nel vedere che per molti colleghi esso venga invece considerato normale.
At 11.06 04/12/2008, you wrote:
Cari tutti, ciò che scriverò a continuazione riguarda la mia personale e sperienza e quella di numerosi altri giovani come me.
Innanzitutto vorrei dire a chi forma i proprio studenti più brillanti in vista di un futuro concorsi che la lunga trafila di compiti accademici non pagati, caratterizzano gli anni di dottorato e post doc, potrebbero anche servire al candidato per conoslidare la sua formazione e poter così competere anche in caso di valutazioni comparative nazionali e non truccate. Questo non toglie che sia ingiusto e faticoso passare lunghi anni senza retribuzione o con piccole somme da fame.
Nonostante io abbia fatto il Dottorato in altra sede, non capisco in nessuno modo la volontà di imporre che non si possa essere assunti presso l'università nella quale ci si è laureati: conoscere meglio l'ambiente e la burocrazia, oltre a essere in linea con le ricerche della sede dovrebbero essere considerati punti di forza del candidato e non uno svantaggio.
Non ritengo utile impedire a un ordinario che ritenga capace e meritevole un suo studente di offrirgli la possibilità di un posto da ricercatore (per il quale il "maesro" deve lottare molto e non ne sarebbe disposto se non per qualcuno che stima). Il problema è che spesso si privilegiano i rapporti di parentela o di altro tipo, problema che si potrebbe risolvere soltanto se i fondi fossero strettamente legati alla quantità e alla qualità dei prodotti delle singole persone (e non del dipartimento).
Porgo un ulteriore spunto di riflessione: perchè ho la sensazione che, di nuovo, qualunque valutazione dei risultati possa privilegiare la quantità a scapito della qualità?
Infine, se essere docenti o ricercatori significa dedicare ore a cavilli burocratici o a pratiche amministrative, completare 120 ore di didattica annuali sommate a tesi, prove finali, riunioni e organizzazione di congressi, il tutto senza poter contare sulla collaboraione di altri se non dei dottorandi di turno, come si può fare seriamente ricerca? Molti reclutano gratuitamente mogli e famigliari per una migliore gestione, ma non tutti se lo possono permettere, e sopratutto, vi pare che questo sia etico?
Marina _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
Per consultare gli archivi, cancellarsi, o cambiare le proprie impostazioni: https://mail.dm.unipi.it/listinfo/universitas_in_trasformazione
Ulteriori informazioni: http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/lettera.html
Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/~camelot
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Message: 6 Date: Sat, 06 Dec 2008 02:49:19 +0100 From: Gennaro Esposito gennaro.esposito@uniud.it Subject: Re: [Universitas_in_trasformazione] Concorsi To: universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it Message-ID: 20081206024919.vkisxvwl344wk8c8@webmail.uniud.it Content-Type: text/plain; charset=ISO-8859-1; DelSp="Yes"; format="flowed"
Cari colleghi, il dibattito che si sta sviluppando sullo 'status' dei precari della ricerca è interessante e merita, a mio parere, una considerazione molto più approfondita. Purtroppo 18600 Euro annui, quando ci sono, sono pochi anche in luoghi diversi da Milano (per esemppio qui ad Udine), ma lo scandalo più macroscopico è che molto spesso i precari lavorano per somme ben più irrisorie, se non gratis,al limite. Questo dovrebbe essere del tutto bandito dall'Università e da qualsiasi ambiente di ricerca pubblico. Un importante elemento per evitare situazioni al di sotto della decenza, se non al limite dello schiavismo, dovrebbe essere la deontologia professionale di chi ha responsabilità di conduzione scientifica e manageriale dei gruppi di ricerca. Tuttavia, poiché appellarsi alla coscienza deontologica non funziona (è un'amara postdizione), credo che occorra creare obblighi di legge ben precisi per evitare abusi che, oltre ad essere lesivi della dignità professionale del lavoro intellettuale, spianano la strada al malcostume ed al servilismo. Avevo sottoposto alla considerazione di tutti nel blog antesignano di questo forum due proposte ed un criterio, e mi pare il caso di ripresentarli dato che non li ho più visti in giro. Una di queste proposte concerne proprio la regolamentazione dello status dei precari, per riconoscere, per legge, una validità ai fini pensionistici del lavoro svolto, oltre al riconoscimento in termini di copertura socio-sanitaria.
Con qualche ulteriore aggiunta e precisazione, riformulo le proposte, che sono delle ricette operative urgenti per aumentare gli stanziamenti alla ricerca pubblica, ed il criterio, che è una linea guida generale per la salvaguardia del 'buoncostume' professionale dei ricercatori. Sulla necessità di aumentare l'entità dello stanziamento pubblico alla ricerca, penso non vi sia bisogno di commentare, la riconoscono anche le pietre. Idem sulla necessità di adottare misure di controllo della qualità scientifica degli universitari.
PROPOSTE
A) Contributi previdenziali versati dallo Stato per i giovani ricercatori che lavorano nell'Università e negli enti pubblici di ricerca come precari con borse postdottorato di ogni genere. L'Italia è l'unico paese della UE dove è possibile assumere giovani ricercatori sottopagandoli e senza alcuna tutela socio-previdenziale, o al limite a retribuzione nulla, senza incorrere nelle sanzioni di una disciplina vigente in materia. Lo stato di precarietà lavorativa nella ricerca è diffuso in tutto il mondo, è una delle modalità tipiche dell'acesso alla ricerca che precede la stabilizzazione, ma che può durare anche a lungo senza necessariamente risolversi con esito positivo. Perché solo in Italia chi è precario della ricerca deve anche vedere vanificati i migliori anni della sua produttività intellettuale ai fini della sua carriera contributiva previdenziale? A più riprese, governi di diverso colore politico hanno varato schemi legislativi per alleviare l'industria dal 'gravame' della contribuzione sociale per i neoassunti, anche con forme di contratto a termine. Un provvedimento del genere non è stato mai adottato per i precari della ricerca universitaria. La richiesta è che divenga prassi ordinaria ed istituzionale il versamento da parte dello Stato dei contributi socio-previdenziali e pensionistici ai giovani ricercatori precari di università ed enti pubblici di ricerca. Quindi ciascun contratto che viene stipulato, per conto di un gruppo di ricerca, da un dipartimento o da una facoltà universitaria o da qualsiasi altra amministrazione di enti di ricerca pubblica, dovrà essere integrato dallo Stato con la quota corrispondente per i versamenti assicutarivi sanitari, antiinfortunistici e pensionistici. Ciò costituisce un incremento concreto di stanziamenti per la ricerca.
B) Esenzione IVA della ricerca pubblica - comporterebbe l'aumento netto del 20% per i fondi a disposizione per acquisti di ogni genere di beni e prestazioni finalizzate alla ricerca. L'Italia è uno dei pochi paesi leader europei in cui si paga ancora l'IVA sulla ricerca. Attualmente in Italia l'unica esenzione IVA a beneficio della ricerca si ottiene solo se si dispone di fondi UE, comunque per acquisti non inferiori a 500 Euro. L'esenzione IVA per la ricerca dovrebbe rigidamente escludere la ricerca industriale che già riceve sovvenzioni oltre il dovuto in Italia, poiché è prassi tristemente consolidata, da parte dell'industria, presentare come ricerca attività ordinarie, per beneficiare di sgravi fiscali (regalare all'industria anche l'IVA sarebbe il colmo).
CRITERIO
Premesso che una riforma universitaria che possa bonificare l'ambiente dai guasti che si sono determinati in questi anni per la mancanza di criteri meritocratici reali e non solo di facciata, è realizzabile in molti modi (la cooptazione essendo la forma più estrema ma intellettualmente onesta), un criterio fondamentale da implementare se non si vuole vanificare l'impostazione meritocratica di un riassetto dell'università e quello della verifica successiva alla chiamata di professori e ricercatori. Dovrebbe essere istituzionalizzata una verifica biennale, basata su criteri di produttività scientifica rigidi dell'attività di professori e ricercatori chiamati da qualsiasi facoltà. Qualora la verifica fosse negativa, la facoltà perderebbe l'equivalente di metà del budget destinato alla posizione di professore o ricercatore sottoposta a procedura di controllo biennale. Una seconda verifica negativa consecutiva comporterebbe un'ulteriore dimezzamento del budget sulla posizione verificata. Una terza verifica negativa consecutiva comporterebbe l'inquadramento del docente o ricercatore in altra amministrazione pubblica. Una verifica positiva comporterebbe il ripristino del budget nella misura di quanto perso al precedente controllo biennale. Una verifica potrebbe tuttavia essere anche più che positiva. In tal caso la facoltà guadagnerebbe un quarto del budget della posizione verificata. La contabilità amministrativa della compensazione economica del meccanismo sarebbe effettuata dai singoli atenei, con rientri o aggravi ulteriori a favore o a carico dei fondi oridinari di funzionamento.
Un saluto a tutti Rino Esposito
Quoting Enrico Valdinoci enrico@math.utexas.edu:
Concordo con Mirella, ma sono piu' radicale: i giovani devono piantarla di lavorare gratis!
Se lavorano gratis, rovinano il mercato a chi non puo' permettersi di fare altrettanto.
Non ne posso piu' di questi precari per scelta che prima decidono di lavorare gratis (chi li mantiene?) nella speranza che qualcuno regali loro un posto e poi protestano contro un precariato che loro stessi hanno scelto e favorito.
Uno puo' pure decidere di lavorare gratis per "amore della scienza" o semplicemente per "andare in paradiso": ma nel qual caso non puo' chiedere a viva voce che si tarocchi un concorso per farlo vincere per forza...
Scusate se son troppo diretto. Bye, E.
On Fri, 5 Dec 2008, Mirella Sari Gorla wrote:
Con questo messaggio vorrei soltanto esprimere il mio sconcerto per un aspetto che compare in modo ricorrente nei messaggi che ho ricevuto: viene considerato normale, seppure non auspicabile, il fatto che giovani vengano impiegati nel lavoro di ricerca senza alcuna retribuzione. Nel dipartimento in cui opero (ma penso sia così in genere nella Facoltà di Scienze dell?Università di Milano) un comportamento del genere non esiste! Nessuno lavora gratis: i giovani (dottorandi o post-doc) vengono pagati sui fondi di ricerca del gruppo in cui operano, con borse di studio (se hanno meno di 29 anni), con COCOCO o con assegni di ricerca. Questi non costituiscono certo una retribuzione favolosa, ma 18600 euro all?anno non possono essere considerati un?elemosina, soprattutto quando si vive in una città diversa da Milano, dove questa retribuzione è molto modesta, considerando che qui il costo della vita è alto. In conclusione, considero il comportamento sopra menzionato gravemente scorretto e ribadisco il mio stupore nel vedere che per molti colleghi esso venga invece considerato normale.
At 11.06 04/12/2008, you wrote:
Cari tutti, ciò che scriverò a continuazione riguarda la mia personale e sperienza e quella di numerosi altri giovani come me.
Innanzitutto vorrei dire a chi forma i proprio studenti più brillanti in vista di un futuro concorsi che la lunga trafila di compiti accademici non pagati, caratterizzano gli anni di dottorato e post doc, potrebbero anche servire al candidato per conoslidare la sua formazione e poter così competere anche in caso di valutazioni comparative nazionali e non truccate. Questo non toglie che sia ingiusto e faticoso passare lunghi anni senza retribuzione o con piccole somme da fame.
Nonostante io abbia fatto il Dottorato in altra sede, non capisco in nessuno modo la volontà di imporre che non si possa essere assunti presso l'università nella quale ci si è laureati: conoscere meglio l'ambiente e la burocrazia, oltre a essere in linea con le ricerche della sede dovrebbero essere considerati punti di forza del candidato e non uno svantaggio.
Non ritengo utile impedire a un ordinario che ritenga capace e meritevole un suo studente di offrirgli la possibilità di un posto da ricercatore (per il quale il "maesro" deve lottare molto e non ne sarebbe disposto se non per qualcuno che stima). Il problema è che spesso si privilegiano i rapporti di parentela o di altro tipo, problema che si potrebbe risolvere soltanto se i fondi fossero strettamente legati alla quantità e alla qualità dei prodotti delle singole persone (e non del dipartimento).
Porgo un ulteriore spunto di riflessione: perchè ho la sensazione che, di nuovo, qualunque valutazione dei risultati possa privilegiare la quantità a scapito della qualità?
Infine, se essere docenti o ricercatori significa dedicare ore a cavilli burocratici o a pratiche amministrative, completare 120 ore di didattica annuali sommate a tesi, prove finali, riunioni e organizzazione di congressi, il tutto senza poter contare sulla collaboraione di altri se non dei dottorandi di turno, come si può fare seriamente ricerca? Molti reclutano gratuitamente mogli e famigliari per una migliore gestione, ma non tutti se lo possono permettere, e sopratutto, vi pare che questo sia etico?
Marina _______________________________________________ Universitas_in_trasformazione@mail.dm.unipi.it mailing list
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Prof. Mirella Sari-Gorla Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie Via Celoria 26, 20133 Milano, Italy tel: +39 02 503 1 5014 fax: +39 02 503 1 5044 E-mail: MIRELLA.SARIGORLA@UNIMI.IT web: http://users.unimi.it/~camelot
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SEMEL (SErvizio di Messaging ELettronico) - CSIT -Universita' di Udine
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Fine di Digest di Universitas_in_trasformazione, Volume 1, Numero 17
Cara Marina,
i giovani lavorano gratis o quasi, perchè questo è l'unico modo per entrare in università,
il che non e` un obbligo.
Il che non comporta che siano mantenuti, ma che abbiano un doppio o triplo lavoro!
il che rischia di compromettere l'efficienza di ognuno di questi lavori.
L'assegno di ricerca, di cui sono attualmente titolare dopo sei anni di contratini con retribuzione irrisoria, mi apporta 1300 euro netti al mese, a cambio dei quali devo: fare didattica, seguire tesi, ricevere, partecipare alle riunioni, fare ricerca,
pensavo fosse un assegno di ricerca. allora non sei tenuta a fare didattica eccetera.
scrivere libri miei e non solo
che vuol dire non solo? ti va di scrivere anche i miei?
(senza fondi per pubblicarli),
il fatto che nelle facolta` letteriare si usino sistematicamente fondi di ricerca per pubblicare libri e` bizzarro. di fronte a cio` temo sia inevitabile che settori diversi abbiano criteri di valutazione diversi. ma cio` forse non rende onore alle humanae litterae.
se e` solo per amore della poesia, in internet puoi pubblicare gratis le tue idee.
Ma se voglio rimanera in ambito accademico è così,
ma perche` ci vuoi rimanere, rischiando di svendere la tua dignita` e avallare un sistema che non merita il tuo amore?
come mi hanno ribadito entrambe le sedi con cui collaboro (contratti co.co.co o occasionali, dipende non si capisce benen da cosa).
dipende da chi meschinamente ti dice questo, e da te che lo accetti.
Forza giovani! Con simpatia, e ammirazione, davvero, per il tuo impegno e la tua energia. Ciao, E.
Io sono stato precario fino a non molto tempo fa. Perchè uno lo fa? Intanto perchè fuori dall'università in Italia non c'è un'alternativa professionale seria nella maggior parte dei setori per una persona che abbia un phd e magari diversi anni di attività di ricerca e pubblicazioni. Il sistema di imprese nostrano richiede prevalentemente figure da adibire a commerciali o poco più. Inoltre il percorso da precario si autoalimenta: se una persona è laureata, dottorata, 4 anni di assegno di ricerca, quindi -se è stata bravissima e considerando gli intervalli fra un passaggio e l'altro- già sui 32-33 anni magari con una ventina di pubblicazioni o più, ha di fronte la possibilità o di fare il precario per un altro anno o di andare a fare il segretario d'azienda, il muratore, l'impiegato o il politico. Passato quell'anno sarà la situazione dell'anno prima con un anno di più. E così via. Chi si trova a 40 anni in quella situazione cosa volete che faccia? Uniche alternative accettabili in Italia potevano essere le cattedre delle scuole: ma anche lì il ercorso di precariato, anche se più stabile che all'università è lunghissimo e soggetto ai cambi di umore di ogni governo (SISS si/SISS no, concorsone ecc.). Quindi è inutile dare addosso ai precari, spesso in situazione di zugzwang. Alternative possibile andare all'estero, ma sono scelte individuali e certo non da consigliare collettivamente perchè ci daremmo la zappa sui piedi, o formare un certo numero di PHD/laureati a creare impresa in Italia, indipendente da quella che c'è. Questo mi pare un altro campo molto spinoso. SAluti Alessio Papini Dip.to Biol Veg Unifi
----- Messaggio da enrico@math.utexas.edu --------- Data: Sat, 6 Dec 2008 05:04:09 -0600 (CST) Da: Enrico Valdinoci enrico@math.utexas.edu ...
se e` solo per amore della poesia, in internet puoi pubblicare gratis le tue idee.
Ma se voglio rimanera in ambito accademico è così,
ma perche` ci vuoi rimanere, rischiando di svendere la tua dignita` e avallare un sistema che non merita il tuo amore?
...
Forza giovani! Con simpatia, e ammirazione, davvero, per il tuo impegno e la tua energia. Ciao, E.
----- Fine del messaggio da enrico@math.utexas.edu -----
Caro Alessio, scusa: dalla tua lettera evinco che quindi e' bene per un giovane NON cominciare a lavorare gratis, perche' tanto poi non se ne esce mica facilmente, giusto?? Ciao, E.
On Sat, 6 Dec 2008, alessio.papini@unifi.it wrote:
Io sono stato precario fino a non molto tempo fa. Perchè uno lo fa? Intanto perchè fuori dall'università in Italia non c'è un'alternativa professionale seria nella maggior parte dei setori per una persona che abbia un phd e magari diversi anni di attività di ricerca e pubblicazioni. Il sistema di imprese nostrano richiede prevalentemente figure da adibire a commerciali o poco più. Inoltre il percorso da precario si autoalimenta: se una persona è laureata, dottorata, 4 anni di assegno di ricerca, quindi -se è stata bravissima e considerando gli intervalli fra un passaggio e l'altro- già sui 32-33 anni magari con una ventina di pubblicazioni o più, ha di fronte la possibilità o di fare il precario per un altro anno o di andare a fare il segretario d'azienda, il muratore, l'impiegato o il politico. Passato quell'anno sarà la situazione dell'anno prima con un anno di più. E così via. Chi si trova a 40 anni in quella situazione cosa volete che faccia? Uniche alternative accettabili in Italia potevano essere le cattedre delle scuole: ma anche lì il ercorso di precariato, anche se più stabile che all'università è lunghissimo e soggetto ai cambi di umore di ogni governo (SISS si/SISS no, concorsone ecc.). Quindi è inutile dare addosso ai precari, spesso in situazione di zugzwang. Alternative possibile andare all'estero, ma sono scelte individuali e certo non da consigliare collettivamente perchè ci daremmo la zappa sui piedi, o formare un certo numero di PHD/laureati a creare impresa in Italia, indipendente da quella che c'è. Questo mi pare un altro campo molto spinoso. SAluti Alessio Papini Dip.to Biol Veg Unifi
----- Messaggio da enrico@math.utexas.edu --------- Data: Sat, 6 Dec 2008 05:04:09 -0600 (CST) Da: Enrico Valdinoci enrico@math.utexas.edu ...
se e` solo per amore della poesia, in internet puoi pubblicare gratis le tue idee.
Ma se voglio rimanera in ambito accademico è così,
ma perche` ci vuoi rimanere, rischiando di svendere la tua dignita` e avallare un sistema che non merita il tuo amore?
...
Forza giovani! Con simpatia, e ammirazione, davvero, per il tuo impegno e la tua energia. Ciao, E.
----- Fine del messaggio da enrico@math.utexas.edu -----
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